ROVIGNO – Raccontare l’irraccontabile inferno che nel cuore degli anni Cinquanta del secolo scorso il regime di Tito creò, nello sperone di roccia in fondo al Canale della Morlacca, per regolare i conti con i suoi avversari (interni e esterni), lontano dagli occhi dell’opinione pubblica e degli osservatori internazionali, affinché non si offuscasse quel “volto umano” del socialismo jugoslavo all’epoca in via di costruzione. E di fronte alla latitanza delle fonti d’archivio, prorompe la memoria di chi ha vissuto in prima persona la “sanguinosa nota a piè pagina della storia universale” – come la definì nel 1990 Claudio Magris (che ne ha riassunto gli orrori attraverso la dolente figura di Salvatore Cippico nel romanzo “Alla Cieca”, Nuova biblioteca Garzanti, 2005) – del gulag di Goli Otok/Isola Calva. Parlano i protagonisti (come recita il titolo di un libro di Lucifero Martini del 1976), anche quelli che non sono riusciti a sopravvivere alla pubblicazione delle loro testimonianze registrate dal ricercatore Luciano Giuricin e uscite nel volume “La memoria di Goli Otok – Isola Calva”, decima monografia del Centro di Ricerche storiche di Rovigno, stampata con il contributo di Unione Italiana – Università Popolare di Trieste e presentata lunedì sera in collaborazione con la Comunità degli Italiani di Rovigno nella sede del CRS in piazza Matteotti 13. Sono intervenuti, oltre all’autore, il direttore del CRS Giovanni Radossi, il presidente della locale CI Elio Privileggio, nonché i ricercatori Raul Marsetič e Orietta Moscarda Oblak.
Nei saluti Privileggio, figlio di un deportato a Goli Otok, ha ringraziato gli organizzatori per aver scelto il sodalizio rovignese quale ente ospitante dell’evento, mentre Giovanni Radossi, introducendo il volume di Giuricin, ha rilevato che per il Centro di Ricerche storiche questa è una delle tappe più importanti del legame tra l’istituzione e il territorio, una pagina che testimonia i momenti difficili che hanno coinvolto tutte le categorie sociali e che ha avuto risultati drammatici per la composizione etnica della regione, favorendo la macchina infernale degli esodi. Radossi ha citato le varie “fughe”, da quella del ’43 allo svincolo dalla cittadinanza italiana nel ’55/’56, e fino ai tempi più recenti, a quello strisciante esodo, soprattutto di giovani, all’epoca della dissoluzione della Jugoslavia, che ha visto andarsene circa 10mila persone, molte delle quali non sono più rientrate.
“La memoria di Goli Otok – Isola Calva” – decimo frutto di una collana del CRS che, avviata nel 1971, ha subito una pausa di diciotto anni, riprendendo a uscire due anni fa – è un intreccio tra storia e memoria. E sebbene si tratti di una forma che, sotto l’aspetto metodologico, è una questione ancora estremanente problematica per la storiografia contemporanea, l’autore giustamente “evita facili semplificazioni di assolutizzazione del valore della memoria rispetto alla ricostruzione storica”, come precisato da Raul Marsetič. Ricorrendo a una serie di interviste (oltre che delle necessarie contestualizzazioni) Giuricin ha affrontato il capitolo legato al campo in cui furono relegati i dissidenti, dopo il dissidio con l’URSS di Stalin e l’epurazione dal Partito comunista jugoslavo dei cosiddetti cominformisti. A farne le spese furono anche diversi italiani (molti monfalconesi) che seguirono la svolta del Cominform, diventando “nemici del popolo”. La repressione fu dura: soprusi, umiliazioni, licenziamenti, emarginazione, reclusione sull’Isola Calva o in altri campi di detenzione, lavoro coatto. Giuricin ha ripercorso le vicende di una quarantina di istriani e fiumani, comunisti e non, diversi anche giornalisti del nostro quotidiano e della EDIT. A illustrare ciò che significò la “scomunica” e l’accusa di essere dei cominformisti, sia per i diretti interessati sia per i loro familiari e amici (Giuricin ha realizzato le interviste nei primi anni Novanta): Antonio (Gian) Giuricin, Silverio Cossetto, Ferruccio Glavina, Gino Kmet, Francesco Sponza, Giorgio Privileggio, Antonio Buratto (Eleonora Biondi-Buratto racconterà la sua storia, giacché si vide arrestare il marito, il suocero e il fratello), Ivan Kudumija, Sergio Borme, Virgilio Giacomini, Giordano Godena, Silvano Curto, Eligio Zanini, Nicolò Quarantotto, Corrado Rocco, Giovanni Barbalich, Petar Radošević, Emilio Tomaz, Mauro Sfeci, Mirko Grubisich, Bruno Flego, Corrado Illiassich, Giovanni Stermatich, Gemma Sponza-Hervat, Mirella Vlacich-Hervat, Cesare Vlacich, Quintino Bassani, Marcello Snidersich, Ferruccio Coslovich, Ferruccio Nefat, Libero Sponza.
