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«Autori istriani: uscire da complesso inferiorità e aprirsi al mondo» (Voce del Popolo 18 ott)

Considerare la produzione letteraria degli italiani d’Istria e di Fiume in tutta la sua ricchezza e problematicità legata al territorio, per porre finalmente la necessaria attenzione critica su un patrimonio ingiustamente misconosciuto ai più. È questo il compito che lo studioso di Basilea, ma di origine italiana, Christian Eccher, si è imposto quale lavoro di ricerca per la sua tesi di dottorato, e ora diventato pure una saggio pubblicato dall’EDIT, dal titolo “La letteratura degli Italiani d’Istria e di Fiume dal 1945 ad oggi”. Il volume, fresco di stampa, sarà presentato al pubblico questa sera, in occasione del 60.esimo anniversario dell’inizio dell’attività pubblicistica della casa editrice fiumana. All’incontro, che si terrà all’Istituto Italiano di Cultura di Zagabria (ore 17.30), quale appuntamento della XII Settimana della Lingua italiana nel mondo, saranno presenti l’autore della ricerca, Christian Eccher, lo scrittore e accademico croato Predrag Matvejević e il direttore dell’EDIT, Silvio Forza.

 

L’autore ha indagato tutta quella produzione della letteratura italiana contemporanea che, come dice Tullio De Mauro nella sua introduzione all’opera, è “restata a lungo e in gran parte in un cono d’ombra per il rischio e timore che il parlarne si prestasse a strumentalizzazioni politiche di vario senso”. Privi di alcuna intenzione politicizzante, ma provvisti dal nostro senso di appartenenza e identità, abbiamo incontrato l’autore per un colloquio indagatore volto a illustrare gli aspetti caratterizzanti del suo lavoro.

 

Il volume è il frutto di un dottorato di ricerca alla Sapienza di Roma. Di solito tematiche di questo genere vengono analizzate e affrontate in centri universitari più vicini all’Istria e Fiume, come Trieste e Udine. Qual è il percorso professionale che l’ha portata a occuparsi di questo determinato argomento?


“Nel 1997 ho vinto un posto di dottorato in italianistica, che avrei voluto rifiutare: non avevo una borsa di studio e i miei interessi si stavano sempre di più spostando verso la letteratura comparata. Fu il professor Matvejević, con cui avevo dato un esame di letteratura serbo-croata, a spingermi ad accettare il posto di dottorato e a occuparmi della letteratura degli italiani in Istria. Ero dubbioso, perché dell’Istria e della sua letteratura io non sapevo assolutamente niente. Matvejević mi convinse dicendo che ero la persona più adatta per un lavoro simile, proprio perché non avevo alcun legame con l’Istria. Avrei potuto occuparmi dell’argomento in maniera più obiettiva rispetto a chi vive in Istria o nei dintorni. Matvejević mi ha dato i contatti di Claudio Ugussi e Giacomo Scotti, sono partito al più presto per incontrarli e da lì ho cominciato a scoprire l’Istria, un mondo affascinante e a me – come a gran parte degli italiani – completamente sconosciuto”.

 

“La letteratura degli Italiani d’Istria e di Fiume dal 1945 ad oggi” vanta la prefazione di Tullio De Mauro e l’aiuto di Predrag Matvejević. In che cosa ha consistito il loro contributo?


“Non conoscevo personalmente il professor De Mauro, non ero un suo studente. Era nel collegio di dottorato e fu lui a propormi di seguire la tesi, cosa che mi stupì perché, come tutti sanno, il professor De Mauro è un linguista e non un critico letterario. Nei momenti di difficoltà, e sono stati tanti, De Mauro mi ha anche spinto a non abbandonare il progetto che mi aveva suggerito Matvejević e che, all’interno del collegio di dottorato, non aveva riscosso un grande successo. L’Istria è, infatti, ancora un tabù. Ho lavorato contemporaneamente con il professor De Mauro e con il professor Matvejević, che conosce bene gli scrittori di cui tratto nella tesi. Matvejević mi ha seguito da dietro le quinte, perché non era nel collegio di dottorato. Se De Mauro non si fosse offerto di fare da relatore, se non si fosse rivelato così interessato all’argomento, dubito che questo lavoro sarebbe stato scritto”.

