di Matteo Tacconi
La procedura è questa. Primo passo: mettersi in fila. Secondo: farsi timbrare la tessera elettorale. Terzo: dichiarare quanto segue al momento di ricevere la scheda elettorale. «Non posso votare in quanto, come cittadino del Territorio Libero di Trieste (TLT), nessuna delle liste esposte mi rappresenta». Dopodiché – punto quattro – consegnare agli scrutatori, facendolo mettere a verbale, una dichiarazione di non voto in cui si precisa, tra le altre cose, che «lo svolgimento delle elezioni politiche italiane in un territorio extra nazionale quale è la Zona A del Territorio Libero di Trieste costituisce violazione della stessa Costituzione della Repubblica Italiana».
Avete capito bene: la tesi, volendo tagliare corto, è che Trieste non appartiene all’Italia. Quest’iniziativa, da promuovere durante il voto di domani e lunedì, è solo l’ultima delle trovate del Movimento Trieste Libera, associazione nata a fine 2011 che sembra riscuotere un discreto consenso. In un anno ci sono state più di 1000 iscrizioni e 3681 persone hanno firmato la petizione presentata al Parlamento europeo, qualche tempo fa, per denunciare «l’annessione decisa di fatto dall’Italia della Zona A del TLT».
Ma qui serve un passo indietro. Perché la faccenda, tra TLT, Zona A e quant’altro, è complicata. Riannodiamola, partendo dal 1947. In quell’anno, a seguito del trattato di pace tra Italia e potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, fu istituito il Territorio libero di Trieste. Quell’intesa lo configurava come un’enclave internazionale a cavallo tra due Stati (Italia e Jugoslavia) governata da un rappresentante nominato dall’Onu, dotata di una propria giustizia (due i gradi di giudizio) e di un porto munito di zone franche. Il governatore però non venne mai nominato e il TLT non diventò mai quello che avrebbe dovuto essere. Colpa della Guerra fredda e della divisione dell’Europa. La Zona A (italiana) fu amministrata da inglesi e americani. Quella B dalla Jugoslavia. Nel 1954, con il Memorandum di Londra, quest’ultima passò a Tito, mentre la prima fu incorporata dall’Italia.
È proprio questo il punto d’appoggio delle rivendicazioni di Trieste Libera. «Il Memorandum assegnò all’Italia l’amministrazione del TLT. Il che significa che la Zona A andava gestita secondo la cornice giuridica del TLT. Invece Roma ha semplicemente imposto il suo ordinamento», dice Roberto Giurastante, membro del direttivo del movimento, segnalando che Trieste, sotto l’Italia, ha vissuto un pesante declino economico e ambientale. «Il porto è stato gestito come un qualsiasi altro porto e sono stati prodotti gravi danni ecologici».
Morale: Trieste Libera si pone l’obiettivo di arrivare alla costituzione effettiva del Territorio Libero nella Zona A («ma stiamo dialogando anche con le popolazioni della Zona B»). Il che implica che l’Italia debba “ritirarsi” da Trieste. Da qui la protesta prevista durante, come dopo il voto. Il 3 marzo si terrà infatti un No Election Day. Da qui tutto il resto delle azioni svolte dal 2011 a oggi: emissione di carte d’identità del TLT, contestazione del difetto di giurisdizione italiana davanti al giudice di pace, richiesta di “sfratto” per Equitalia, qualche protesta di piazza. E così via.
Ma si può avere “paura” di Trieste Libera e del suo verbo, che va oltre i confini del classico autonomismo? Si può pensare che il gruppo allarghi in prospettiva il suo consenso fino a competere con le forze politiche tradizionali, emulando le esperienze della Lega o del M5S o ancora, volendo restare sul territorio, della Lista per Trieste, che negli anni ’70 giunse a conquistare il municipio con una piattaforma fortemente autonomista, pur se ancorata all’italianità? Secondo Francesco Russo, segretario provinciale del Partito democratico, non ci si schioderà dalla marginalità. «Formalmente è anche sostenibile che Trieste sia un territorio extra nazionale, com’è vero anche il contrario. Dal punto di vista giuridico, del resto, s’è sempre detto tutto e il contrario di tutto. Fatto sta che nessuno intende discutere l’italianità. Trieste Libera, a mio avviso, è un pezzo di una posizione minoritaria che qui a Trieste emerge periodicamente. Spesso in funzione anti-sinistra».
È più o meno lo stesso discorso che fa Stelio Spataro, storico della “questione triestina”, da sempre impegnato a sinistra. «Trieste è una città con una forte sensibilità, che reagisce con astensione e localismo quando subisce decisioni prese dall’alto. Ma Trieste, nel complesso, è una realtà matura. Queste forme di contestazione sono marginali. Non ha senso chiedersi in un piccolo lembo, evocando il ritorno al TLT».
Intanto in attesa di quello che verrà – o non verrà – quelli di Trieste Libera, domani e lunedì, snoccioleranno davanti a presidenti di seggio e scrutatori il proclama anti-elettorale: queste elezioni sono irregolari, e noi siamo cittadini del Territorio libero.