ANVGD_cover-post-no-img

Ricorrenza del 10 febbraio: la memoria siamo noi (Voce del Popolo 11feb13)

Il 10 febbraio del 1947 è una data “pesante” che ha inciso profondamente, come uno spartiacque, sul destino della componente italiana dell’Adriatico orientale. Quel giorno ci ha azzannati, ha lasciato una profonda ferita nello spirito e nella carne della nostra gente. Ha segnato profondamente, e per sempre, le nostre coscienze, l’esistenza di quella propaggine di popolo italiano presente da secoli, con le sue radici istriote, venete e latine, ai margini di un confine conteso.

Quel giorno noi, i “rimasti”, siamo diventati minoranza: non solo dal punto di vista numerico e demografico, ma soprattutto sociale, economico e politico. La nostra comunità è stata posta in condizioni di totale subalternità. Abbiamo iniziato un difficile percorso segnato dai voleri e dal potere delle nuove maggioranze, dai condizionamenti di una realtà in cui la nostra lingua e la nostra cultura sono state messe gradualmente ai margini.

La grande massa degli esodati invece è diventata improvvisamente un “popolo senza terra”, una comunità sradicata per sempre dal proprio mondo. Un popolo strappato alle proprie case, ai propri affetti; privato del diritto di continuare a vivere dove si è nati, l’unico posto in cui si può realmente continuare ad essere se stessi. Entrambi “stranieri” e “diversi” siamo rimasti senza un luogo in cui sentirci realmente “a casa”; siamo diventati “ospiti” (noi nei luoghi di nascita, gli esodati in una Patria lontana) di nuove realtà.

Abbiamo condiviso specularmente lo stesso destino: quello – seppure in modo diverso – degli “sradicati”, gente a cui la storia ha negato il diritto di riconoscersi pienamente nel proprio ambiente nativo, di vivere senza tragiche soluzioni di continuità a casa propria. “Stranieri” rispetto a una Patria che ci stava accogliendo o da cui i nuovi confini ci stavano separando. Riuniti nella comune sorte di persone private, sul piano dell’identità, del proprio posto nel mondo.

L’esodo ha fatto da cesoia non solo tra gli esuli e la terra lasciata, ma anche tra “andati” e “rimasti”. Una frattura nelle coscienze che in molti casi non ha consentito agli esuli di elaborare pienamente, negli anni, il peso e la sofferenza del distacco e dunque di maturare un nuovo rapporto con i “rimasti”, con l’ambiente perduto.

Per molti le cose sono rimaste fisse, immutabili, irreparabili. L’esodo ha cristallizzato ogni posizione, precluso ogni possibilità: le sue cicatrici, diventate dure come pietre, non hanno consentito (in molti casi, e per fortuna non sempre) che da quell’esperienza rifiorisse qualcosa di nuovo.

La punizione più atroce e assurda dell’esilio è stata proprio questa: la divisione della nostra comunità, la profonda lacerazione – imposta dai ricatti delle ideologie, dei poteri e degli Stati – tra gli italiani dell’Adriatico orientale, eredi sparpagliati – e duramente provati – di una presenza e di una civiltà secolari.

Oggi abbiamo il dovere di prendere coscienza degli effetti dannosi provocati da questo distacco e della necessità di superarlo definitivamente. Le “tossine” della storia sono penetrate a fondo nei nostri tessuti e pertanto il progetto di una “ricomposizione” reale e compiuta non appare sicuramente facile.

Tuttavia tale processo per molti aspetti è già in corso, frutto di un clima che si va velocemente trasformando e della sensibilità delle nuove generazioni. Ma siamo in grave ritardo: la realtà sociale e politica sta cambiando più velocemente delle nostre coscienze.

Fra pochi mesi, con l’entrata anche della Croazia nell’Unione Europea, si aprirà un importante orizzonte: quello dell’abbattimento dei confini e dell’integrazione definitiva, nell’ambito comunitario, di gran parte dell’Adriatico, ovvero del nostro territorio di insediamento storico. Dobbiamo cogliere questa sfida preparati, avviando insieme, esuli e minoranza, un grande progetto che, oltre alla ricomposizione, si ponga l’obiettivo di fondo di preservare e sviluppare la presenza, la cultura e l’identità italiane in queste terre.

La nostra presenza nazionale e linguistica è insieme forte e fragile: non è però “data” per sempre, la sua sopravvivenza e il suo sviluppo in questa parte dell’Adriatico non sono scontate. Anche perché si tratta di una realtà “viva”, fatta di persone e di relazioni concrete e non solo di testimonianze, di monumenti, di ricordi, di musei. Molto dipenderà da noi, dalla nostra capacità di “stare” e di “fare” insieme.

Uniti forse riusciremo a sconfiggere la vera beffarda maledizione dell’esodo, il malefico incantesimo sprigionato dal 10 febbraio: la scomparsa o il radicale e graduale affievolimento della presenza italiana in Istria, Fiume e Dalmazia.

Non so quanto possa effettivamente dipendere da noi, e quanto invece potrà essere frutto della globalizzazione, dei media, degli imperscrutabili capricci dell’economia. Ma noi abbiamo comunque il dovere e la responsabilità di superare le divisioni e i ritardi per riallacciare i fili strappati della nostra identità. Abbiamo il compito di rispondere alla domanda che un giorno i nostri figli potrebbero porci: “Cosa avete fatto, cosa ci avete lasciato”?

Ezio Giuricin
“la Voce del Popolo” 11 febbraio 2012

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.