È successo in Italia con le polemiche legate al pagamento dell’Imu anche alla Chiesa. Sta succedendo in Slovenia dove, in tempi di pesante crisi socio-economica, lo Stato sborsa circa due milioni di euro all’anno per pagare i contributi sociali (assistenza sanitaria e pensione) ai cosiddetti lavoratori dello spirito, ossia sacerdoti e ministri di culto delle varie professioni di fede presenti nel Paese. Sono in molti a chiedere uguaglianza nel regime fiscale.
E anche il governo Bratušek comincia a prendere in considerazione il problema. Se ne è parlato anche al recente summit di maggioranza a Brdo pri Kranju. L’esecutivo di centrosinistra comunque non sembra molto propenso a introdurre il sistema dell’otto per mille come esiste in Italia e in Germania perché secondo molti rappresentanti che sostengono il governo un simile regime introdotto in un periodo in cui si chiedono lacrime e sangue ai cittadini potrebbe aprire un nuovo e pericoloso fronte ideologico.
Molti parlamentari di maggioranza, invece, pensano che sarebbe opportuno equiparare le 43 confessioni di fede riconosciute in Slovenia alle altre persone giuridiche o commerciali. Così si sta pensando che sarebbe opportuno che anche le varie professioni di fede pagassero le tasse per i propri beni immobili, leggi chiese o djamije così come è in progetto la soluzione che prevederebbe che le stesse professioni di fede pagassero le tasse sui proventi derivanti dalle funzioni religiose quali nozze o funerali, nonché la fine delle agevolazioni sulle tasse circa le proprietà naturali, leggi boschi e campi.
Quello che fin qui appare certo, anche perché sostenuto da una sentenza della Corte costituzionale slovena, è una riforma in base alla quale non sarà più obbligatorio che i cappellani militari siano dipendenti del Ministero della difesa. Lo Stato erogherebbe loro una paga solo in caso di missioni militari all’estero.
Mauro Manzin
“Il Piccolo” 16 maggio 2013
Cappellani militari sloveni in Afghanistan (foto katoliska-cerkev.si)