Per definire qualche cosa che appare e scompare e che muta rapidamente si usa il termine “carsico”.
E il Carso, terra per me misteriosa e affascinante, è così. Cambia, risucchia, nasconde. Tra il 1934 e il 1945 circa 20.000, persone, ma il calcolo reale è complesso, sparirono tra quei monti. Vennero gettate nelle Foibe, gli inghiottitoi naturali della Venezia Giulia, per la loro appartenenza politica o etnica.
Ieri, 9 febbraio, era il “Giorno del ricordo delle vittime delle Foibe “eppure ne hanno parlato in pochi e per poco. Forse perché da quando è stata istituita nel 2004, questa giornata presta, purtroppo, il fianco a strumentalizzazioni politiche. Eppure si discute sempre più spesso dell’importanza della memoria, di tutte le memorie.
Ho visitato le Foibe quest’estate in una soffocante mattinata di Luglio. Per trovarle ho impiegato parecchio tempo. Nemmeno la gente del posto le conosce tutte, se ne parla a denti stretti. Alcune sono in uno stato di degrado: targhe imbrattate, corone di fiori ormai secchi, qualche rifiuto. Fa eccezione la Foiba di Basovizza, che era in realtà un pozzo minerario, proclamata “monumento nazionale” nel 1992. Qui è stato costruito anche un memoriale con museo annesso.
Tirava un vento caldo quel giorno, ma avevo i brividi a vedere la profondità dei dirupi e a leggere i pannelli che spiegavano quante migliaia di persone, strato su strato, avevano perso la vita lì dentro. A visitare quei luoghi non c’era nessuno, solo io e tanto silenzio. Lo stesso silenzio che rimbomba dalle pagine di giornale mute, o dalle scuole in cui di Foibe, nella maggior parte dei casi, non si parla, e che ha scandito la giornata di ieri.
Forse perché la campagna elettorale incombe, perché sta per arrivare la nevicata dell’anno e dobbiamo correre ai ripari, forse perché era domenica, ed era pure carnevale. Forse perché non c’era nessuna grande commemorazione a cui conveniva presenziare o perché, a volte, i giorni della memoria non bastano a ricordare. Non ci sono eccidi di Serie A e di Serie B, né stragi di cui è conveniente o sconveniente parlare, né morti di Destra o di Sinistra. Né ricordi doverosi che ne infangano altri. Sembra un’immensa banalità, ma forse non è così.
Come scrive David Bidussa in Dopo l’ultimo testimone, saggio dedicato alla Shoah, altra grande tragedia del nostro tempo: “la memoria è un assoluto, mentre la storia non conosce che il relativo”
Tra qualche anno, se già quasi non lo facciamo ora, chi resterà a ricordarci le Foibe?
Micol Sarfatti su www.huffingtonpost.it dell’11 febbraio 2012