Esauritesi le memorie dell’esodo, lasciati alle spalle gli echi di conflitti che hanno smembrato la Jugoslavia, oggi l’Istria viene vissuta perlopiù in modo semplicemente monodimensionale. Cioè come luogo di turismo spensierato, alla ricerca di sole e di mare. E di piatti di pesce. Quando non diventa mero luogo di veloce transito verso altre mete vacanziere poste più a sud, in Dalmazia come in Grecia.
Peccato, perché l’Istria merita di più, merita – o meriterebbe – la nostra curiosità, la nostra voglia paziente di conoscenza.
Perché qui iniziano idealmente i Balcani (o finisce la Mitteleuropa…) e la loro aggrovigliata complessità. Complessità che intreccia tutta la penisola istriana e che Ulderico Bernardi, nel suo veloce ed appassionato libro, interpreta ed affronta con tre chiavi di lettura (Istria d’amore, Edizioni Santi Quaranta, 2012)
La prima rimanda alla storia stessa dell’Istria, una storia estremamente ricca e frastagliata, perfino eccessiva per la semplicità e le dimensioni contenute dell’area. Eppure qui, nei secoli, si sono instancabilmente sperimentati confini, battaglie, invasioni, movimenti di popoli, di lingue, di religioni, di culture. Due imperi, quello veneziano e quello absburgico, hanno segnato profondamente queste terre. E ancora, un’Istria veneta ed un’Istria slava si sono non senza fatica mescolate. Come scrive Bernardi: “Questa è l’Istria nei secoli: un palinsesto sopra cui diverse mani, in successione, hanno lasciato traccia del loro modo d’intendere la vita e il mondo”.
La seconda chiave di lettura rimanda al viaggio, o meglio al senso del viaggio. È ovvio, ma non scontato, ricordare che l’Istria, proprio per la sua ricchezza storica, artistica, gastronomica ed umana, ha bisogno di uno sguardo turistico lento, intelligente, curioso, profondo, che si spinga anche all’interno, parli con la gente e visiti osterie e cimiteri, quei luoghi dove sempre le comunità locali si prestano ad essere meglio comprese.
Infine la terza chiave di lettura, forse la più importante, sta in quel multiculturalismo che ha sempre connotato l’Istria. Qui Bernardi, appoggiandosi ad autori come Fulvio Tomizza, Niccolò Tommaseo e Mircea Eliade, avvisa che è dal meticciamento, dalle ibridazioni che nascono le civiltà. E l’Istria è “un abecedario spalancato sulle culture”, un vero e proprio laboratorio delle diversità che “si pone come magico frammento multiculturale d’Europa, un modello, se non del tutto esemplare, carico però di promesse per il futuro”. È l’Europa composta oggi da un mosaico di oltre 330 culture regionali che potrebbe trovare proprio nell’esperienza – geograficamente piccola, ma antropologicamente intensa – della realtà istriana quasi un modello a cui ispirarsi per il proprio divenire. Rifiutando quegli etnocentrismi grandi e piccoli che in Istria, come ben sappiamo, hanno troppo spesso prodotto violenze, esodi e sopraffazioni.
Vittorio Filippi
www.balcanicaucaso.org 2 agosto 2012