Ancora dieci anni fa, una delle più note enciclopedie italiane recitava alla voce foiba: «depressione carsica a forma di imbuto». Nient’altro: nemmeno un cenno pudico alla pulizia etnica e politica, attuata in due ondate successive dai partigiani jugoslavi di Tito, né alla tragedia delle vittime italiane che finirono laggiù, nel buio di quegli imbuti, assassinate a gruppi.
Oggi, nove anni dopo l’istituzione della Giornata del Ricordo (il 10 febbraio), quel silenzio opportunistico e omertoso sembra appartenere ai passato: ne è una testimonianza la partecipazione bipartisan alle commemorazioni, in testa quella che ieri ha visto protagonista al Quirinale il presidente Napolitano. Il tempo, insomma ha emesso il suo verdetto: la parola riconciliazione può essere pronunciata, e «l’impegno di verità contro ogni reticenza ideologica o rimozione opportunistica» —per usare le parole del capo dello Stato — ha dato i suoi frutti. Basterebbe per confermare l’utilità di queste giornate commemorative, di tutte: dalla Shoah ai Gulag, dai Giusti alle Foibe, e in prospettiva di ogni altro genocidio che si deciderà di raccontare. Non c’è nulla di rituale insomma nel ricordare, e tanto meno nel discutere serenamente sul valore e sul senso delle memorie. Resta però l’esigenza dell’obiettività storica.
Quante sono state le vittime delle foibe? Secondo uno degli storici più accreditati, Elio Apih, poco più di 11 mila; per altri studiosi e secondo molti sopravvissuti, quasi 25 mila. Se poi consideriamo gli effetti generali della repressione in Istria, Fiume e Dalmazia che portò all’esodo, arriviamo a una cifra ben superiore, probabilmente intorno ai 350 mila. Ma ormai è tempo di non limitarsi ai conteggi: occorre capire «perché» è successo.
E chiarire che il crimine fu più politico che etnico: i partigiani di Tito miravano a eliminare preventivamente gli oppositori del regime comunista nascente in Jugoslavia. Perciò finirono nelle foibe non solo gli italiani di quelle terre — fascisti e non — ma anche sloveni, croati, serbi, ungheresi e persino alcuni soldati delle truppe alleate. Condannare ciò che avvenne, e negare qualsiasi giustificazione ai seguaci di Tito, è perciò anche un modo di affermare il valore della ricerca storica libera dalle cupe ideologie di ieri.
Dario Fertilio
“Corriere della Sera” 12 febbraio 2013
Foiba di Basovizza, la rappresentanza dei Dalmati alla cerimonia del 10 Febbraio 2013
(foto www.ilpiccolo.it)