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Scoppia la guerra dell’Est alla falce e martello (Il Piccolo 24 set)

La falce e il martello, insieme alla stella rossa, al bando. La Moldavia non fa marcia indietro. Dopo aver stabilito a luglio, attraverso il voto parlamentare, il divieto per i partiti politici a utilizzare i simboli del «regime totalitario sovietico», la pubblicazione della nuova legge sul “Monitorul Official” ha segnato la rotta. Rotta che prevede l’entrata in vigore definitiva, dal primo ottobre, della proibizione assoluta di utilizzare nell’agone politico immagini ed emblemi che ricordino il passato dominio sovietico, durato fino al 1990.

 

Una decisione, quella moldava, che dovrebbe essere imitata pure dall’Unione europea, ha spiegato il locale leader liberale Mihai Ghimpu. Bruxelles «sbaglia a non condannare i comunisti tanto quanto i nazisti. Nel secolo precedente, non solo i moldavi hanno sofferto, ma anche gli ucraini e russi che vivevano qui. Falce e martello sono i simboli all’ombra dei quali persone innocenti sono state deportate in Siberia ed eliminate», ha dichiarato Ghimpu, suggerendo appunto l’opportunità dell’adozione di un divieto simile a livello continentale.

 

Una posizione non condivisa dal partito comunista di Chisinau, al potere dal 2001 al 2009, che sarà obbligato a dire addio a falce e martello. Falce è martello che sono «un simbolo nazionale, dietro il quale contadini e lavoratori hanno combattuto, il simbolo della vittoria sul fascismo. Non la daremo vinta, sarebbe un tradimento degli interessi del Paese», ha tuttavia fatto sapere il numero uno del partito, Vladimir Voronin. La mossa della Moldavia piacerà di certo a molti, a un migliaio di chilometri di distanza, a Budapest dove continua a tenere banco una sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu), l’ormai celebre “Fratanolo versus Ungheria”, pronunciata a fine 2011.

 

Janos Fratanolo era un «membro del Partito ungherese dei lavoratori», recita il verdetto. Ed era stato «condannato, secondo l’articolo 269/B del codice penale magiaro, per aver mostrato in pubblico un simbolo del totalitarismo». Quale? «Una stella rossa», esibita durante un’intervista in Tv. Condannato a pagare una multa, Fratanolo si era rivolto alla Cedu per avere giustizia. E aveva avuto la meglio. L’Ungheria era stata condannata per aver violato l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quello che tutela la libertà di espressione, e a sborsare al ricorrente 4mila euro di risarcimento. Un giudizio che aveva irritato e che tuttora infastidisce Budapest.

 

L’ultima uscita anti-falce e martello, quella del presidente del Parlamento magiaro, Laszlo Kover. Kover ha definito nei giorni scorsi «inaccettabile» la volontà di Strasburgo. Cosa dovrebbe fare l’Ungheria? Dimenticare gli orrori del giogo comunista «ed eliminare dai codici il divieto» a esibire i simboli dei totalitarismi, croce frecciata, falce e martello e svastica? Oppure «continuare a pagare risarcimenti all’infinito» a chi li ostenta? Un obbligo, quello stabilito dalla Cedu, che l’Ungheria rispetterà, anche se si tratta di un’ingiusta imposizione, ha specificato Kover. «Non ci sono differenze tra la svastica e la falce e il martello», ha poi aggiunto, parlando con l’agenzia di stampa magiara “Mti”. Kover, in passato, era stato ben più diretto, definendo «idioti» i giudici della Cedu, immemori «di quanto successo per 50 anni» in Ungheria.

 

Stefano Giantin

“Il Piccolo” 24 settembre 2012

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