Ma come si arrivò a tutto ciò? In quale contesto va inserita la tragedia di Goli Otok? “La resa dei conti con i potenziali o presunti nemici della Jugoslavia era iniziata ancora prima della fine del conflitto e dell’annessione dell’Istria e di Fiume allo stato jugoslavo – ha spiegato Orietta Moscarda Oblak, ricercatrice del CRS, che del volume di Giuricin firma la prefazione –. Come nel resto del paese, anche nella regione si erano sviluppate una serie di violenze verso chi era stato incolpato, senza processo, di collaborazionismo, come pure il terrore nei confronti di chi non si era allineato con il potere jugoslavo. C’erano stati arresti e deportazioni nei campi di concentramento, così come infoibamenti di soldati tedeschi, di fascisti, di collaborazionisti processati dal ‘tribunale del popolo’, di partigiani filoitaliani e di molti civili. Nel novembre 1945 con le prime elezioni dello stato jugoslavo, anche in Istria in Fronte Popolare, diretto dai comunisti, aveva ottenuto la maggioranza assoluta. La Jugoslavia era diventata una repubblica, adottando nel 1946 una costituzione di tipo sovietico. Nel settembre 1947, quando in Istria e a Fiume era anche fattivamente entrato in vigore il Trattato di pace e vi erano state estese tutte le leggi jugoslave, la persecuzione contro i nemici passati e presenti del nuovo regime era continuata, essendo ogni oppositore politico (esponenti di qualsiasi partito diverso da quello comunista), sociale (piccola e grande borghesia, ceto medio), religioso o culturale (gli intellettuali) etichettato di fascista e collaborazionista, o nemico del popolo, e il solerte lavoro dei ‘tribunali del popolo’ aveva ridotto presto al silenzio qualsiasi voce di dissenso. Dal 1945 al 1948, durante la fase staliniana del regime jugoslavo, erano stati avviati dei drastici cambiamenti di carattere rivoluzionario nella società istriana, in nome della ‘costruzione del socialismo’”, ha detto la ricercatrice, che negli ultimi anni si sta occupando proprio del periodo della costituzione del potere popolare in Istria e dell’immediato dopoguerra. “Nel 1948, invece, con la risoluzione del Cominform contro il Partito comunista jugoslavo per ‘deviazionismo’ ideologico e la sua conseguente espulsione dall’organizzazione dei paesi comunisti, le vittime della nuova ondata di epurazioni furono individuate nello stesso partito comunista, tra gli stessi compagni e collaboratori che avevano appoggiato l’annessione alla Jugoslavia e il nuovo potere popolare. L’ondata di repressione che ne seguì in Istria, a Fiume e in tutto il paese fu tale che soltanto una logica totalitaria poteva permettere che fosse distrutta una parte consistente e capace dello stesso gruppo dirigente comunista”, ha concluso Moscarda Oblak. Si trattava di una logica secondo la quale in Jugoslavia potevano esistere solo italiani che, supinamente, avrebbero accettato la condizione di minoranza e che avrebbero obbedito ai diktat del regime. Ne risulterà l’esodo in massa, ossia una comunità italiana rimasta, priva non solo del suo potere economico, ma epurata anche sotto il profilo politico e sociale.
“Anche se il titolo si rifà a Goli Otok, che fu certamente l’ultima spiaggia per i cominformisti irriducibili, non si deve credere che i patimenti subiti da numerosi protagonisti siano legati solo a quella esperienza. Essi furono di ben più ampie proporzioni, sia prima, sia dopo la permanenza all’Isola Calva degli interessati diretti, ma anche per coloro che subirono altre specie di vessazioni – ha sottolineato Luciano Giuricin –. Tra queste da segnalare l’invio al lavoro coatto alla ferrovia Lupogliano-Stallie, a Fužine e Skrad in Gorski kotar, nelle cave di bauxite, nelle miniere d’Arsia, ecc. Tutte le persone intervistate hanno descritto nei particolari le tristi condizioni di vita imposte ai cominformisti e alle loro famiglie, incominciando dai licenziamenti in tronco, dallo sfratto degli alloggi, dai processi pilotati, per finire agli abusi di ogni genere riservati ai congiunti costretti a svolgere i servizi più umilianti: spazzini, lavori pesanti di manovalanza e di rimboschimento, anche per le mogli costrette a lasciare i posti di lavoro di insegnanti, di impiegate e di tante altre professioni”. Nell’opera sono pubblicati in calce i nominativi di ben 452 persone che hanno subito in vari modi le conseguenze delle vicende legate al Cominform, 169 delle quali hanno provato la triste esperienza dell’Isola Calva.
Ilaria Rocchi-Rukavina