La rivelazione del «New York Times», alla vigilia della riunione romana dei Paesi «Amici della Siria», lascia intendere che Riad è determinata a mettere sotto pressione la Casa Bianca affinché faccia cadere in fretta il veto sulle forniture di armi ai ribelli, ritenendolo un passaggio necessario per accelerare la caduta del regime di Bashar Assad. Il piano saudita è un’operazione logistica assai accurata: Riad acquista da interlocutori a Zagabria ingenti quantità di armamenti di fanteria risalenti alle guerre balcaniche degli Anni Novanta, che vengono imbarcati su aerei Ilyushin 76 e trasportati in Giordania da dove, via terra, raggiungono le postazioni dei ribelli in Siria.
Sarebbe stato proprio un inviato croato, secondo il quotidiano newyorchese, a far conoscere lo scorso anno a Washington l’esistenza di ingenti forniture di armamenti di fanteria leggera pronte ad essere vendute ma l’amministrazione Obama si divise: Dipartimento di Stato, Cia e Pentagono si dissero favorevoli ad armare i ribelli mentre la Casa Bianca si oppose, per espressa volontà del presidente Barack Obama.
La scelta della monarchia wahabita fu dunque di subentrare alle esitazioni americane, scegliendo di diventare la nazione guida dell’invio di armamenti ai ribelli che, nel corso degli ultimi mesi, hanno consentito di mettere sulla difensiva le forze del regime. A essere particolarmente efficaci sono infatti i missili tipo-stinger, che minacciano elicotteri e aerei, così come i pezzi di artiglieria leggera perché consentono di dare l’assalto alle basi e ostacola con efficacia i movimenti dei carri armati di produzione russa.
Il duello fra armi di provenienza croata in mano ai ribelli e forniture russe negli arsenali di Assad ripropone in Siria le caratteristiche tattiche dei conflitti balcanici, dove erano i serbi a battersi con forniture dell’ex Urss.
L’«Operazione Croazia», formalmente smentita da Zagabria, non è tuttavia l’unico flusso di armi che i sauditi fanno arrivare ai ribelli come dimostrato dal fatto che questi possiedono caricatori di fucili prodotti in Ucraina, bombe a mano svizzere e fucili belgi. Il massiccio impegno saudita nasce dalla volontà di bilanciare le forniture di armi di Teheran alle forze di Assad, che avvengono ricorrendo ad aerei da trasporto dell’esercito iraniano con le insegne della «Maharaj Airlines».
La frequenza di tali consegne è talmente intensa da essere stata soprannominata «la latteria» da parte dei servizi occidentali. Far trapelare tali dettagli alla vigilia della riunione multilaterale di Roma implica la volontà dei sauditi di tornare a mettere sotto pressione l’amministrazione Obama affinché riveda l’opposizione alle forniture di armi.
In tale ottica la scelta dei ribelli siriani di far pesare al Segretario di Stato John Kerry la loro adesione al summit di Roma assomiglia ad un primo esplicito monito: se Washington continuerà a far mancare le armi, la potenza di riferimento degli insorti diventerà l’Arabia Saudita. Alle cui spalle vi sono i fondi delle altre monarchie del Golfo, a cominciare da Qatar ed Emirati Arabi Uniti.
Maurizio Molinari
“La Stampa” 27 febbraio 2013