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Nei versi di Dante l’anima ritrova verità e bellezza (Il Piccolo 17 ott)

Se mi viene da dire che Dante è il mio poeta, ciò non deriva da un avvenimento circostanziale quale può essere un pubblico riconoscimento, in realtà nemmeno prettamente letterario ma di carattere generico. Se così non fosse, non avrei, già sessant’anni fa, all’Università di Roma proposto come tesi di laurea “La Divina Commedia nelle traduzioni slovene”, tesi che poi uscì sulla rivista Ricerche slavistiche; tesi ignorata, per diversi motivi, tanto in Italia, quanto nell’allora comunista Slovenia.

 

Il lettore potrebbe dire, beh, invece di Dante potrebbe essere nominato anche un altro grandissimo poeta, ad esempio Wolfgang Goethe, da me, in verità, un tempo letteralmente adorato, oggi invece “soltanto” fortemente ammirato. Accanto a Goethe si potrebbero aggiungere anche altri nomi di autori dell’epoca moderna. Perché, dunque, questa mia preferenza per Dante? Unicamente per la sua genialità poetica? Ma di tale genialità si può parlare anche riguardo a Goethe. Ciò che mi distanzia in primo luogo da Goethe e da altri grandi poeti, è il carattere di Dante. Un carattere tanto poco latino, che per alcuni tedeschi egli sarebbe di origine germanica. In realtà, la taglia della sua virilità non ha paragoni in quasi nessuno dei grandi artisti moderni.

 

Dal punto di vista biografico Dante è un infelice figlio di una Firenze straziata da diverse fazioni politiche e, in seguito alle sue opzioni, è un altrettanto infelice esule per il Settentrione d’Italia. Una condizione di vita, dunque, ben diversa da quella principesca di Wolfgang Goethe e che gli ha fatto gustare il tragico volto dell’esistenza, come, tra gli autori italiani, lo ha fatto gustare ad un altro grande, Giacomo Leopardi. Quello che principalmente mi attrae in Dante è la sua grande maschia figura di uomo ritto nella bufera del Destino. Un’altra qualità con cui potrei scandalizzare qualche lettore è la politicità di Dante, in altre parole, il suo non stare ritirato nelle torri d’avorio di tanti caratteri olimpici, ma il suo saper coinvolgersi nell’avvenire sociale e politico del suo tempo fino al ricorrere alle armi. Tale coinvolgimento è possibile trovare in alcuni grandi autori greci, come Eschilo e Sofocle, ma non negli autori latini dell’età augustea, anche se Dante ne prende uno, Virgilio, come sua guida nell’aldilà della sua Commedia.

 

Da questo punto di vista Dante ci è oggi, in un’epoca fortemente politicizzata, particolarmente vicino, nonostante la sua nota utopia. Non sarei sincero, se non riconoscessi che Dante mi è più vicino di tutti gli altri grandi per la sua assoluta cattolicità, che al sesto centenario della sua morte (1921) si meritò perfino un’Enciclica ammirativa di Papa Benedetto XV. Come autore cattolico Dante rimane nella sua rocciosa ortodossia un esemplare senza paragoni. Qualcuno ha voluto individuare una risurrezione di Dante nel grande poeta francese Paul Claudel, che al centenario consacrò a Dante un’ode, purtroppo non all’altezza delle “Cinq Grandes Odes” del poeta francese. La fede di Dante è totale, senza il minimo dubbio tutta fondata sul Vangelo. È in nome di questa fede che erompe la sua polemica con una Chiesa troppo politicizzata.

 

I suoi riferimenti non sono tanto i teologi, anche se Tommaso è per lui un grande, ma i santi, in modo particolare quelli della cerchia apostolica come Pietro e Paolo. Non meraviglia dunque che il beato Giovanni XXIII abbia tenuto sul suo comodino La Divina Commedia. Per il sottoscritto già uno sguardo sulla copertina dell’opera di Dante equivale ad un’iniezione di fede in un universo che la civiltà moderna vuole eliminare, ma che continua a sussistere, aiutare e consolare. Altro motivo per la mia preferenza a Dante: la lingua e lo stile. Al confronto perfino il grandissimo Shakespeare dà alle volte l’impressione di compiacersi della sua letteratura. Anche Dante è un ammiratore del «bello stile e della gloria che ne proviene», ma a leggerlo tali compiacenze non si incontrano. La sua lingua è – in questo gli somiglia il nostro grande Prešeren – tutta sostantivo e verbo. La sua terzina è un capolavoro tecnico incomparabile, la scioltezza del dettato dantesco è visibile soprattutto nelle parti drammatiche della Commedia, come ad esempio nell’episodio del Conte Ugolino. Soprattutto oggi, che nel mondo dello spirito impera il Nulla, Dante rimane forse la più grande referenza non solo artistica, ma anche intellettuale e non solo per l’intellettuale cristiano. Non abbiamo sottolineato un altro aspetto di questa psiche titanica, la sua forza lirica; basti pensare all’inizio del canto: «Era già l’ora che volge il disio dei naviganti e intenerisce il core». Insomma, un poeta che mi nutre l’anima di verità e di bellezza.

 

Alojz Rebula

“Il Piccolo” 17 ottobre 2012

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