 

Com’è nata la collaborazione con l’EDIT per la pubblicazione di questo volume?


“È nata in occasione della presentazione della mia tesi di dottorato nell’ambito della Fiera del Libro di Pola. Era la fine del 2007. La presentazione fu organizzata dall’allora direttrice dell’IIC di Zagabria Paola Ciccolella, una persona estremamente gentile, colta e raffinata. In quell’occasione conobbi Silvio Forza, che mi propose di collaborare con l’inserto ‘Cultura’ del vostro quotidiano. Cominciammo allora a parlare della pubblicazione della mia tesi. In questi anni ho continuato a collaborare con l’Edit e soprattutto con la “Voce”, un’esperienza che mi ha fatto crescere moltissimo dal punto di vista giornalistico”.

 

Che difficoltà ha incontrato nella stesura del lavoro?


“Un mare di difficoltà. La prima è stata quella economica: vivevo a Roma da studente fuori sede, lavoravo e studiavo. Per tre anni ho condotto una vita monastica, solo studio e lavoro. La seconda grande difficoltà è stata quella di reperire la bibliografia: allora l’Edit non aveva ancora ristampato le opere dei principali autori istriani. Silvio Forza negli ultimi anni ha pubblicato a pioggia e ha salvato il patrimonio della CNI. Non a caso De Mauro lo definisce un ‘editore coraggioso’. Ho trovato la maggior parte dei testi di cui parlo nel libro nelle biblioteche di Roma (anche in piccole biblioteche rionali), Trieste e Pola. Qualcosa mi hanno dato gli autori che ho incontrato in Istria. Ci sono state molte difficoltà legate al fatto che in Italia, nelle sfere intellettuali, per l’Istria c’era scarso interesse. In realtà, molti studenti e colleghi venivano a cercarmi per chiedermi di poter leggere qualcosa della mia tesi, per sapere qualcosa di più degli autori istriani. Ma venivano alla spicciolata, di nascosto, quasi si vergognassero, come se stessero chiedendo qualcosa di proibito”.

 

Secondo lei che cosa rende particolare la produzione letteraria italiana in questa terra di confine?


“Il fatto che sia una letteratura incentrata sul dialogo, sulla riflessione storica, sul chiarimento di responsabilità passate. Uno sforzo enorme, dal punto di vista sia artistico sia psicanalitico, se posso usare un termine simile. Gli autori della CNI, abbandonati sia dall’Italia sia dalla Jugoslavia, si sono per anni interrogati sulle ragioni dell’esodo, sulle ragioni dello scontro con gli Slavi del Sud. Hanno salvato la memoria per poi salvarsi da essa. Uno sforzo enorme, paragonabile a quello del barone di Münchausen che si tira fuori dalle sabbie mobili da solo, afferrandosi per i capelli. Nonostante ciò, gli autori istriani soffrono di un complesso di inferiorità, tipico delle componenti minoritarie. Non sono assolutamente inferiori: nella seconda metà del Novecento, in un’epoca in cui la letteratura e la cultura italiane si occupavano di questioni per lo più stilistiche (vedi la Neovanguardia), la letteratura istriana veicolava contenuti profondi, cercava di instaurare un dialogo con la diversità, con coloro con cui in passato gli italiani si erano scontrati. Dubito che l’esperienza della Dieta Democratica Istriana si sarebbe potuta concretizzare senza la letteratura e il percorso – doloroso e unico – che essa ha promosso nella coscienza della CNI”.

 

In che posto si collocano i letterati italiani dell’Istria e di Fiume nello scenario più ampio della produzione letteraria italiana?


