A meno di quattro settimane dall’ingresso nell’Unione europea, il primo luglio prossimo, la Croazia sembra oggi un Paese quasi indifferente verso questa importante tappa storica, considerata in passato come il culmine del processo di indipendenza e di democratizzazione, iniziati ventidue anni fa. Il governo di centro-sinistra, in carica dal novembre del 2011, ha subito un rovescio alle amministrative di domenica scorsa, perdendo la guida della capitale Zagabria dopo 13 anni di amministrazione socialdemocratica, seppur vincendo nelle altre maggiori città. I forti tagli alla spesa pubblica, inclusa la riduzione degli stipendi degli statali, e la mancata promessa di attirare nuovi investimenti esteri e avviare alcuni grandi progetti infrastrutturali pubblici, sono alla base del calo di consensi del governo.
Ma un più largo scontento sociale, che questa settimana potrebbe sfociare in una prima grande ondata di scioperi nel settore pubblico, è dovuto alla profonda crisi economica e alla disoccupazione che ormai da un anno è costantemente sopra il 20 per cento della forza lavoro (a circa il 40 per cento quella giovanile). L’economia è in recessione per il quinto anno consecutivo, nonostante la politica di austerità il debito estero continua a crescere e la produzione industriale a calare. Il turismo, che rappresenta quasi il 20 per cento del Pil del Paese, rimane l’unico settore a non risentire della crisi. Ma le notizie negative che continuano ad arrivare dell’eurozona e i problemi interne alla Ue non contribuiscono a smorzare l’atmosfera di apatia. Dalla prima fase dopo l’adesione non ci si attende molto.
Paesi come Germania e Austria hanno già annunciato che useranno il diritto di limitare l’ingresso dei croati al loro mercato del lavoro. Per quanto i prodotti croati avranno accesso al mercato unico, molti temono che l’ingresso nell’Ue potrebbe tramutarsi in un altro colpo all’industria croata, soprattutto quella agroalimentare, dato che i prodotti europei avranno il libero accesso ai supermercati in Croazia. Inoltre, dal primo luglio il Paese è costretto a uscire dalla Cefta, l’associazione di libero scambio tra i Paesi dei Balcani non-membri dell’Ue, zona in cui la Croazia tradizionalmente, sin dal periodo jugoslavo, realizza una enorme fetta del suo interscambio commerciale, sempre con un avanzo a suo beneficio. D’altro canto, come importane stimolo allo sviluppo del Paese, viene indicato che nell’ambito del quadro finanziario pluriennale UE 2014-2020, Zagabria potrà contare su 11.7 miliardi di euro, e già nella seconda metà del 2013 avrà a disposizione circa 665 milioni di euro, di cui 450 milioni di fondi strutturali e di coesione.
A prescindere dal quadro economico, l’adesione alla Ue ha comunque per la Croazia un fortissimo valore simbolico, e rappresenta la conclusione di un lungo processo di transizione dall’esperienza jugoslava e socialista, conclusasi con la sanguinosa guerra per l’indipendenza negli anni Novanta, verso l’appartenenza alla famiglia delle nazioni europee. I negoziati di adesione sono stati lunghi e più severi di quelli degli altri Paesi dell’est europeo. Nella prima fase l’ostacolo maggiore era costituito dalla non soddisfacente cooperazione con il Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia (Tpi), mentre negli ultimi anni Bruxelles ha insistito sulla democratizzazione del quadro legislativo e delle istituzioni, come anche sulla lotta al crimine organizzato e alla corruzione.
L’esempio più visibile degli sforzi fatti da Zagabria sono i tre processi per corruzione contro l’ex primo ministro Ivo Sanader, e una sua condanna in primo grado a dieci anni di carcere. Ma per ironia della sorte, proprio Sanader sarà ricordato nei libri di storia come il leader politico croato che, governando dal 2004 al 2009, ha avviato una serie di riforme che hanno portato la Croazia nella Ue. Il 30 giugno è in programma a Zagabria e in altre città croate una grande festa per l’adesione, e sono attesi i massimi dirigenti delle istituzioni europee, leader di una ventina di Paesi dell’Ue, incluso il presidente Giorgio Napolitano e il presidente del consiglio Enrico Letta, come anche i dirigenti dei Paesi vicini, come la Serbia e la Bosnia. Con l’ingresso della Croazia, secondo Paese della ex Jugoslavia a entrare nell’Unione dopo la Slovenia, per l’Ue non cambierà molto, dato che il Paese rappresenterà lo 0,85 per cento dell’intera popolazione, l’1,33 per cento del territorio e lo 0,53 per cento del Pil. A livello simbolico invece l’adesione dei croati rappresenta la conclusione della prima fase della stabilizzazione e integrazione dei Balcani, dopo le guerre degli anni Novanta, e una piccola spinta alla fiducia nell’Europa unita nella presente situazione di crisi.
Franko Dota
www.ansa.it 4 giugno 2013