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Missoni, il simbolo dei «fratelli della costa» (Voce del Popolo 08giu13)

Con la scomparsa dello stilista Ottavio Missoni gli italiani di Dalmazia hanno perso il loro uomo simbolo, la loro bandiera. Missoni era un personaggio che, con la sua fama e la sua carica di umanità, di genuinità dalmata, era riuscito nell’impresa non facile di farsi conoscere e apprezzare da tutti. Sia dalla diaspora, sia dai rimasti, sia dalla maggioranza croata. Era l’uomo che univa simbolicamente le tante membra sparse, in patria e nel mondo della realtà dalmata. Pertanto la sua scomparsa ha suscitato dappertutto grande cordoglio. Pure la stampa croata ha dato ampio risalto alla figura e all’opera di Missoni.

Nelle ultime settimane la sua biografia (in primo luogo le sue imprese da atleta e i suoi successi da stilista) è rimbalzata su tutti i mezzi d’informazione. Noi desideriamo soffermarci qui soprattutto sul rapporto di Missoni verso la sua terra natia, sul modo come la percepiva, sui ricordi nell’ambito del mondo della diaspora. Quelli che Ottavio chiamava con un sintagma felice i “fratelli della costa” non lo dimenticheranno mai: lui, con la sua semplicità, la sua naturalezza, li ha rappresentati in ogni dove nel migliore dei modi. Ma anche l’opera di Missoni quale stilista è intrinsecamente legata alla sua terra natia: i suoi colori rievocano i paesaggi e le tradizioni della Dalmazia, sia della costa che dell’entroterra.

Nato nel 1921 a Ragusa (Dubrovnik), Ottavio è cresciuto a Zara. Per gli esuli è stato un testimonial prezioso della loro causa, uno schietto custode delle verità della diaspora dalmata. Dall’archivio di Padre Flaminio Rocchi, l’Apostolo degli Esuli, scomparso nel 2003, è emersa una lettera che indirizzò ad Ottavio Missoni nel 1999, in occasione della sua elezione a Sindaco del Libero Comune di Zara in Esilio. Ne riportiamo alcuni passaggi che ben definiscono la figura dello stilista dalmata.

«San Francesco diceva al frate ortolano di non zappare tutto l’orto, ma di lasciare un angolo allo stato selvatico affinché i fiori e le erbe crescessero allo stato naturale. Nell’orto raffinato e moderno degli stilisti, Missoni mi sembra quell’angolo: zig zag di colori, di luci, di sorrisi. Il ‘Cantico delle Creature’. Nei primi incontri anch’io cercavo lo stilista Missoni. Invece ho scoperto con curiosità divertita l’angolo di una baia dalmata, intima e calda, spettinata e dialettale. Lei, Signor Sindaco, Signor cavaliere del Lavoro, non ha mai coltivato un discorso. Ha gettato in mezzo a noi una manciata di parole colorate: la sincerità della natura».

Nel 2011, durante un’intervista al quotidiano triestino “Il Piccolo”, la giornalista Maria Cristina Vilardo ricordò a Missoni quella lettera di Padre Rocchi e così lo stilista ebbe a commentarla: «Ah, ma guarda che bela roba che gà scrito! Straordinario, mi quasi pianzevo quando go leto. Padre Rocchi ha scritto un libro stupendo sull’esodo dei 350 mila giuliani, fiumani e dalmati, senza prender parte per nessuno. Lui raccontava i fatti, i dati, i numeri, e basta. Veniva sempre ai nostri raduni di Zara, che facciamo una volta all’anno».

Il presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Antonio Ballarin, ha sottolineato in un comunicato che gli esuli ricordano l’amore di Missoni «per la Sua Zara e la Sua Dalmazia e la costante, generosa vicinanza alla ANVGD. Rimane un simbolo della laboriosità delle genti giuliane e dalmate e del loro amore per l’Italia, che tributa all’esule da Zara pervenuto a fama mondiale il suo omaggio e la sua riconoscenza. Il suo nome si è affermato e rimarrà nella storia del costume e della creatività italiane, che con il contributo suo e della sua famiglia hanno raggiunto esiti di straordinaria qualità e di insuperabile eleganza. I colori mediterranei che hanno reso la sua Maison inconfondibile nel mondo, riflettono le tonalità e i contrasti della sua Dalmazia, del suo mare e della sua aspra e pungente natura. “Io – ha dichiarato in un’intervista del 1999 al Corriere della Sera – sono nato a Ragusa che si ostinano a chiamare Dubrovnik. Ma, sino a vent’anni, ho vissuto a Zara. Sarebbe là il mio paradiso. Ma purtroppo Zara, quella mia Zara, non esiste più. Eravamo in 20 mila. Quattromila sono morti sotto le bombe. Gli altri sono sparsi per il mondo. La città è stata distrutta al 70,75 per cento. Ti viene il sospetto che Zara non sia mai esistita”.

