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Venezia Giulia, una «luce» nell’analisi di Diego Redivo (Voce del Popolo 01giu13)

Si riferisce all’esperienza umana di Diego Redivo, il prof. Fulvio Salimbeni, nella sua prefazione al saggio “Lo sviluppo della coscienza nazionale nella Venezia Giulia” (Del Bianco Editore, Collana “Civiltà del Risorgimento”, n. 91, Udine, 2012, pp. 421), ultima fatica appunto del Redivo. Afferma infatti che “il ventennale impegno (di quest’ultimo è), esercitato non all’interno dell’Università – e questo è uno dei tanti scandalosi esempi dello spreco delle migliori intelligenze che nella nostra disgraziata Patria si va perpetrando causa una classe dirigente inerte e imbelle, di tutto preoccupata meno che di favorire l’intelligenza…–, ma nelle ore libere dal lavoro quotidiano”.

È uno sfogo comprensibile, ma anche un riconoscimento delle grandi qualità di storico, studioso e divulgatore e fine conoscitore di molti argomenti collaterali o paralleli alla “Storia”, che la rendono complessivamente più succosa e comprensibile. Un riconoscimento che Diego Redivo merita tutto, anche alla luce del voluminoso lavoro che espone in questa sua opera.

Parte da Gian Rinaldo Carli, siamo nel 1700, descrivendo l’influenza che il personaggio avrà sulla cultura istriana e italiana, analizzando gli scritti di molti studiosi che scrutarono nei documenti del noto esponente capodistriano cercandovi le tracce di quel sentimento nazionale presente nell’Istria ancor prima che si formasse lo Stato Italiano da cui la terra istriana sarà separata ancora a lungo. E per restare in tema di personaggi, interessante il saggio su Nicolò Tommaseo e l’esperienza rivoluzionaria che segnò la fine di ogni speranza di ritorno della Repubblica di Venezia.

I tempi non erano ancora maturi per una vicenda che conducesse alla nazione italiana; siamo nel 1848, l’Austria era ancora un Paese forte, non aiutarono certamente le opposizioni delle città limitrofe, che non volevano tornare sotto il giogo della città lagunare, aiuti stranieri promessi e poi non concessi. Le testimonianze e i racconti riassunti qui dal Redivo sono interessanti perché rivelano questioni e dietrologie fondamentali a comprendere il perché di tanta difficoltà a riunire il Paese sotto un’unica insegna. Questioni che a ben guardare, evidentemente segnano ancora profondamente il sentire del nostro Paese, benché sia passato molto tempo dall’enorme e complessa vicenda dell’irredentismo di queste terre.

Non manca un personaggio femminile Carolina Luzzatto, nata a Trieste nel 1837 e deceduta a Gorizia nel 1919. La storia di questa donna si inserisce nello studio più ampio dell’ebraismo nell’ambito dell’irredentismo. Il Redivo rileva a ragione che “Trieste, per la comunità ebraica dell’impero asburgico, rappresentava una realtà certamente privilegiata in termini di tolleranza, ben diversa dagli altri territori della monarchia, dove si respirava un diffuso antisemitismo, che poi raggiunse il culmine con il borgomastro di Vienna, Karl Lueger, che usò quest’arma politica anche come strumento anti-italiano”.

Non è possibile qui dilungarci oltre, se non ancora una volta sottolineare come nel saggio non venga tralasciato nessun particolare dello sviluppo storico di quell’epoca, particolarmente frastagliata nelle componenti etniche, religiose, territoriali. Ed è proprio il territorio, anzi un’analisi storica del confine orientale, ad avviare la serie di scritti che messi assieme formano l’opera.

 

Geografia e geopolitica. “Appartenere ad una nazione significa essere formati dalla sua lingua, dalla sua cultura, dal suo passato e dalla sua realtà spaziale – scrive Redivo –. La vasta area comprendente l’attuale Venezia Giulia, l’Istria, Fiume e la Dalmazia… terra di incontro-scontro tra razze – quella latina, quella germanica e quella slava… e come ha sintetizzato Ernesto Sestan, dove “l’Ambito territoriale di una nazione vien morendo e trapassando in altri” e dove quindi la lotta per il mantenimento della propria identità rappresenta un vero motivo di sopravvivenza”.

E ancora “con il crollo dell’impero (romano) inizia la difesa, istintiva o cosciente, di ciò che la romanità aveva seminato, e da allora la Venezia Giulia diventa la sentinella orientale”, attraverso i secoli giungendo alla questione di Fiume e al sentire di Gaetano Salvemini e Carlo Maranelli, siamo agli inizi del ’900, i quali ritenevano che “la questione adriatica andava risolta garantendo all’Italia la Venezia Giulia meno l’Istria Orientale, e qualche isola dalmata di antica cultura veneta e di fondamentale interesse strategico mentre, dopo aver garantito una larghissima autonomia alle città di Fiume e Zara (nuclei italiani in terra slava), bisognava riconoscere i diritti slavi sulla Dalmazia”.

Redivo racconta quindi come questa analisi fosse imbevuta di teorie economiche che vedevano Trieste porto internazionale, polmone della zona danubiana, tesi duramente contestata dai nazionalisti italiani, tra cui Ruggero Timeus (Fauro) e Mario Alberti.

Non mancano interi capitoli dedicati al Mazzinianesimo, a Guglielmo Oberdan, a Valentino de Gavardo e Giani Stuparich. Interessante l’analisi sul crescente divario tra “classe” e “nazione”, che il socialismo aveva posto come questione politica. Citando Gino Piva, Redivo ricorda come all’interno di quel movimento politico ci fossero visioni diverse che costrinsero Piva all’abbandono del suo partito.

Egli aveva nelle memorie istriane del 1911 “criticato duramente i socialisti italiani dell’impero asburgico per il loro sostegno ad “un governo feudale” e per non essersi accordati con gli elementi migliori del nazionalismo italiano della Venezia Giulia in nome di un internazionalismo che aveva danneggiato unicamente la comunità italiana”. Non mancano saggi su arte e musica, sull’associazionismo in chiave patriottica: Lega nazionale, Università Popolare, scuole italiane.

È impossibile dire tutto di un testo corposo che conta più di quattrocento pagine fitte di argomenti, citazioni, ragionamenti e analisi su tutto quello che caratterizzò gli eventi storici di queste terre, in un lungo periodo storico travagliato, che si conclude con il saggio su Maria Pasquinelli, premessa al libro intervista di Rosanna Turcinovich Giuricin, e quindi al tempo del drammatico esodo dall’Istria, Fiume e Dalmazia, alla fine cioè della Seconda guerra mondiale. L’invito a leggerlo per una miglior comprensione di tanti argomenti e fatti, troppo spesso trattati in termini manchevoli e banali, sui quali Diego Redivo pone raggi di luce.

Rossana Poletti
“la Voce del Popolo” / suppl. Storia 1 giugno 2013

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