“I letterati istriani hanno un posto assolutamente unico, non solo all’interno della letteratura italiana; il comparatista slovacco Dyoniz Durisin parla di centrismi interletterari, gruppi di letterature nazionali che hanno delle peculiarità comuni. Questa definizione mi piace molto, perché va oltre il concetto di letteratura nazionale, che è ottocentesco e pertanto completamente superato. La letteratura istriana è un ponte a cavallo fra il centrismo interletterario del Mediterraneo, quello balcanico e quello dell’Europa centrale. Sta agli istriani uscire dal complesso di inferiorità e aprirsi al mondo. Caduto il muro, con la Croazia presto nell’UE, il rischio maggiore per l’Istria e per la sua letteratura è il provincialismo. Sta ai giovani autori e intellettuali andare oltre, far fruttare il patrimonio culturale istriano che è ricchissimo. Silvio Forza e l’Edit hanno già cominciato questo cammino”.

 

Tra tutti gli scrittori della nostra realtà qual è, secondo lei, il maggiore?


“Ce ne sono diversi: Nelida Milani, Claudio Ugussi, Loredana Bogliun (la migliore poetessa italiana dialettale), Alessandro Damiani, Lucifero Martini. E fra i più giovani Mauro Sambi, un talento poetico fuori dal comune”.

 

Qual è, invece, quello ingiustamente meno considerato?


“Alessandro Damiani. Un gigante del pensiero, un prosatore e un poeta estremamente raffinato, ignorato in Italia soltanto perché proveniente da una realtà che le élite italiane considerano periferica. In Istria invece non è stato giustamente valorizzato perché credo non sia stato fino in fondo capito”.

 

L’opera è dedicata a Don Lorenzo Milani. Può spiegarci il perché di questa dedica?


“Vede, al contrario della maggior parte di coloro che si occupano di letteratura e che lavorano all’Università, vengo da una famiglia umile. Sono figlio di emigranti, rientrati poi in Italia, quando io ero ancora un bambino. Don Milani, per questioni anagrafiche, non l’ho conosciuto personalmente, ma di lui ho sentito parlare sin da piccolo. Ricordo mio cugino Nicola, più grande di me, che leggeva “Lettera a una professoressa” davanti al camino, al paese di mia madre, in Molise, dove ci si trovava con i parenti in occasione delle feste natalizie. Don Milani l’ho ritrovato poi all’Università, lo citava spesso il professor De Mauro a lezione. Don Milani è stato il primo in Italia a parlare di come, nell’Italia del Secondo Dopoguerra, le differenze di classe si sentissero innanzitutto a scuola; di come Gianni, figlio di contadino, conoscesse meno parole di Pierino, figlio di medico, e di come questo penalizzasse Gianni per il resto della sua vita. La scuola ha il compito di rimediare a questa ingiustizia, un’ingiustizia linguistica che diventa poi sociale. Il discorso di Don Milani è ancora valido: le classi sociali esistono ancora, eccome, solo che oggi le differenze sono meno visibili, siamo tutti immersi in un grande ‘pastone’ – il pastone postmoderno –, in cui si ha solo l’illusione di essere tutti uguali, in cui essere schierati non è più di moda, perché tutti dobbiamo lavorare per la ‘crescita’ economica e per uscire dalla crisi. Panzane. La società contemporanea, in tutto l’occidente e non solo, è completamente anestetizzata, non si rende conto delle profonde ingiustizie che la caratterizzano. O, peggio ancora, le accetta, le considera naturali. Non credete a ciò che dico? Andate in una qualsiasi Università, prendete il personale docente e ditemi quanti figli di famiglie umili lavorano lì. Vedrete che nelle Istituzioni di prestigio ci sono solo Pierini, di Gianni ce ne sono pochissimi, se ce ne sono. Senza l’esperienza e l’impegno di Don Milani, che ha rivoluzionato il modo di fare scuola in Italia (anche se da questo punto di vista si sta tornando pericolosamente indietro, ma questo è un discorso che affronteremo un’altra volta), dubito che avrei potuto ottenere un dottorato. E dubito anche che questo libro sarebbe stato scritto. Per questo ‘La letteratura degli italiani d’Istria e di Fiume’ è dedicata al Priore di Barbiana e a nessun altro”.

 

Gianfranco Miksa

“la Voce del Popolo” del 18 ottobre 2012

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