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Verteneglio vuole rinascere serenissima (Voce del Popolo 18mag13)

C’è, nella parte nord-occidentale della penisola istriana, una cittadina che rinasce serenissima. È Verteneglio. Sorta sulle rovine di un vecchio castello preistorico, terra di fughe e di approdi, di vicende alterne, oggi vuole (ri)vivere valorizzando le eccellenze che la contraddistinguono, come l’olio d’oliva e in primis il vino. La sua terra è fertile – “nera”, da cui appunto il nome con cui viene citata per la prima volta in un documento del 1234, “Ortoneglio” o “Hortus Niger” –, la sua gente è umile e tenace, operosa e positiva; in ogni caso decisa a resistere. La storia, in questo caso, fa da maestra, e la riappropriazione del passato, insieme con il recupero, oggi in atto, delle tradizioni rurali e delle antiche vestigia – dall’architettura al paesaggio – fa parte del percorso di sopravvivenza e rilancio del borgo.

Pertanto “Verteneglio e il suo territorio in epoca veneziana”, di Rino Cigui, opera pubblicata in versione bilingue italo-croata dal Comune di Verteneglio, grazie anche al contributo stanziato dalla Regione Veneto, al di là del suo valore storiografico intrinseco, è più di una monografia. È il prodotto di un attaccamento viscerale, sincero e profondo dell’autore nei confronti dei luoghi natii, che infonde e ispira rispetto, orgoglio e affetto verso questa fetta d’Istria, e fiducia nel futuro. Non a caso si parte con una citazione di Indro Montanelli: “I paesi che hanno l’amore e il rispetto per il loro passato sono difficili da sfasciare, perché contro questo tentativo vigila la coscienza di rappresentare una comunità chiaramente identificata nei propri caratteri e fermamente decisa a restarvi fedele”.

Dunque, il volume di Cigui racchiude, in circa 150 pagine, la memoria storica di Verteneglio e dintorni (non mancano, infatti, riferimenti ad altre cittadine della zona, tra cui Villanova), cui fa da supporto quella fotografica di Gianfranco Abrami, maestro dello scatto che con il suo obbiettivo ha immortalato un’infinità di angoli paesaggistici, culturali e architettonici, da Capodistria alle Bocche di Cattaro. Fresca di stampa – è stata presentata di recente nel neonascente Museo del Vino e dell’arte contadina di Verteneglio –, la monografia è il risultato di un lavoro pluriennale di ricerca, che ovviamente non si esaurisce qui, ma invece può costituire un prezioso punto di partenza e di riferimento per ulteriori indagini e approfondimenti.

Come ha ricordato il ricercatore e storico-demografo capodistriano Dean Krmac (Società umanistica “Histria”), ripercorrendo cronologicamente e tematicamente i contenuti del libro, ci troviamo di fronte alla terza opera su Verteneglio, dopo i saggi di Elio Predonzani (“Piccola storia di un piccolo paese. Verteneglio”, Trieste, 1968) e Niki Fachin (“Verteneglio e dintorni”, Verteneglio, 2001). Rispetto ai precedenti questo di Cigui prende in esame un periodo preciso, l’età della Serenissima, vale a dire dall’anno della dedizione definitiva di Cittanova (e Verteneglio si trovava in quel periodo sotto la sua giurisdizione ecclesiastica) nel 1270, alla caduta della Repubblica, nel 1797. Il “limite” temporale che Cigui si è imposto non gli ha impedito però di spaziare anche nei secoli precedenti – spiegando le origini, la cultura dei castellieri, la presenza romana, la sua importanza strategica quale punto di controllo territoriale, come emerge da recenti scoperte archeologiche –, e anzi di estendere il suo raggio anche alla geografia e geologia. Ne emerge un quadro preciso e abbastanza esaustivo, corroborato da documenti ritrovati negli archivi, in cui l’autore non manca di segnalare le zone d’ombra (storiograficamente parlando) e le divergenze d’interpretazione.

A partire dalla stessa denominazione. C’è chi sostiene infatti che Verteneglio derivi da “hortus niger” (“… quivi la terra comincia a essere negra, essendo il resto del territorio di Cittanova terra rossa, ora dagli slavi che chiamano l’orto Verthe fu corrotto il vocabolo in Verteneglio …”, come riporta nei “Commentari storico geografici della provincia dell’Istria” il vescovo emonienese Giacomo Filippo Tommasini), mentre altri l’accostano alla pronuncia dialettale slava di certi toponomi come Bercenigla e Mercenigla, di origine prelatina.

Nel XIII secolo anche Verteneglio passa sotto l’ala del Leone di San Marco; nel Cinquecento di affranca da Cittanova e al tempo della visita del Visitatore apostolico Valier, ottiene d’essere parrocchia autonoma dal capitolo cittanovese e la possibilità di eleggere un proprio pievano (parroco), e la scelta cade su uno zaratino, don Gian Giacomo de Rossi. Dettagliato e ben curato l’aspetto delle confraternite, delle istituzioni ecclesiastiche e delle chiese e poi quello demografico, interessanti e utili i cenni a Villanova; molto importante, con spiegazioni sulle conseguenze della peste del 1630-31. Cigui, grazie a un certosino lavoro negli archivi, è riuscito addirittura ad antedatare la prima comparsa – almeno quella documentata – del morbo di bubbonica al 1557. Strettamente connesso all’epidemia e alle altre patologie infettive è il problema della colonizzazione, intrapreso sia da Venezia sia dalla limitrofa Contea di Pisino, per ridare nuova linfa all’economia. Giusero genti slave dalla Dalmazia e dall’entroterra dalmata – con ceppi di rumeni – in fuga dalle invasioni ottomane e sudditi veneti, friulani.

Sfogliando le belle pagine in carta patinata, con illustrazioni a colori (di produzioni di documenti, fotografie, cartine e piantine), ben scritte e ricche di note, colpiscono alcuni elenchi e dati anagrafici: c’è la “Descrittione dell’anime che s’attrovano nella Villa di Verteniggio” in data 17 aprile 1596; c’è una specie di “censimento” del Settecento (1766, 1771, 1790), con il numero delle famiglie e delle “anime” (ragazzi under 14, uomini tra i 14 e i 60 anni, gli over 60, donne), dei preti, dei negozianti/bottegheri (nessuno), di artigiani, contadini, e poi degli armenti (bovini, vitelli, somarelli, cavalli, pecorini, caprini), delle macine da olio e torchi, delle mole e dei telai; c’è la radiografia delle confraternite; c’è l’elenco degli zuppani nominati dal 1548 al 1784; e un preziosissimo elenco in ordine alfabetico di tutte le famiglie di Verteneglio, desunto dai libri parrocchiali (XVI-XVIII secolo), con il riferimento all’anno in cui un cognome compare per la prima volta nella vita della cittadina.

La presenza di una buona parte di questi nella Verteneglio attuale e la mescolanza delle origini è da una parte la prova di una straordinaria continuità, ma anche di un bilinguismo che si è formato nel corso dei secoli. Dal quale appunto trarre insegnamento nel plasmare l’oggi e il domani. Parafrasando l’intervento dello storico Gaetano Benčić, che ha parlato di Cigui e della sua opera in modo molto coinvolgente, quasi teatrale, la storia, dunque, serve, eccome.

Ilaria Rocchi
“la Voce del Popolo” 18 maggio 2013

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