ANVGD_cover-post-no-img

Prezioso lascito letterario e di pensiero (Voce del popolo 03set13)

Alessandro Damiani, scrittore, giornalista, poeta, saggista, autore di teatro e uno degli intellettuali più alti della CNI – sebbene la portata della sua opera e del suo pensiero superi di gran lunga gli angusti confini del nostro piccolo mondo comunitario –, ha compiuto ottantacinque anni. Una tappa anagrafica importante, la quale corrisponde alla longevità del suo poliedrico e fecondo operare, che è giusto e doveroso sottolineare. Il 13 settembre prossimo nell’Aula consigliare della municipalità di Fiume, scrittori, poeti di spicco della Comunità Italiana e della maggioranza gli dedicheranno una serata in cui si celebrerà il suo importante contributo letterario e di pensiero.

Damiani, personaggio di rara caratura morale ed onestà intellettuale – e qui chiamiamo in causa Bruno Maier – è un “intellettuale di profonda cultura e di vasti e moderni interessi, volto a comprendere sé stesso e la propria realtà esistenziale e, insieme, la condizione della nostra epoca nelle sue molteplici lacerazioni e contraddizioni… Impegnato nella ricerca e nell’affermazione di valori autentici – umani, morali, sociali – in alternativa alle ideologie precostituite e dogmaticamente accolte, Alessandro Damiani è un testimone, un interprete e un giudice attento e severo del mondo contemporaneo”.

Ha compiuto un bel percorso. Guardandosi indietro che cosa vede?

“Sessant’anni di attività letteraria e passa… La mia opera letteraria appartiene alla CNI e alla sua travagliata storia. Ho visto l’Istria distrutta, ho visto persone che sono state prelevate dall’UDBA perché stavano con Stalin, ho visto tanta gente che si dichiarava comunista e una volta finito il comunismo è diventata nazionalista e fascista, sono stato testimone di un tempo. Della questione delle foibe ho scritto negli anni Cinquanta e il lavoro è stato pubblicato in Italia.
Ho iniziato a scrivere negli anni ’50 con la prima parte della trilogia teatrale ‘Ipotesi’, la mia opera più importante. La mia attività letteraria si è espressa in quattro forme: poesia, narrativa, teatro e saggistica. C’è un detto latino che dice ‘Temo l’uomo di un solo libro’, in riferimento sia a chi legge sia a chi scrive. Quando uno scrittore ha una visione delle cose, di una problematica – la hegeliana ‘Weltanschauung’ -, pur scrivendo più libri, scrive un solo libro. Con la narrativa e con il teatro ho trattato un unico tema, la crisi del nostro tempo.
Quindi la poesia, la quale, nel mio caso, da un lato contiene il diario lirico del poeta, ma nel contempo anche il mio diario intellettuale con gli argomenti che si incentrano su un unico tema, e che ho espresso anche con la saggistica: ‘Riflessioni sulla crisi del nostro tempo’. Un lavoro che non è stato pubblicato, ma che è sul sito dell’UAAR”.

In occasione della presentazione di “Ipotesi”, nella pubblicazione dell’Edit, lei ha invitato alla riscoperta e alla valorizzazione di due “grandi”, come lei li ha definiti, della letteratura italiana: Osvaldo Ramous – autore noto, ma non abbastanza – e Gino Brazzoduro, del quale, noi come CNI, ben poco sappiamo…

“Sì, due grandi poeti con caratteristiche proprie. In Osvaldo Ramous – che ben presto si sottrasse all’influenza dannunziana – le immagini, bellissime, sono pittoriche o/e musicali. Aveva studiato violino ed era attivo anche come critico musicale e da qui la grandissima musicalità dell’andamento poetico. Nelle sue due ultime opere, ‘La realtà dell’assurdo’ e ‘La pietà delle cose’, Ramous supera se stesso, cambia argomento e sostanza; rinuncia anche alla pittoricità e musicalità del suo versificare, privilegiando i profondi contenuti di carattere esistenziale.
Nel 1971 scrissi un saggio, ‘Poetica e poesia di Osvaldo Ramous’, che fu pubblicato in Italia. La poesia di Gino Brazzoduro, invece, è scultorea: fredda e bellissima come il marmo. Nei suoi versi ha espresso la solitudine; quella esistenziale dell’individuo, unita alla solitudine-alienazione dell’uomo nell’ambiente urbano; in una città di cartapesta che c’è e non c’è. Grandioso!
A questi due autori spetta un posto di rilievo nella poesia italiana della seconda metà del ’900. Io mi pongo una domanda: ma l’Italia del secondo Novecento ha una letteratura? Perché i guasti politici, di costume ecc. hanno inciso fortemente in questo ambito. Grandi movimenti letterari non ce ne sono stati. Io vedo qualche singola opera letteraria; è mia profonda convinzione che gli unici due grandi poeti della seconda metà del Novecento italiano siano Ramous e Brazzoduro”.

Chi è l’intellettuale? Che ruolo ha? È un testimone? È la coscienza del suo tempo?

