Il ventre molle dell’impero romano è stata la regione tra il Norico a Nord e la Pannonia a Est. Quindi Aquileia, ricco mercato verso le regioni ultime aggiunte al territorio dell’impero, andava protetto e addirittura valorizzato con la costruzione di strade comode per sostituire le vetuste carrareccie e con valli di difesa e sbarramento. Verso Emona, l’odierna Lubiana, la via Postumia assicurava i traffici verso la Pannonia e, ancora a Postumia – vero snodo stradale – si dipartivano i valli e i castra difensivi, con l’assembramento rilevante di truppe inquadrate nelle legioni di stanza nella Regio Venetia et Histria.
Si possono visitare ancor oggi la fortificazione di Piro (sopra Vipacco) e la strada che prosegue fino a Vrhnika, l’antica Nauportus, in prossimità di Lubiana. Costruzioni già studiate da Kandler e dal reverendo Hitzinger, sodale dello storico triestino, che fissò date abbastanza verisimili per i castelli lungo la via che arrivava a Emona, passando alle spalle del monte Nanos. A proposito del Nanos: la zona è stata nei secoli cruciale per il passaggio di bande armate, di avanguardie di eserciti in cerca di foraggi e dotazioni militari. A Podnanos si trovano esempi di caseforti attrezzate non molti secoli fa, costruzioni difensive in funzione di invasioni turchesche e di passaggi dei pirati adriatici.
La Regio Venetia et Histria è stata anche una delle zone di arruolamento di legionari, chiamati a difendere i confini dell’impero già sotto Marco Aurelio. L’imperatore Probo, nativo dell’attuale Srpska Mitrovica, aveva capito che un esercito senza nutrimenti non regge. Allora aveva fatto studiare un vitigno che potesse rappresentare un simbolo del passaggio di Roma per terre inospitali che però fosse anche di utilità ai legionari chiamati a compiti pericolosi e di lunga durata. Non partivano più anfore e anche le prime botti in legno piene di vino in direzione di Vindobona (Vienna) nel Norico o verso la Pannonia ma il vino lo si doveva fare sul posto incalmando vitigni locali, adusi a climi non troppo miti, con i Falerni, l’Ellenicum della zona napoletana e pugliese che l’imperatore faceva arrivare.
Dal Nord Est dell’impero i vitigni hanno fatto la strada assieme alle legioni romane e sono finiti nelle Gallie, in Germania attorno alle rive del Reno e della Mosella, in Pannonia, nel Burgeland austriaco affiancando il letto del Danubio. Gli accampamenti stabili delle legioni – di tanti veterani con mogli e figli che sono diventati coloni alla fine della ferma – si contano a decine e vi alloggiavano la II e III Adiutrix, la I e II Italica, la Gemina, la Pannonica, la IV Flavia e la VII Claudia: più di 100 mila militari che condivano col Garum e bevevano moltissimo vino. Certi nomi di vitigno tradiscono l’antichità dell’origine – come stanno dimostrando le ricerche sul Dna fatte a Pavia e nelle università della California – se solo si pensa al Traminer che deriva da Terminus (confine), i vini di Borgogna impiegano i vitigni Romain e Cesar confluiti nel Pinot Noir, al Nord l’Argitis si associa all’Heunish (che sarebbe l’Unno, cioè la terra di Pannonia) per i Riesling; il Cordonnacum nato tra Croazia e Ungheria è diventato Chardonnay.
La viticoltura romana è rimasta tale fino all’inizio della piccola glaciazione del XIII secolo. A fine glaciazione, le viti rimaste hanno subìto la devastazione della peronospera e il rinforzo delle viti americane, talché oggidì i vini sono del tutto diversi da quelli antichi. Ma – fatti con gli accorgimenti e la sapienza dei tecnici attuali – risultano molto suadenti al nostro palato.
Bruno Lubis
“Il Piccolo” 3 gennaio 2013