Fra pochi giorni cadranno i confini fra l’Italia e la Slovenia, sarà quindi possibile passare da uno Stato all’altro senza dover sottostare alle formalità burocratiche che, in molti casi, rendevano difficile il transito delle persone e delle merci.
Si tratta di un grande passo in avanti dell’Europa – e dell’Euroregione autorevolmente promossa in Friuli Venezia Giulia – ma anche di un momento di transizione dalla barriera rappresentata prima dalla “cortina di ferro” e poi dagli “ effimeri confini tracciati dalla politica”, alla libera circolazione.
E’ auspicabile che sparisca pure “ la frontiera autentica e secolare che ha separato due mondi e due culture” come scrive P. Rumiz in “Vento di terra”.
E’ giusto quindi che il momento storico venga festeggiato adeguatamente e che all’avvenimento venga riservato il doveroso, giusto risalto.
Mi sembra, d’altro canto, che in questo importante momento non possa essere dimenticata la vicenda che drammaticamente coinvolse centinaia di migliaia di istriani, fiumani e dalmati, costretti a passare il confine con le proprie povere cose, per un abbandono definitivo della loro terra.
Per molti degli esuli, il posto di blocco di Albaro Vescovà/Scofie è stato il luogo di transito definitivo nella scelta del mondo occidentale, intendendo con questo termine non solo un concetto puramente geografico, ma tutto ciò che sottintendeva: libertà, democrazia, professione del proprio credo religioso, possibilità di trovare lavoro e ricostruirsi una vita.
Non voglio dilungarmi a raccontare le vicissitudini umane che gli esuli hanno vissuto ad Albaro Vescovà/Scofie e le sofferenze di chi era costretto a partire.
Desidero invece chiedere, contando sulla sensibilità dei nostri politici coinvolti nei festeggiamenti, di fare sì che nel giorno in cui cadono i confini, venga preso l’impegno di erigere una stele, un monumento, comunque un segno tangibile, che ricordi come da quel luogo, oggi di libero transito, siano passati in una dolorosa processione migliaia di istriani, fiumani e dalmati avviati all’esilio.
Ritengo che un’iniziativa in tale senso sarebbe apprezzata non soltanto dagli esuli e dai loro discendenti, ma da tutti quanti si rendono conto dell’importante passo avanti nella convivenza fra i popoli celebrato con la caduta dei confini.
Confido che questa richiesta sarà accolta anche a consolazione di chi ha vissuto il dramma dell’esilio e al riguardo riporto come due esuli hanno ricordato il passaggio della frontiera.
M.Petronio in “Scritti vari – L’ospite sconosciuto” racconta come Silvia Toscan e suo figlio Franco – fondatore della Casa di cosmetici MAC, diventato un magnate dell’industria cosmetica nord americana – passarono la frontiera: “Partirono madre e figlio accompagnati dal padre di lei; poco bagaglio riuscì la mamma a mettere assieme, tuttavia tanto da non potersi caricare anche quello del figlioletto. Il bambino che allora aveva appena sei anni e forza fisica proporzionata all’età, non riusciva ad afferrare la sua valigia per il manico e così la madre vi legò uno spago attorno e il bambino trascinò la valigia lungo la strada polverosa fino al confine con l’Italia. Quando arrivarono alla stanga di confine, una giovane guardia confinaria sferrò un calcio al nonno, in segno di disprezzo perché lasciavano il paese. L’anziano incassò senza reagire perché lui e il resto della famiglia, dovevano continuare a vivere in quel luogo. Oltrepassarono la stanga madre e figlio….”
Mio padre Albino ricordava: “ Ed ecco il giorno della partenza, il 31 luglio 1955, forse il giorno peggiore della nostra vita. Alle otto del mattino era già arrivato il camion, con le guardie popolari che dovevano pesare le cose che avevamo il permesso di portare con noi. Poco dopo le tredici era tutto pronto e partimmo. Mia moglie Agnese e i due figli con l’auto, io invece con il camion. Un’ora più tardi eravamo al confine, in Italia e tutti tirammo un sospiro di sollievo. La nostra destinazione era via Tiziano Vecellio, dove abbiamo trovato la gente arrivata alcuni giorni prima. Dormivamo tutti assieme in uno stanzone, divisi soltanto da qualche telo…”
Silvio Delbelllo
da www.arcipelagoadriatico.it