“Quella delle foibe e dell’esodo dall’Istria e dalla Dalmazia è una ferita ancora aperta nella storia del nostro Paese, non capisco la strumentalizzazione che ne fanno alcuni esponenti della sinistra”.
Parole che non ti aspetti se non al di dentro di polemiche politiche alle quali da anni siamo abituati. A pronunciarle, invece, è Simone Cristicchi. Il cantautore romano, dopo la vittoria del 2007, si appresta nuovamente a partecipare al Festival di Sanremo.
E nel suo disco, in uscita il 14 febbraio, ci sarà una canzone che affronta di petto il tema della diaspora giuliana: Magazzino 18. Lo stesso titolo del primo spettacolo teatrale sul tema, che debutterà il 22 ottobre al teatro Stabile di Trieste, scritto a quattro mani con Jan Bernas, autore del libro “Ci chiamavano fascisti, eravamo italiani”.
Cristicchi si è avvicinato ad un controverso capitolo della storia italiana “guardando un video su Youtube e leggendo il volume di Bernas”, arrivando a scoprire il silos che, alle porte di Trieste, raccoglie le masserizie depositate frettolosamente e mai recuperate dagli esuli istriano-dalmati nel secondo dopoguerra.
“Quando entri nel magazzino hai la stessa sensazione di quando entri ad Auschwitz, respiri l’aria che si sente alle Fosse Ardeatine”. Parole che sono destinare a far discutere, anche perché pronunciate in prossimità del 10 febbraio, durante il quale lo stato italiano celebra il “Giorno del ricordo”.
Così come a far discutere sarà il testo della canzone, che parla esplicitamente di una vicenda colpevolmente dimenticata dalla narrazione pubblica: “Ci chiamavano fascisti, eravamo solo italiani, italiani dimenticati in qualche angolo della memoria, come una pagina strappata dal grande libro della storia”.
Lo sa che il suo spettacolo e la sua canzone presteranno il fianco ad aspre polemiche politiche?
Ci sono abituato. Dopo le polemiche scoppiate con Ti regalerò una rosa (sul tema degli ospedali psichiatrici n.d.r.) mi aspetto di tutto. Sono stato attaccato da psichiatri di fama internazionale… L’importante è raccontare la storia in maniera imparziale, e per questo ho utilizzato il testo di Bernas, che non è schierato politicamente.
A chi le dirà che lei è di destra?
Risponderò che la politica non mi interessa, mi interessano le storie.
Però lo stesso desterà scalpore.
E che le devo dire. Significherà che al prossimo concerto verranno i ragazzi di Forza Nuova (ride).
Perché ha deciso di occuparsi di questa storia?
Ci sono arrivato dal teatro. Tutti i miei spettacoli di questi anni sono incentrati sul tema della memoria e delle storie troppo a lungo dimenticate. Sin dal primo, che vedeva come protagoniste una serie di lettere mai spedite e dimenticate da un ospite di un manicomio, mi sono prefissato di portarle in superfice. Poi ho iniziato ad occuparmi della Seconda guerra mondiale, ed è così che ho scoperto il Magazzino 18 e il libro di Bernas. Prima non sapevo quasi nulla di questa vicenda.
Uno dei temi che spesso affiorano quando si parla di esodo e di foibe è proprio lo scarso spazio che hanno trovato sui libri di testo, sia nelle scuole superiori che all’università.
Trovo che sia grave che a scuola non si insegni questa parte di storia. La mia generazione non sa nulla delle foibe, ma soprattutto non sa niente delle persone che se ne sono andate da quei territori e che sono morte di umiliazioni e di malinconia. Tutto questo va raccontato, e con lo spettacolo teatrale cercherò di farlo con un linguaggio che arrivi anche ai più giovani.
Nello specifico di cosa parlerà?
Sarà un monologo che interpreterò per la regia di Antonio Calenda. Parlerà di un funzionario del ministero dell’Interno che è stato incaricato di catalogare i beni del silos, e nel suo lavoro inizierà a ricostruire le storie dei proprietari delle masserizie. Spero che ci siano tutti i presupposti per rendere omaggio sia agli esuli, sia a chi è rimasto dall’altra parte dell’Adriatico.
Le istituzioni lo fanno in questo periodo celebrando il “Giorno del ricordo”.
Lo so, è stato un riconoscimento dovuto ma tardivo, che forse è servito a lenire qualche ferita. Per un giudizio più preciso bisognerebbe interrogare uno storico. Ma alcuni capitoli, come quelli del treno di Bologna rappresentano ferite ancora aperte (qui una breve sintesi dell’episodio n.d.r ). E non capisco la voglia di strumentalizzazione della politica, l’atteggiamento di alcuni esponenti della sinistra che si impegnano in guerre di numeri, nella minimizzazione della vicenda.
Qual è l’episodio che più l’ha colpita?
La scoperta del Magazzino 18. Ne vidi alcune immagini su Youtube, e decisi di visitarlo, riuscendoci grazie all’aiuto di una giornalista del Piccolo di Trieste che mi indirizzò a chi ne possiede le chiavi, visto che non è accessibile a tutti. Quando ci metti piede, sembra di entrare ad Auschwitz nel vedere tutti questi mobili catalogati con numeri e con i nomi di vecchi proprietari.
Pietro Salvatori su www.huffingtonpost.it