pfr2B

2013, l’anno di Padre Flaminio Rocchi (5) – 26mar13

Siamo al quinto appuntamento con la biografia di Padre Flaminio Rocchi, l’Aposto degli Esuli giuliano-dalmati, in occasione del centenario della nascita e del decennale della morte. Ecco quindi altri brani tratti dal libro ANVGD “Padre Flaminio Rocchi: l’uomo, il francescano, l’esule”.

 

La vita di Padre Flaminio è fatta di piccole e grandi esperienze, talvolta bizzarre. Eccone una assai curiosa, tratta da una lettera al Prof. Diego De Castro del 1999.

«Caro Professore, ho sempre seguito e seguo con viva ammirazione la Sua produzione letteraria su Il Piccolo e il Suo generoso interessamento a Pirano in memoria della Sua Signora con la creazione di una fondazione. Un giorno, durante i lavori di una Commissione Interministeriale presso il Ministero del Tesoro, un collega mi portò la notizia che secondo La Stampa di Torino lei sarebbe scomparso. Rimasi molto male perché la personalità del Prof. Diego De Castro era brillante e attiva nella mia memoria. Ho buttato su Difesa Adriatica la notizia, riservandomi una illustrazione più ampia nel numero successivo. Apprendo che la notizia era falsa e ne gioisco immensamente come amico e come ammiratore. Mi viene in mente lo scherzo di un signore siciliano, il quale aveva pubblicato la falsa notizia della sua morte per constatare la reazione dei suoi amici. Il suo divertimento fu sorprendente. Mi perdoni, caro Professore, e riceva un affettuoso abbraccio

 

Anche la vita romana del dopoguerra non sempre è stata tranquilla. Un episodio su tutti ne dimostra i “pericoli” anche in ambito ecclesiastico.

 

«A Roma un giorno sono stato affrontato nella Pontificia Università Antoniana da un francescano iugoslavo, un marcantonio dalmata, il quale mi ha sbattuto con le mani contro un muro gridando: “tu devi dichiararti croato perché sei nato nel Quarnaro e perché tuo padre si chiamava Soccolich”. I superiori m’hanno trasferito nel convento spagnolo dei SS. Quaranta.»

Non gli mancava occasione di prendere spunto dagli argomenti più disparati per cucirvi su aneddoti, racconti e riflessioni. Ne sono una testimonianza queste poche righe indirizzate alla Libera Unione dei “Muli” del Convitto “Tommaseo” di Brindisi, in occasione della sua nomina a socio onorario.

«Il mulo è un animale forte, rustico, sobrio e io mi sento tale a Roma, tra il groviglio spinoso di leggi e di uffici! Il mulo è testardo, tira calci. Vi confesso che anch’io molte volte sono stato tentato di dare un calcio a tutto, ma San Francesco mi ha legato i piedi col suo cordone! Ma per noi istriani la mularia era una brigata di gioventù allegra e coraggiosa. Grazie!

Ho patrocinato la fondazione del Convitto “Tommaseo” a Brindisi, ne ho difeso l’indipendenza, sono stato amico dei direttori Troili e Prandi, vi ha studiato un mio cugino Cap. Antonio Rocchi, ne ho esaltato la funzione culturale. Un giorno il Ministro dell’Interno mi mandò a Brindisi perché al “Tommaseo” si era creata una situazione preoccupante tra due giovani studenti di Cherso: uno era orfano di un padre, ucciso dai partigiani, e l’altro era figlio di un padre che aveva fatto la spia e aveva provocato la morte del precedente. L’ho fatto trasferire.

Sono stato amico del “mulo” Antonio Varisco, diventato poi colonnello dei Carabinieri. Comandava il nucleo Carabinieri del Tribunale di Roma. Al Quartiere giuliano-dalmata ho benedetto una lapide posta dai “Muli del Tommaseo” in memoria dell’amico Varisco, ucciso dalle Brigate Rosse il 13 luglio 1979. Di quali nefandezze siamo capaci noi uomini!»

