Oggi a Lubiana si svolgerà l’annuale conferenza intergovernativa Italia-Slovenia e l’appuntamento riporta in primo piano la questione dei finanziamenti legati alla legge 38 di tutela alle minoranze linguistiche. La scorsa settimana i dipendenti delle organizzazioni slovene in Italia erano scesi in piazza a Gorizia manifestando davanti al palazzo della Regione perché, in dieci mesi, non è stato mai stanziato il denaro dovuto per l’attività del 2012. Non solo, i 5.3 milioni di euro messi a bilancio da Roma negli ultimi anni sono stati ridotti a 4.4 milioni.
In bilico ci sono circa 200 realtà tra organizzazioni e circoli culturali. La costellazione delle attività legate alla minoranza slovena è ampia. Intorno alle due principali confederazioni, l’Skgz (Unione economica culturale slovena) di matrice laica e la Sso (Confederazione delle organizzazioni slovene) di matrice cattolica, ruotano enti di vario genere e natura: da quelli di tipo culturale, a quelli dedicati all’istruzione, passando dall’assistenza sociale e lo sport, fino alla ricerca. «Molte realtà dovranno mandare a casa qualcuno», osserva Rudi Pavsic, presidente regionale della Skgz che comunque riconosce: «Siamo nella stessa situazione di altre organizzazioni».
Il punto però è un’altro. Roma non ha ancora trasferito alla Regione i fondi previsti dalla legge 38 e Trieste intesa come capoluogo regionale, secondo la minoranza slovena, è colpevole perché non ha fatto la minima pressione a livello centrale per avere il denaro atteso. Livio Semolic, presidente provinciale dell’Unione economica culturale slovena, nota: «La Regione si è disinteressata e noi non possiamo accettare questo atteggiamento passivo nei confronti di una comunità che fornisce un apporto importante per la crescita di tutto il tessuto sociale».
A entrare nello specifico è Kristina Knez, direttrice del Dijaski dom, il doposcuola di lingua slovena frequentato a Gorizia da 90 ragazzi tra i 6 e i 16 anni. «Nelle scuole slovene ormai più della metà degli studenti viene da famiglie miste o solo italiane – spiega -. Non potendo i genitori aiutarli nei compiti, li portano da noi. Negli ultimi 15 anni, insieme al Kulturni dom, siamo stati i protagonisti dell’integrazione tra le due comunità. I ragazzi non sono divisi tra italiani e sloveni. Stanno insieme e imparano entrambe le lingue. Siamo una ricchezza per il territorio. Per questo siamo preoccupati per il comportamento della Regione. La base è in controtendenza rispetto alla politica».
Non si sta parlando di programmazione da tagliare, ma di un’attività già realizzata che rischia di non avere la copertura per gli stipendi già maturati, in questo senso per realtà come quella del Dijaski dom i tagli nei trasferimenti rappresentano un problema serio. «Non possiamo ridurre le spese, come potrebbe invece fare in fase di programmazione un’attività culturale con un cartellone. Da noi i costi sono fissi e riguardano la struttura», conclude la Knez. Nel notare che quella slovena, agli occhi della Regione, sembra essere una comunità invisibile, Pavsic osserva infine che, nonostante la crisi, «Lubiana non ha ridotto i contributi alle minoranze italiana e ungherese».
Stefano Bizzi
“Il Piccolo” 18 ottobre 2012
Livio Semolic, presidente provinciale dell’Unione economica culturale slovena (foto www.primorski.it)