Poco meno di un’ora di ermetiche spiegazioni giuridiche. Poi, la frase chiave e la decisione choc. «Ordino l’immediato rilascio» di Momcilo Perisic, l’anziano generale serbo seduto sul banco degli imputati, ha intimato Theodor Meron, giudice del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (Tpi). Tribunale che, per l’ennesima volta, ha emesso ieri una sentenza che farà a lungo discutere.
Non solo i giuristi, ma soprattutto i popoli della ex Jugoslavia. Discutere perché Perisic, ex capo di Stato maggiore dell’esercito jugoslavo (Vj) dal 1993 al 1998, condannato nel 2011 dal Tpi a 27 anni di carcere per crimini di guerra e contro l’umanità, è a sorpresa di nuovo un uomo libero. Così ha deciso il “panel” di giudici, presieduti da Meron, che hanno riesaminato la sentenza di primo grado, ribaltandola perché le prove che avevano portato alla condanna di Perisic non sarebbero state pienamente convincenti «nella loro totalità». Perisic che, ha ricordato Meron, era stato giudicato in primo grado colpevole di aver «aiutato» e di essere stato «correo» in gravissimi crimini di guerra compiuti dall’esercito serbo-bosniaco (Vrs) di Ratko Mladic a Sarajevo e Srebrenica. E colpevole di «non aver punito» i responsabili, annidati nelle file dell’esercito della Krajina serba (Svk), del lancio di granate su Zagabria. Granate che, il 2 e 3 maggio 1995, provocarono 7 vittime e quasi 200 feriti.
Il generale era stato ritenuto corresponsabile di quei crimini perché era «il più alto ufficiale» dell’esercito di Belgrado, ha ricordato il Tpi. Esercito che, per ordine dei vertici politici serbi, aveva «facilitato» le operazioni militari della Vrs in Bosnia e della Svk in Croazia con «aiuti logistici e militari», «specificatamente diretti a contribuire al compimento di crimini» di guerra, almeno secondo la procura. Ma, per la camera d’appello del Tpi, non sarebbero state fornite prove sufficienti a garantire «oltre ogni ragionevole dubbio» che Perisic avesse realmente l’intenzione di aiutare Mladic e i suoi uomini a commettere i più crudeli massacri registrati in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. La vera intenzione del generale, al contrario, era quella meramente tecnica di «sostenere l’esercito serbo-bosniaco nello sforzo bellico», come ordinatogli da Milosevic. Aiuti concretizzatisi, come ricorda il verdetto di primo grado, in massicci trasferimenti di «munizioni, artiglieria, granate, carburante».
Ma anche in «addestramenti e assistenza tecnica» e nella dislocazione temporanea di «un ampio numero» di soldati e ufficiali dalla Vj di Perisic all’esercito serbo-bosniaco e della Krajina serba, pur rimanendo essi «ufficialmente membri dell’armata jugoslava» alle dirette dipendenze del capo di Stato maggiore. Aiuti utili, aveva spiegato lo stesso Karadzic, che con Mladic incalzava di continuo Perisic per l’invio di sempre più consistenti aiuti logistici, ammettendo che «nulla sarebbe accaduto senza la Serbia», perché «non avevamo le risorse per combattere». Malgrado gli effetti sostanziali e pratici delle azioni del generale sulle mosse di Mladic e dei paramilitari serbi in Krajina, la Vrs di Mladic era tuttavia «indipendente dalla Vj» di Perisic, «de iure e de facto», e questi «non era presente quando i crimini vennero pianificati o perpetrati», né aveva l’«autorità finale» per decidere di aiutare o meno i serbo-bosniaci, ha stabilito ieri l’Aja.
Un’autorità che stava invece nella mani del potere politico di Belgrado e del Consiglio supremo di difesa jugoslavo, da cui il generale oggi libero dipendeva direttamente. Stesso discorso per i fatti di Zagabria. Fornire soldati, su cui non si ha più «controllo effettivo», e aiuti militari a un altro esercito che poi commette crimini di guerra, non fa del “fornitore” un correo. La stessa posizione che Perisic aveva sempre tenuto di fronte ai giudici. Che ieri gli hanno dato ragione.
Stefano Giantin
“Il Piccolo” 1 marzo 2013