Ma sono infinite le circostanze nelle quali Ottavio Missoni ha rievocato e raccontato, nel suo elegante dialetto dalmato-veneto, la nostalgia dell’esule e la fatica della rinascita dopo la perdita di tutto. Per quel sentimento insopprimibile di rimpianto che diviene, paradossalmente, il più profondo rifugio dell’esule, Missoni ci ha accompagnato per decenni, sempre presente e disponibile agli appelli delle Associazioni degli esuli ad intervenire con la sua innata verve e la sua intatta semplicità che è degli uomini che hanno avuto esperienza della sofferenza e del duro riscatto. Ci mancherà enormemente. Avrà senz’altro raggiunto quel ‘paradiso immaginario, perduto’ come egli definì più volte la sua Zara o, meglio, avrà ritrovato il possibile paradiso’, come ebbe a dire la sua fedele consorte signora Rosita, la Dalmazia infine ritrovata. E con essa il carissimo figlio Vittorio, scomparso nelle acque venezuelane appena nel febbraio scorso, un dolore che ha sopportato con la dignità e la riservatezza delle genti di mare, delle genti dalmate. Ha segnato, per tutti noi, un esempio di come una persona sradicata, costretta a girare il mondo, mal compresa, in Patria, nelle sue radici profonde, possa ricostruire, con prospettiva, una vita piena. Il vuoto che lascia è colmato dalla sua testimonianza di vita e ci piace immaginarlo in compagnia del Padre, a cui è ritornato, a disegnare, seduto su uno scoglio di un paradiso reale e ritrovato, con una tavola dagli infiniti colori, tanti quanti ne ha la Sua e la nostra Terra».

Ma la figura di Missoni è importante anche perché lo stilista, pur ricordando sempre con affetto la sua Dalmazia e rievocando l’esodo, non ha mai ceduto alla tentazione di cadere nelle mitizzazioni. «Ma xe proprio tuti mona.. me ciamè per dirve sempre le stesse robe. no xe stufi?”. Iniziava così l’esule Ottavio quando lo chiamavano a ricordare la sua Dalmazia, la sua Ragusa, la sua Zara, ha rilevato Gian Micalessin sul Giornale. «Ma quando la battuta lasciava il posto al sentimento il fiato di Ottavio ti prendeva per mano, ti trascinava tra le rocche di Ragusa, t’accompagnava tra le calli veneziane di Zara, ti faceva respirare gli odori di quel mare blu e profondo, di quella terra rossa e aspra. Ti faceva sussultare il cuore come quando ragazzino saltellava con quelle gambe da stambecco tra gli scogli della marina. Ma se il ricordo diventava nostalgia, se l’occhio del pubblico s’illanguidiva allora l’esule Missoni lo sferzava con quell’ironia sprezzante da dalmata indomito e orgoglioso: “Ma cossa xe tuti mona? Non son qua per farve pianzer, son qua per farve ricordar”. Raccontare, ricordare, emozionare significava per Ottavio riscattare «50 anni di silenzio e di mistificazione», cancellare la sordina politica e morale imposta «tacendo su una verità scomoda». La verità impertinente di un esule stilista capace di tessere e colorare anche l’esile filo del ricordo e della storia».

Un anno e mezzo fa Ottavio aveva raccontato la sua storia nel libro autobiografico «Vita sul filo di lana», scritto con il giornalista Paolo Scandaletti. Molto, nella sua storia, hanno contato i natali nella terra dalmata. «La Dalmazia», si legge nella prefazione del libro, «è sempre stata dentro lui; i colori, i sapori, le sfumature di quel periodo hanno profondamente influenzato ogni suo tessuto, ogni suo modello». Missoni ha sempre ribadito: «Noi della costa non siamo né danubiani né balcanici. La Dalmazia è sempre stata un crogiolo di lingue, il mare ha fatto comunicare tutti. Potranno cambiarci i passaporti, ma non conta nulla. La Dalmazia ha un’anima sua. E se qualcuno oggi la chiama Croazia del Sud io insisto a dire che è Dalmazia». I ricordi sono quelli di un esule: «L’ultimo Natale a Zara – ha raccontato anni fa – è stato quello del 1941, poi sono andato militare. Quando ci furono i bombardamenti degli anglo-americani, io ero prigioniero in Egitto, mio padre e mio fratello erano imbarcati. A casa era rimasta mia madre che, ai primi del 1944, è fuggita da sola a Trieste lasciando tutto, ma portandosi via il pianoforte, che ancora abbiamo». Il resto andò perduto, anche la casa di famiglia a Ragusa.

Certo quando si insisteva sulle nostalgie eccessive, Ottavio era pronto alla battuta, ma lui di certo non scherzava sulle cose che contavano davvero: il ricordo di Zara, la città perduta della sua infanzia, e il titolo di sindaco — un titolo assolutamente onorifico e simbolico di cui era terribilmente fiero — del suo comune in esilio. Un esile filo che gli ricordava una civiltà scomparsa, la Dalmazia multiculturale, la Piccola Patria schiacciata tra la Balcania e l’Adriatico, stritolata dai nazionalismi e dalle follie del Novecento. Un mondo violentato, smembrato, cancellato. Probabilmente per sempre, purtroppo. Da qui l’impossibilità di un nostos; a differenza dell’eroe omerico, per Ottavio e per gli italiani di Dalmazia sparsi nel mondo non vi era più nessuna Itaca, alcuna casa ad attenderli. Penelope, Telemaco, Argo se n’erano andati da tempo. La Storia ha inghiottito tutto e tutti. Con voracità. Rimane soltanto il ricordo e una patria ormai immaginaria. Da qui il riserbo e il rifiuto della retorica.

Come ha acutamente notato Giorgio Ballario su Barbadillo.it, Missoni si è sempre rifiutato di fare della tragedia del confine orientale «un mito incapacitante, un’ossessione fissata nel passato». Ma proprio questo ha permesso che quel ricordo fosse patrimonio di pochi intimi, ha favorito la sua riemersione a livello non soltanto italiano. È anche merito suo se nella Dalmazia attuale, seppure timidamente, si cerca di ricucire lo strappo con il passato, di riportare alla luce antichi intrecci culturali, quelli che del resto sono il simbolo delle peculiarità di questa terra.

Dino Saffi
“la Voce del Popolo” / suppl. Dalmazia 8 giugno 2013

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