“Auguremose prima la bona salute. E démose la man”. Nella risposta che l’anziano dalle mani con la palma “onorevolmente callosa” dà all’autore che gli chiede informazioni sul luogo, c’è la sintesi più vera del libro che Ulderico Bernardi dedica all’Istria. E che si sposa con il titolo: “Istria d’amore” (edizioni Santi Quaranta, 160 pagine, 13 euro). Perché c’è vero amore nelle pagine di questo viaggio, sia fisico che della memoria, che lo scrittore e sociologo trevigiano dedica a una terra da egli stesso definita “magico frammento d’Europa”.
Un luogo dove l’incontro con l’altro si fonda prima di tutto e sopra tutto sul riconoscersi reciprocamente come parti di una identica storia. Dolorosa, e forse proprio per questo più vera e più sentita: l’Istria è stata a lungo un buco nero nella coscienza italiana, un’arca lasciata alla deriva in mari tempestosi, la cui eco si coglie nei commoventi versi di Biagio Marin citati in premessa dall’autore: “E adesso semo como pagia al vento, / e no podemo meter più radise, / co ‘l cuor che duol in continuo lamento / co’ boca che no sa quel che la dise”.
Di questa Istria Bernardi è innamorato da tempo immemorabile, come confessa egli stesso: un amore nato di testa, sulle pagine di scrittori come Giani Stuparich e Fulvio Tomizza, ma anche di cuore e di gambe, con ripetute incursioni che gli sono valse a scoprire e assorbire “le linfe remote dell’etnicità istriana”, in cui si mescolano identità latine, pelasgiche, celtiche, franche, protoslave, illiriche, bizantine e venetiche. Il libro le rivisita attingendo alla storia anche remota, inclusa la straordinaria stagione di Aquileia: il cui patriarcato ha rappresentato un’entità plurimillenaria, dal 568 al 1751 (anche se incorporata dal 1445 dalla Serenissima, la quale peraltro le mantenne il nome “Patria del Friuli”), la cui giurisdizione al massimo del suo splendore si estendeva dal Danubio al Balaton, da Como alla stessa Istria.
Le pagine di Bernardi diventano così un condensato di storia e di geografia, ma anche e soprattutto di antropologia: la lettura non di una terra ma degli uomini che la abitano e dell’eredità che portano con loro, in una straordinaria mescolanza che fa dell’Istria “un frammento multiculturale d’Europa”; e acquista dunque una straordinaria attualità in una stagione in cui la convivenza tra diversità diventa il segno distintivo del presente.
Certo, anche una terra intrisa di sangue, specie negli ultimi due secoli, segnata da guerre ed eccidi di particolare ferocia, e dal dolore di tanti di aver dovuto abbandonare a forza i loro beni ma soprattutto le loro radici: tra il 1945 e il 1954 lascia Fiume, l’Istria e la Dalmazia l’80 per cento della popolazione autoctona italiana. Lasciando una ferita profonda, di cui si trovano tracce indelebili, come nei versi di Lina Galli, istriana di Parenzo, morta nel 1993 a Trieste, tra le voci poetiche più alte dell’esodo: “Il futuro è nascosto. / Dai relitti nessuno coglie presagi. / Saremo come le alghe lacerate / e il guscio vuoto / lanciati nell’esilio delle scogliere”. Anche a questo dolore Bernardi dà voce. E anche per questo merita di essere ascoltata.
(fonte “Il Mattino di Padova” 17 febbraio 2013)