A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 porterà avanti l’idea di creare una Fondazione che avrebbe dovuto ereditare moralmente tutto quello che egli stava per lasciare sulla terra. L’operazione non gli riuscirà, per gli alti costi da affrontare. Offrirà comunque all’ANVGD la sede nazionale dell’Associazione e il sostentamento a tutte le sue attività, grazie al contributo che per anni gli Esuli gli gireranno quale ringraziamento materiale per la sua dedizione appassionata e prodiga. Nella lettera in cui annunciava il suo meritorio intento, diceva anche:

«Io sono un francescano, ormai vecchio. Non ho bisogno e non devo aver bisogno di nulla. Sono lieto di aver offerto 47 anni della mia vita alla nostra Causa. Sono sicuro di riuscire in questa ultima fatica perché ritengo doveroso e sacro fare sopravvivere, sia pure in miniatura, la nostra Regione perduta, perché chiedo una minima parte di ciò che abbiamo ottenuto per i profughi, perché mi stanno arrivando espressioni commoventi di solidarietà e perché ho fiducia nella nostra gente

In occasione dei triennali congressi dell’ANVGD, quale Direttore dell’Ufficio Assistenza, aveva l’obbligo di portare a conoscenza dei congressisti le attività svolte in seno al suo ufficio. Nel congresso del 1997 sembra voler lasciare un testamento morale.

«Questo sarà il mio ultimo congresso. Ho superato gli 83 anni, dei quali 50 passati al servizio dei profughi. Ho lasciato in proprietà all’Associazione una sede prestigiosa a Roma. In questa sede ho trasferito la mia biblioteca specializzata nella storia della Venezia Giulia. […] Professori delle Università di Roma, Bologna e Lubiana mi hanno inviato studenti per stendere la tesi di laurea. Questa sede vuole essere una piccola Istria in miniatura. Partecipando ai lavori di tre commissioni interministeriali ho potuto esaminare 104 mila fascicoli di profughi. Ho potuto raccogliere da documenti originali notizie esclusive sull’esodo. Le ho raccolte in un grosso volume.

Sono lieto di aver fatto risorgere “Difesa Adriatica” e di aver assicurato così con gli abbonamenti e con le offerte, la continuazione della sede centrale.

L’Associazione ha ottenuto innumerevoli leggi e provvedimenti per i profughi: 28 mila appartamenti, ora riscattabili, 62 mila collocamenti al lavoro, 12 mila impiegati pubblici con i benefici poi della legge dei sette anni, 450 miliardi con quattro leggi per i beni abbandonati, pensioni, licenze, pubblicazioni, manifestazioni civili, culturali, religiose.

Purtroppo noi, protagonisti dell’esodo, stiamo scomparendo. I giovani stentano a sostituirci. Vi suggerisco i seguenti motivi per invitarli a partecipare alla vita dei Comitati: l’esonero dal servizio militare già ottenuto da oltre 1200 giovani; il riscatto delle case che il giovane può fare a proprio nome, anche se il contratto d’affitto era stato firmato da suo padre; il tentativo in corso di estendere ai giovani la preferenza dei mutilati civili di guerra ai fini del collocamento. I giovani devono sapere che questi benefici, insieme con quelli della libertà, della cittadinanza italiana, sono dovuti esclusivamente ai sacrifici dei loro genitori profughi. Quando viene da me un genitore o mi scrive per ottenere un beneficio per il figlio, io esigo che mi mandi il figlio.»

Spesso ebbe occasione di relazionare sulla sua attività, negli ultimi anni, col fatalista intento di dire l’ultima parola prima di addormentarsi nel riposo eterno. E ogni volta doveva smentirsi fino alla relazione successiva. Fino all’ultima.

«Sono lieto di aver servito, come volontario, per cinquantacinque anni l’Associazione e i profughi, anche se questo mi ha provocato un doloroso processo con l’espulsione dalla mia isola del Quarnaro perché -ha detto la sentenza- “aiuta i profughi che alla democratica Jugoslavia hanno preferito l’Italia imperialista”. Una condanna che è un elogio.

Ho visitato la povertà e la solitudine dei Campi Profughi, ho ricevuto migliaia di lettere. Con i profughi ho pregato, ho sofferto, ho sperato. M’auguro che essi si ricordino di me, come di un francescano profugo che ha trasformato il suo sacerdozio nella nobilissima missione di Pace e di Bene.

[…] Non ho potuto esaudire sempre le loro richieste. Ciò è dipeso dai miei limiti e dalle incomprensioni delle autorità, che non conoscono né la storia della nostra Regione, né i sacrifici dell’esodo, né i diritti dei profughi che hanno sacrificato tutto per salvare la dignità, la libertà, la fede di cittadini italiani. […] In questo lavoro mi hanno sostenuto la passione e la rabbia di profugo e l’orgoglio di essere figlio di San Francesco, Patrono d’Italia. E’ storico che abbia fondato il convento di Zara. Ma la leggenda dice che è stato anche nella mia piccola isola di Lussino.»

