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Il cirillico divide serbi e croati a Vukovar (balcanicaucaso.org 08feb13)

Sabato scorso a Vukovar, in un’atmosfera che ricordava l’inizio dei bellicosi anni Novanta, ventimila persone, delle quali molte provenienti da altre zone della Croazia, hanno urlato “no” al cirillico.

Si è trattato della risposta all’annuncio del governo croato, in accordo con i risultati del censimento e con gli impegni previsti dalla Costituzione sui diritti delle minoranze, di introdurre le scritte bilingue. Secondo la legge, lo stato è obbligato ha introdurre le scritte bilingue in quei luoghi dove le minoranze nazionali formano oltre un terzo della popolazione locale.

La Legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali fu adottata nel lontano 2002 e all’epoca contro tale legge al Sabor (parlamento) votarono solo cinque deputati. Fu una delle rare occasioni di unanimità tra i politici su un tema così delicato, necessario affinché la Croazia nel 2003 potesse presentare la candidatura per l’ingresso nell’Unione europea.

Alcune settimane fa, il ministro della Pubblica amministrazione Arsen Bauk aveva annunciato a Vukovar l’introduzione del cirillico. Rispondendo alle minacce nazionalistiche che le scritte in cirillico sarebbero state tolte a forza, il ministro aveva detto che lo stato non ha intenzione di introdurre le targhe bilingue di nascosto, ma che lo avrebbe fatto come fa ogni stato di diritto.

Non ha dovuto attendere molto per avere una risposta. Il Comitato per la difesa di Vukovar, formato alla metà del gennaio scorso da reduci, ex prigionieri e invalidi di guerra, ha annunciato una protesta di massa contro l’introduzione del cirillico. Hanno richiesto che il governo sospendesse la legge e che dichiarasse una moratoria di 50 anni per l’introduzione del cirillico, spiegando che le ferite della guerra sono ancora aperte, che Vukovar cerca ancora 400 persone scomparse durante il conflitto e che i colpevoli dei crimini di guerra commessi contro i croati di Vukovar ancora non sono stati puniti.

Anche se il cirillico non ha nulla a che vedere con gli scomparsi, con i caduti e con i crimini di guerra, e ancora meno con le cause e le conseguenze della guerra, esso è percepito – da parte dei manifestanti di sabato a Vukovar – come un pericolo in grado di troncare l’identità croata e offendere le vittime riportate tra i soldati che hanno difeso la città.

Ecco quindi che 15 anni dopo la fine della pacifica reintegrazione in territorio croato della Regione croato danubiana (Podunavlja), quando sotto l’ombrello delle truppe di pace delle Nazioni Unite questa regione fu rimessa sotto l’ordinamento giuridico-costituzionale della Repubblica di Croazia, di nuovo si infiammano gli animi e fanno seriamente traballare la fragile convivenza che qui, con grande difficoltà, hanno costruito serbi e croati.

Infatti, a dire il vero, gli incidenti a sfondo nazionalista in questi 15 anni a Vukovar sono stati rari, non più frequenti di quelli in altre zone della Croazia che sono state appena sfiorate o del tutto risparmiate dalla guerra. La narrazione di “Vukovar città divisa”, forzata soprattutto dalle sezioni locali dell’Unione democratica croata (HDZ), come maggiore forza politica croata, e dal Partito democratico indipendente serbo (SDSS), in qualità di maggiore forza politica dei serbi, è servita nell’ottica di offrire uno slogan a difesa dei rispettivi interessi delle due comunità.

Di una Vukovar divisa si può parlare solo rispetto ad alcuni aspetti: sono state divise le scuole elementari, medie e superiori nella misura in cui esistono sezioni in cui gli studenti studiano utilizzando l’alfabeto latino il programma croato, e viceversa in cirillico secondo il programma riservato alla minoranza serba. Sono divisi gli asili, diviso è lo spazio mediatico nella misura in cui esiste la croata Radio Vukovar e la serba Radio Dunav; esistono anche bar in cui si trovano più facilmente i serbi e altri più frequentati da croati. Ma in 15 anni di convivenza la divisione si è pian piano affievolita ed è andata perdendosi, e quel muro divisorio di cemento che esisteva dopo la fine della reintegrazione e il ritorno dei croati a Vukovar, ha finito per essere sempre più trasparente e poroso, sempre meno visibile.

Željko Kovačević, direttore della scuola elementare Nikola Andrić, che sotto lo stesso tetto accoglie 266 studenti, dei quali la metà studia secondo il “modello A”, cioè in lingua serba e alfabeto cirillico, afferma che la fama di scuola divisa ha creato la percezione che i bambini non hanno alcun contatto tra di loro, che sono ghettizzati e rigidamente separati, che non socializzano fra di loro. Ma i bambini di nazionalità croata e serba, ribadisce il direttore, socializzano tra di loro negli intervalli, pranzano insieme, cantano insieme nel coro scolastico e competono contro loro coetanei delle altre scuole in un’unica squadra sportiva.

Una storia ancora più interessante riguardante la quotidianità di Vukovar la racconta Branislav Bijelić, direttore di Radio Dunav i cui giornalisti parlano ekavo e la musica più trasmessa sulle sue frequenze è il turbo-folk serbo. Quanto avviene in radio racconta della convivenza a Vukovar: non è raro infatti che in occasione di comunioni, cresime o matrimoni papà Franjo e mamma Barica dedichino al figlio Hrvoje qualche canzone di Ceca Ražnatović-Veličković. Questo mostra una certa ambiguità: Ceca, moglie di Željko Ražnatović Arkan, imputato dal Tribunale internazionale dell’Aja per crimini di guerra contro i croati (non è stato condannato perché ucciso durante una resa dei conti mafiosa a Belgrado all’inizio del 2000) e il turbo-folk possono quindi avere un loro spazio a Vukovar, il cirillico invece no.

Ma ora che le elezioni amministrative sono alle porte (si terranno il 19 maggio) il cirillico serve per accaparrarsi una fetta della torta politica. Il raduno di Vukovar non sarebbe stato così numeroso se i partiti di destra non avessero mandato autobus pieni di gente e se non avessero alimentato la questione. Infatti è accaduto che i più chiassosi contro il cirillico a Vukovar fossero proprio quelli che vivono più lontano da questa città.

È accaduta una cosa analoga quando il club calcistico “Vukovar 1991” giocò nella seria A croata e a Vukovar arrivarono, col petto gonfio di patriottismo, i tifosi dell’Hajduk o della Dinamo, i quali demolirono e distrussero tutto, fecero alzare il livello di tensione e infiammarono gli animi, per poi andarsene, in attesa della successiva occasione, lasciando invece agli abitanti di Vukovar di ripulire dalle strade urbane le macerie della convivenza infranta.

Drago Hedl
www.balcanicaucaso.org 8 febbraio 2013

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