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Fiume e la Carta del Carnaro (CorSera 04gen13)

In questi giorni ricorre il 92° anniversario del martirio di Fiume e del dimenticato, ai più, Natale di sangue. La Reggenza italiana del Carnaro proclamata dal poeta Gabriele D’Annunzio, è stata sovente banalizzata, accompagnando l’impresa fiumana e la successiva «occupazione» a bordelli, consumo di stupefacenti e orge. Tuttavia la Reggenza si fondava sulla Carta del Carnaro i cui principi erano, e sono, alla base di un sistema democratico ancorché corporativo: dal suffragio universale senza distinzione di sesso al sistema assistenziale e pensionistico; dall’unicità del sistema d’emissione alla libertà di iniziativa economico privata.

 

Tutte questioni che anticipavano di gran lunga gli eventi che in Italia si sarebbero sviluppati solo con le politiche riformiste del Fascismo o, più tardi, con l’Italia repubblicana. Nell’«impresa fiumana» vi furono almeno tre componenti: quella nazionalista, quella libertaria dei sindacalisti rivoluzionari, e infine un buon numero di avventurieri, teste calde, ufficiali disoccupati del Regio Esercito e veterani appena smobilitati a cui prudevano ancora le mani. Alceste De Ambris, autore della Costituzione, apparteneva alla seconda componente. Era nato nel 1874, aveva aderito alla fazione rivoluzionaria del sindacalismo europeo, aveva organizzato scioperi e fondato l’Unione sindacale italiana, era stato eletto alla Camera con i socialisti nel 1913 e aveva fatto campagna per l’intervento dell’Italia in guerra nella primavera del 1915.

 

Nelle memorie di Francesco Saverio Nitti, presidente del Consiglio dei ministri durante la vicenda fiumana, la sua Costituzione è definita «ridicolissima», «stupidissima», «comica», «idiota» e «degna solo di una riunione di mattoidi». Nitti manifestava con queste parole tutte le sue frustrazioni per una vicenda che non aveva saputo affrontare con la necessaria energia. In realtà la Carta è un esercizio utopistico, ma non è priva di coerenza, intelligenza, proposte interessanti; ed è scritta, per di più, con uno stile stringato e chiaro, senza le volute barocche di molti testi giuridici italiani.

 

Nelle parole di De Ambris, Fiume è una città-Stato fondata sul lavoro, in cui la società è divisa in sette corporazioni, la proprietà privata è riconosciuta ma deve avere una funzione sociale, uomini e donne godono degli stessi diritti e i cittadini votano a vent’anni. In attesa della annessione all’Italia, il piccolo Stato fiumano avrebbe avuto una Camera dei rappresentanti, composta da almeno trenta deputati, un Consiglio economico formato dalle sette corporazioni, un esecutivo ricalcato su quello della Confederazione elvetica, una Corte suprema chiamata a deliberare sui conflitti istituzionali e sulla correttezza costituzionale delle leggi. Con il diritto di voto nelle elezioni politiche i cittadini di Fiume avrebbero avuto anche quello di promuovere referendum e di revocare le cariche pubbliche. Come il lettore avrà notato, alcuni di questi principi riappaiano nella Costituzione italiana del 1948.

 

Un altro testo su cui la Carta del Carnaro ebbe una certa influenza è la Carta del lavoro del 1927. Il testo fascista ebbe il merito di assicurare ai lavoratori alcune importanti garanzie economiche e giuridiche, ma, a differenza di quello scritto da De Ambris, è molto più statalista ed esplicitamente illiberale. Ricordo soltanto l’art. 23: «Gli uffici di collocamento sono costituiti a base paritetica sotto il controllo degli organi corporativi dello Stato. I datori di lavoro hanno l’obbligo di assumere i prestatori d’opera tramite detti uffici. Ad essi è data la facoltà di scelta degli scritti negli elenchi con preferenza a coloro che sono iscritti al Pnf ed ai sindacati fascisti, secondo l’anzianità di iscrizione».

 

Sergio Romano

“Corriere della Sera” 4 gennaio 2013

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