Ma in tanti anni di attività le contestazioni non sono mancate. Sembrerà di parte dirlo, ma erano sempre a sproposito e frutto spesso di semplice ignoranza. Era l’orgoglio a venire a galla in queste occasioni. Eccone un esempio. E’ la risposta personale del 2001 ad alcune contestazioni delle quali, per evidenti motivi, ometto l’autore.

«In oltre cinquant’anni non ho mai fatto polemiche, non intendo farle e non Le permetto di pubblicare la presente. Essa è di carattere confidenziale. […]

Mi si accusa di aver sempre desiderato che il processo sulle Foibe non si facesse. Falso. Il codice insegna che con la morte dell’imputato cessa l’azione giudiziaria. Il Motika è deceduto, il Piskulic ha superato gli 80 anni. Per non fare cessare l’azione giudiziaria, ho detto in una conversazione privata che forse si potrebbe intentare una causa contro ignoti per provare l’innocenza di tutti gli infoibati. Così stanno facendo gli ebrei. Ho aderito alla costituzione di parte civile dell’Associazione. Ho partecipato alla prima udienza del processo. Non ho partecipato alle altre perché ho 88 anni, ho subito tre infarti, sono stato in rianimazione 12 giorni (ma non lo dica). La convocazione è coincisa col mio ricovero in ospedale di 35 giorni.

Mi si accusa di aver mirato a fare Beati i Sacerdoti caduti per la stessa causa per la quale sono caduti in tanti. Ho presieduto a sette cerimonie per l’intitolazione di strade ai Martiri delle Foibe, ma ho gridato in chiesa: se la chiesa mette sugli altari i suoi sacerdoti, perché il Quirinale non mette sull’altare della Patria i suoi cittadini martiri? Era un rimprovero al Governo italiano […]

Mi si dice che «non basta raccontare». Nel 1959 ho ottenuto dall’On. Giulio Andreotti, Ministro della Difesa, di fare chiudere le Foibe di Basovizza e di Monrupino. A spese del Convento ho posto il cippo su quella di Basovizza, ho disegnato la sezione interna della Foiba, ho portato da Roma la lampada catacombale e le lettere in bronzo per l’epigrafe. Sulla Foiba ho celebrato una solenne Via Crucis. Ho ottenuto il riconoscimento di Monumento Nazionale delle due Foibe. Vi ho portato quattro vescovi e tre Presidenti della Repubblica. La documentazione si trova nel mio volume sull’esodo. Ho posto tutte le Foibe in una cornice sacra (Via Crucis) per poterne parlare in chiesa.

Mi si contesta di essere stato nominato Presidente dell’Ufficio Assistenza. Ho rifiutato incarichi ufficiali, titoli, stipendio. Sono un frate profugo che ha cercato di trasformare il suo sacerdozio in un atto di solidarietà francescana. Non entra nel mio carattere gridare per le strade dietro a striscioni. Ma non mi sono limitato a raccontare. La stampa iugoslava mi ha definito “il frate delle Foibe” e cinque giudici iugoslavi mi hanno cacciato dalla mia isola e m’hanno proibito di ritornarci.»

Una biografia è spesso un mero elenco di fatti e numeri. Luigi Tomaz propone alcuni ricordi biografici che ingentiliscono la lettura e danno una più ampia interpretazione alla sua vita.

[…] «Tenero e comprensivo nei sentimenti e buono e generoso sempre e con tutti, da vero frate di San Francesco e da autentico Cristiano, è stato inflessibile su tutto quanto riguardava i convincimenti ideali e l’impegno scelto con limpida volontà per la difesa dei diritti assistenziali, politici e storici degli esuli.

Quando prese i voti e quando, a 24 anni, nel 1937, fu ordinato sacerdote, certo non poteva intuire quale sarebbe stato il suo destino. La sua viva intelligenza e la grande capacità di applicazione allo studio avevano convinto i superiori a destinarlo ad alte funzioni. Fu mandato all’Università belga di
Lovanio, dove rimase fino al 1940 per passare all’Ateneo di Bologna a compiere gli studi giuridici dopo aver perfezionato lo studio del Latino, del Greco, della Sociologia, che avrebbero dovuto essere le materie del suo insegnamento nelle scuole del suo Ordine.

Nel 1943 fece tempo ad assumere con entusiasmo la funzione di cappellano militare e a svolgere il servizio in Corsica, in Sardegna e in Toscana, superando con rettitudine e carità di Patria le difficili e pericolose vicende dell’Armistizio, dell’occupazione germanica e anglo-americana, della guerra civile e della ricostruzione dell’Esercito, fino al 1948, anno della grande conferma democratica che ha garantito la stabilità dello Stato.

