Una dichiarazione di facciata, che ribadisce concetti risaputi. Un’altra, assai meno diplomatica, che ha almeno il pregio di essere onesta e diretta. È iniziata ieri la storica visita a Bruxelles del premier serbo, Ivica Dacic. Una visita storica perché suggella il coronamento di una lunga e travagliata carriera, quella del leader socialista, che l’ha portato a trasformarsi da portavoce di Miloševic in premier pro-Europa. Ma storica anche perché, per la prima volta così apertamente, l’Ue ha messo Belgrado davanti a un “aut aut” pubblico, non più sussurrato nel chiuso delle stanze del potere. Un “aut aut” pronunciato dal presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, dopo una «molto franca» conversazione con Dacic.
Schulz che ha spiegato di aver illustrato alla controparte serba che «le relazioni tra Serbia e Kosovo», nel cammino verso «uno sviluppo pacifico, devono concludersi col mutuo riconoscimento». È questa la principale «pre-condizione», ha detto Schulz, che si para tra Belgrado e l’entrata nell’Ue. Un’entrata che avverrà solo «soddisfacendo tutti i criteri» definiti da Bruxelles e «stabilendo relazioni pacifiche tra i due Paesi», ha specificato il politico tedesco. Ma come aspettarsi che la Serbia riconosca il Kosovo? Si tratta di un obiettivo «fra i più delicati, ma non impossibile», richiesto dall’Ue «nella sua interezza», malgrado le diverse posizioni di alcuni Stati membri, ha suggerito Schulz. La dichiarazione più di facciata, con il ricorso al tradizionale “bastone e carota”, era arrivata invece, in mattinata, dal presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy. Il «futuro» di Belgrado «è in Europa». Ma, alla fine, «la velocità dell’avanzamento» di Belgrado verso la piena integrazione europea è tutta «nelle mani della Serbia».
Poi, il consueto ammonimento. Bruxelles si attende di «vedere la Serbia fare progressi nel suo percorso verso l’Ue diventando un suo membro». Non prima, naturalmente, che «le ben conosciute e necessarie condizioni siano soddisfatte». Quali? Belgrado dovrà continuare a impegnarsi nel campo delle «riforme politiche, del sistema giudiziario», nella «lotta contro corruzione e crimine organizzato», nel rispetto «dei media e delle minoranze». Non solo. Tenuto conto della grave situazione economica, va migliorato «il business environment», un altro fattore su cui lavorare «per attirare investimenti, migliorare le esportazioni e alleviare la disoccupazione». Senza dimenticare il nodo Kosovo. Ma sul tema valgono le successive e più dirette affermazioni di Schulz. Da parte sua, un accigliato Dacic ha ribadito che i criteri Ue saranno soddisfatti e che il suo governo «vuole fortemente rimanere sulla strada verso l’Ue». Una strada che includerà, ha promesso Dacic, un più intenso dialogo con Pristina, «anche su temi politici e non solo tecnici». Ma del riconoscimento del Kosovo non se ne parla.
Stefano Giantin
“Il Piccolo” 5 settembre 2012
Belgrado, sostenitori dell’ingresso della Serbia nell’Unione Europea (foto www.sumadijapress.co.rs)