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Croazia, possibile resa beni a ebrei. Italiani alla finestra (Voce del Popolo 06 set)

Il vicepresidente del Sabor, Josip Leko, ha ricevuto ieri Rafael Eitan, presidente del Consiglio nazionale per la restituzione dei beni agli ebrei presso l’ufficio del premier israeliano, con il quale si è intrattenuto a discutere della resa del patrimonio confiscato o nazionalizzato alla comunità ebraica di Croazia. Nel comunicato emesso dopo l’incontro si rileva che in Croazia si sta lavorando alla Legge sugli indennizzi per i beni espropriati durante il regime comunista jugoslavo. I membri della delegazione israeliana – prosegue la nota – hanno espresso durante l’incontro le proprie aspettative e formulato suggerimenti in merito alla restituzione delle proprietà nazionalizzate agli ebrei dai 1941 al 1945.

Alla riunione è stato evidenziato che la Croazia non esclude la possibilità di restituire agli ebrei ciò che è stato nazionalizzato e che si stanno discutendo le modalità per risolvere la questione.

“Noi rispettiamo la posizione delle parti lese e stiamo attenti a non offendere i loro sentimenti. Nella soluzione di tale questione noi appoggeremo il principio che i beni nazionalizzati debbano ritornare nelle mani dei proprietari, però dobbiamo anche tener conto del fatto che mettendo riparo alle vecchie ingiustizie non se ne creino delle nuove”, ha dichiarato Leko, ricordando che la questione va risolta anche prendendo in considerazione le reali possibilità economiche dello Stato, nonché quelle della generazione attuale e di quelle future.

Alla riunione è stato messo in evidenza che entrambe le parti sperano in una soluzione da attuare in uno spirito di amicizia. La parte israeliana ha espresso comprensione per la situazione economica in Croazia, sottolineando che non richiede l’espropriazione delle proprietà per poter effettuare la restituzione ai vecchi proprietari.

Le aperture evidenziate da Josip Leko nel caso degli ebrei fanno ben sperare per tutti i cittadini stranieri, tra cui gli italiani, che sperano nella resa dei beni nazionalizzati nel secondo dopoguerra. Tali aperture sono tanto più significative se si pensa che all’inizio dell’anno era trapelata in via ufficiosa la notizia che il governo di Zagabria stava pensando di ricorrere a modifiche alla Costituzione pur di impedire la restituzione ai cittadini stranieri dei beni nazionalizzati o confiscati all’epoca del regime comunista jugoslavo. Chiaramente a Zagabria ora tira un vento diverso.

Di recente, nel suo discorso alla Knesset, il presidente della Repubblica, Ivo Josipović, ha ribadito la volontà della Croazia di restituire agli ebrei i beni sottratti dal regime ustascia nel corso della Seconda guerra mondiale. Fonti della presidenza però rilevano che il risarcimento potrebbe essere più che altro di carattere simbolico, morale, ad esempio la ricostruzione di una sinagoga a Zagabria. Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta dalla storica sentenza della Corte costituzionale del 21 aprile 1999 con la quale è stato imposto al Sabor di eliminare la discriminazione nei confronti dei cittadini di altri Paesi in materia di restituzione dei beni sottratti dal comunismo. Le successive modifiche di legge, fatte approvare dal governo di Ivica Račan, non sono bastate a tagliare il nodo gordiano dei beni: è stato infatti stabilito che il risarcimento possa essere concesso soltanto ai cittadini di quei Paesi con i quali la Croazia avrà firmato un accordo in merito. Dopo una decina d’anni si può solamente constatare che nessun accordo è stato sottoscritto.

A riaprire la vertenza è stata però la storica sentenza del 4 settembre 2009 della Corte suprema, con la quale a una cittadina brasiliana, Zlata Ebenspanger, è stato comunque riconosciuto il diritto alla resa dei beni. Questo verdetto dei giudici ha costretto il mondo politico a interrogarsi nuovamente sulla vicenda. E alla finestra stanno gli altri Paesi, tra cui l’Italia, i cui cittadini sono interessati a includersi nel processo di denazionalizzazione in Croazia. Finora si sono fatti avanti 4.211 cittadini stranieri, che reclamano la resa di 2.156 immobili, il cui valore attuale si aggirerebbe sui 500 milioni di euro. In testa sono gli italiani con 1.034 domande, seguono gli austriaci con 676, gli israeliani con 175, i tedeschi con 143, gli sloveni con 114, i cittadini delle Americhe con 14. Non si tratta di numeri da capogiro: se si optasse per la resa perlomeno dei beni in libera disponibilità, il peso finanziario potrebbe non essere eccessivo per lo Stato. Soprattutto se si considera che si tratta di edifici vetusti, che richiedono spese non indifferenti per il rinnovo e la manutenzione. Alla fin fine il Paese potrebbe anche guadagnarci in fatto di afflusso di capitali.

Va rilevato, comunque, che un’eventuale estensione agli stranieri del diritto alla resa dei beni molto probabilmente non riguarderebbe i casi coperti dai trattati firmati dalla ex Jugoslavia. Nel caso degli italiani, quindi, semmai ci fosse la volontà politica di concederlo, il diritto alla restituzione o all’indennizzo dei beni nazionalizzati sarebbe circoscritto solamente ai casi non coperti dai trattati sottoscritti fra l’Italia e la ex Jugoslavia. 

(fonte “la Voce del Popolo” 6 settembre 2012)

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