In quell’anno il chersino Padre Alfonso Maria Orlini, già Ministro Generale dei Francescani Conventuali ed esuberante primo Presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, lo istradò alle problematiche dell’Esodo, dei Profughi Giuliano-Dalmati che erano affluiti in Italia in numero imprevisto e impressionante e continuavano ad affluire esuli nella Patria sbigottita.

Padre Rocchi non era -non lo sarà mai- uomo di mezze misure. Accettò la chiamata e nel 1949, dopo aver, tra l’altro, condotto una trasmissione radiofonica dedicata al mondo istriano-dalmata in fuga, accettò la Direzione dell’Ufficio Assistenza dell’A.N.V.G.D. che allora aveva assunto gli oneri e le funzioni di un originario centro per l’assistenza ai profughi con particolari deleghe del governo. Ha diretto anche il Collegio dei piccoli profughi di Roma.

Il Latino, il Greco, la Sociologia, i seminari dei frati, dovettero trovare altri insegnanti ed i superiori dell’Ordine capirono che la vocazione operativa del loro confratello divenuto esule da Neresine nell’isola di Cherso-Lussino, era quella di dedicarsi anima e corpo ai suoi corregionali più bisognosi di assistenza civile e cristiana in un mondo che per tutta la seconda metà del secolo li avrebbe altrimenti del tutto dimenticati. Nella prefazione dell’ultimo suo libro L’Istria dell’Esodo – manuale legislativo dei profughi istriani, fiumani e dalmati ha scritto che assunse allora la continuità dei sette conventi rimasti in Istria. Ha voluto dire che le popolazioni non sono state abbandonate dai loro frati.

Il frate in saio marrone con bianco cordone di San Francesco divenne familiare nei corridoi dei ministeri romani. Al Ministero del Tesoro dove le leggi finanziarie e le erogazioni dei danni di guerra e dei risarcimenti dei beni abbandonati trovavano attuazione, quel frate riuscì persino ad ottenere un locale per tener l’archivio delle pratiche da seguire giorno per giorno. La fama ministeriale straripò e l’Associazione per i problemi dei rifugiati che con la sigla A.W.R. è riconosciuta dall’ONU, l’ha visto tra i suoi membri.

Tra gli esuli acquistò fama straordinaria perché la grande maggioranza capì che ce la metteva tutta e che pur ottenendo per i più quel poco che la tirchieria dei politici e dei burocrati di tanto in tanto concedeva tra le spese pazze per le categorie più fortunate dei cittadini italiani, egli era comunque l’unica speranza, per qualcuno addirittura il simbolo della speranza, un legame morale con la propria storia che non doveva essere reciso. […]

Nell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia è stato per cinquant’anni l’elemento costante, e, nell’andirivieni dei Consigli, dei Comitati e dei Presidenti, finì per assumere la funzione di bandiera e di garante della continuità. Quando si verificò la crisi o generazionale o dovuta a sfiducia sull’avvenire, assunse il ruolo di uomo della Provvidenza che salvò l’Istituzione ed anche il Giornale che nessuno aveva portato alla stampa per ben tre anni. Si deve a Lui se, composta la crisi, la vita associativa riprese con novello vigore.

L’immanenza di Padre Rocchi continuò anche col rinnovo di tutte le cariche, tanto che in certi momenti parve ingombrante. Son cose naturali che succedono sempre in casi simili ed è pur naturale che tosto ci si ravveda e ci si penta del fuggevole pensiero e di non aver capito l’attaccamento a quella che era ormai la sua caratura che oltretutto sapeva di dover presto lasciare in mani che dovevano essere fidate.

Anche questo particolare bisogna ricordarlo se su di Lui si vuol fare quella Storia vera che ha meritato.»

Luigi Tomaz

 

La prima puntata con la biografia sintetica http://www.anvgd.it/notizie/14901-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-1-12mar13.html

La seconda puntata e la vita da cappellano militare http://www.anvgd.it/notizie/14913-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-2-14mar13.html

La terza puntata sull’esperienza di cappellano militare in Corsica http://www.anvgd.it/notizie/14945-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-3-19mar13.html

La quarta puntata con i ricordi della sua Neresine http://www.anvgd.it/notizie/14961-2013-lanno-di-padre-flaminio-rocchi-4-22mar13.html

 

 

 

L’inizio dell’impegno negli anni ’50 con l’ANVGD. Scrutinio alle elezioni del Congresso nazionale dell’Associazione

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.