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La nostra storia vista dal Regno Unito (Voce del Popolo 27dic12)

La nostra storia, dal Fvg sbarca nel Regno Unito. La professoressa Luisa Morettin del prestigioso King’s College di Londra sta compiendo una ricerca sulle testimonianze dell’Esodo e grazie alla collaborazione dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia si è prefissa l’intento di “ampliare i confini della conoscenza sulla storia italiana ed europea del secolo scorso”. Il Regno Unito, pur avendo avuto un ruolo importantissimo nella questione del confine orientale, sembra non conoscere affatto la nostra storia. Grazie alla professoressa Morettin, la storia dell’Esodo – il vero dramma delle nostre terre – verrà diffusa anche in quella società che tanto fu coinvolta nella questione istriana.

 

Rispettare la memoria significa risarcire il male fatto comprendendo la sua origine. L’ha scritto su “Difesa Adriatica”: è questa la direzione intrapresa dalla storiografia che si occupa del confine orientale italiano?


“Direi di sì. Accanto al lavoro di studiosi quali Moodie, Duroselle, Cox e Cusin, che hanno esaminato la storia del nostro confine tra gli anni ’40 e ’50, a livello locale se ne sono occupati storici quali Pupo, Valdevit, Spazzali e Apih i quali hanno affrontato su un piano rigorosamente storico la questione delle foibe e dell’esodo cercando di sottrarla al ricatto delle opposte memorie. A differenza di quanto sostenuto da alcuni studiosi come Bernard Bruneteau, che nel suo “Il secolo dei genocidi” afferma che “le rivendicazioni degli italiani giuliano-dalmati non sono pienamente legittime”, ritengo che vada comunque superata la logica fatta di giustificazioni e recriminazioni. Il mio studio si concentra su coloro che sono stati risucchiati dal vortice della violenza perché tutti i crimini di guerra, che siano commessi dalla Destra o dalla Sinistra, dalle vittime o dagli aggressori, sono e rimangono dei crimini contro l’umanità e in quanto tali noi studiosi abbiamo l’obbligo morale e ontologico di analizzarli, narrarli e condannarli”.

 

Nel 2011 lei fece uno studio sulle rappresentazioni letterarie del dramma dell’Esodo analizzando scritti di Anna Maria Mori, Nelida Milani, Enzo Bettiza. Ora fa parte di questo suo lavoro?


“La memoria individuale, a differenza di quella collettiva e istituzionale, è ritenuta per certi aspetti inaffidabile in quanto soggetta alle deformazioni e limitazioni intrinseche alla memoria umana. Per tale ragione a volte viene snobbata dalla storiografia: appare come una fonte sospetta, per dirla con Primo Levi, inesorabilmente soggetta alla deformazione del ricordo, come se a scrivere fossero dei falsari della memoria. Tuttavia sono convinta che la verità si trovi non solo nelle fonti d’archivio, riservate ad una ristretta cerchia di lettori specialisti, ma è racchiusa anche in una variegata produzione letteraria che presenta il vantaggio di non perdere mai di vista la sofferenza umana. Per questa ragione nella mia attuale ricerca oltre alle fonti primarie, che rappresentano buona parte dell’indagine, ho voluto introdurre, sia pure in misura minore, alcune considerazioni contenute nelle opere di romanzieri e intellettuali sia nostrani sia stranieri. È un po’ come voler declinare contemporaneamente storia e letteratura”.

 

Da dove è partita questa ricerca e perché ha voluto concentrarsi proprio su tale tema?


“Il mio cognome chiaramente denota origini veneto-friulane. Detto ciò, ho scoperto l’argomento storico solo tardivamente ed in modo fortuito, precisamente dopo la pubblicazione nel 1992 del romanzo di Carlo Sgorlon, “La foiba grande”. Sia al liceo che ho frequentato in Friuli e poi all’università di Padova non si è mai fatto cenno alla questione giuliana, anzi per quanto riguarda i programmi scolastici si arrivava alla maturità avendo a malapena studiato la Prima Guerra Mondiale. Però ricordo chiaramente che, non distante da casa mia, vivevano “gli istriani” o “quelli là” – dicevano gli adulti, con un tono che mal celava una forma di quasi disprezzo o comunque faceva intuire un tono di superiorità. Dopo Sgorlon ho scoperto lo splendido racconto-diario di Marisa Madieri, “Verde acqua”, e altri autori come Graziella Fiorentin, Anna Maria Mori, Enrico Morovich, Enzo Bettiza e Nelida Milani. Una volta soddisfatta la curiosità letteraria, il passo verso l’analisi storica di fonti primarie è stato più che naturale”.

 

Nel Regno Unito si conosce la storia del confine orientale italiano?


“La conoscenza della questione giuliana e del conseguente Esodo è quasi inesistente ed è prerogativa di pochissimi studiosi che si sono specializzati nel primo periodo della guerra fredda”.

 

Quale l’obiettivo di questa ricerca?


“Con questo libro, che spero esca nella primavera prossima per i tipi dell’Anvgd, credo di aver raggiunto i tre obiettivi che mi ero prefissa: il primo è quello di restituire dignità e riconoscimento storico alle vittime dei massacri a cui la vita non è bastata per raccontare; il secondo è quello di offrire al lettore i contorni e i contenuti di una realtà estremamente brutale, che punta dritto al lato oscuro dell’uomo; e, terzo, mi auguro di aver reso esplicito il concetto che il male subito non legittima il male inflitto”.

 

Non capita molto spesso che le questioni del confine orientale d’Italia vengano studiate all’estero. Qual è l’importanza che questa ricerca potrebbe rivestire all’interno della storiografia internazionale?


“Senza voler peccare di falsa modestia, mi auguro che possa ampliare i confini della conoscenza sulla storia italiana ed europea del secolo scorso. Un “secolo delle ideologie assassine”, come l’ha definito lo storico Robert Conquest, in nome delle quali sono stati perpetrati crimini inenarrabili contro individui e intere popolazioni e su cui non sempre è stata fatta chiarezza”.

 

Dopo questo lavoro di ricerca quali sono i Suoi progetti accademici?


“Dopo aver studiato le esecuzioni di massa compiute dalle forze di Tito nella Venezia Giulia, vorrei passare allo studio dei crimini fascisti. In questo modo i miei critici forse smetteranno di definirmi fascista, come se la verità dovesse essere per forza di colore rosso o nero. Alcuni italiani sono ancora così politicizzati che non riescono ad immaginare che uno studioso, indipendentemente dal proprio orientamento politico, riesca a scrivere un’opera di verità: credo che questa sia una delle differenze fondamentali tra l’approccio storico italiano e quello britannico. Sebbene siano passati ormai settant’anni da quei tragici eventi, gli italiani continuano ad avvolgerli con un manto di emotività. I termini ‘comunista’, ‘partigiano’, ‘fascista’ e i sentimenti che evocano sono ancora ben radicati nella memoria individuale e collettiva del paese, fattore che ancora collega il passato al presente tanto che, come già sottolineato dallo storico Jay Winter, il passato diviene un uso polemico del passato per ridefinire il presente”.

 

Nicolò Giraldi

“la Voce del Popolo” 27 dicembre 2012

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