“Non ho mai affrontato il problema. Non mi dice niente. Non mi ci sento nella parte dell’’intellettuale’. Io sono uno scrittore. I francesi hanno i termini ‘lo scrivente’ e ‘lo scrittore’. È come nella musica. Ci sono le canzonette – magari carine – e ci sono i grandi capolavori del classicismo e del romanticismo. Che cosa significa ‘intellettuale’? Ci sono tante specie di intellettuali. Superficiali, o vanesi, o mascalzoni. Non seguo più la situazione in Italia, non mi interessa. Ho trascorso otto anni a Roma come giornalista. Volevo misurarmi con un contesto più vasto. Me ne sono andato, deluso. Ho fatto ritorno a Fiume dove, in una situazione estremamente complessa, c’era la necessità di salvare e conservare un patrimonio di lingua, cultura, identità”.

Approfondiamo la sua problematica della crisi contemporanea

“L’occidente è afflitto da una crisi storica e politica e da una crisi esistenziale, metastorica. Della crisi storico-politico-economica italiana, nel genere del romanzo, ho scritto in ‘Ed ebbero la luna’, che temporalmente fa riferimento agli ‘anni di piombo’, agli anni ’70. Uno dei due personaggi principali è un aspirante brigatista, un ‘rivoluzionario’. È un romanzo che mi rimuginavo dentro, ma mi mancava lo spunto. Il rapimento di Aldo Moro nel ’78 fu la vicenda che fece scattare in me lo stimolo di cui ero alla ricerca. Nel 1979 scrissi il romanzo. Che poi ho rivisto e corretto ben sette volte! Il libro è stato premiato a ‘Istria Nobilissima’”.

Parliamo della Trilogia teatrale “Ipotesi”, della figura dello scienziato – la cui “incorruttibilità” oggi non ci fa sempre bella figura – e del suo rapporto con il potere

”Il tema della crisi – e questa volta esistenziale – lo elaboro nel genere teatrale in ‘Ipotesi’, appunto. Dopo la tragedia di Hiroshima e Nagasaki, si è sentita l’esigenza di riconsiderare il ruolo della scienza e la manipolazione della medesima da parte del potere politico. Chi è l’Ulisse dantesco del nostro tempo? L’uomo di scienza, che è in grave crisi! ‘Io devo decidere le sorti dell’umanità’?! Ma non trovo nessun riferimento storico che mi giustifichi a usare la bomba atomica! È la domanda-risposta che si pone lo scienziato.
Oggi ci sono migliaia di bombe atomiche che possono annientare l’umanità! La gestazione della trilogia in questione si è protratta lungo tre decenni, dagli anni Cinquanta agli Ottanta, ma il personaggio è sempre lo stesso, lo Scienziato, però in tre contesti diversi. La prima parte della trilogia ambientata nell’antica Grecia, vede incarnarsi lo Scienziato nella parte del ‘Simulacro’, nella parte di Dio, che chiamato in causa dalla sacerdotessa, emblema del potere religioso, con le sue conoscenze potrebbe mettere fine al conflitto tra il popolo e la tirannide, che imperversano sullo sfondo.
Nella seconda parte, che si svolge in epoca moderna, vede la contesa del potere tra Ovest-Est, ovviamente in competizione per sopraffarsi reciprocamente. In mezzo, lo Scienziato, nella figura di un lacerato professore ritirato in una baita di montagna, lontano dalla civiltà, che sarà tentato al misfatto da una fatalona sexy.
La terza parte si svolge in un mondo futuro dominato da intelligenze artificiali. Qui lo Scienziato veste i panni del Troglodita, l’unico ad avere memoria del mondo passato e capace di provare sentimenti. Nel suo confronto con Iota, sorta di alter ego dello Scienziato, egli conclude che la ricerca della verità non è mai approdata a nulla; perché la Verità sta oltre l’orizzonte della vita. Eppure alla fine, la scoperta dell’amore da parte del personaggio femminile, qui Idea, diventa motivo di speranza. Dice il Troglodita: ‘Senza l’amore come potete avere la cognizione della bellezza…? L’esistenza, priva di questa scintilla, ha significato?… A voi manca il vincolo più dolce e saldo che tutto unisce e assolve: la pietà’”.

A differenza della maggioranza degli autori, lei non si limita a “fotografare” una realtà senza sbocchi, ma propone anche delle risposte, delle vie percorribili, anche se ammantate di mistero, di aspettativa

“L’attività più alta di un essere razionale è la ricerca del senso della vita. Che ci porta a una dimensione metafisica. Noi rimaniamo nell’ambito della relatività con la sola aspirazione, mai soddisfatta, all’assoluto”.

Nel suo saggio “Riflessioni sulla crisi contemporanea” lei parla di crisi ormai spinta al limite di rottura, di società degenerata nel suo percorso storico e politico, e pare ravvisi nell’etica evangelica una possibile soluzione, un “faro che lancia un fascio di luce”

“Nonostante ritenga sia basato su un mito, considero il Cristianesimo il momento più alto della spiritualità umana. Dono inestimabile del Cristianesimo è l’etica evangelica. I Vangeli sono un’antologia e apologia della moralità. La pagina più alta è la parabola del buon samaritano. Etica pura che ha in sé stessa motivazione e finalità; per cui non ho la minima esitazione a definire questa pagina la più alta nella scrittura umana. Come altissimo è il pensiero di Paolo, l’Apostolo delle genti, nell’epistola ai Galati. ‘Non c’ è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù’. I principi di libertà, uguaglianza e fraternità fatti propri dalla Rivoluzione francese! ‘Caritas Christi urget nos’, la Carità, l’Amore di Cristo ci costringe. Questa idea purissima di etica è identica a quella dell’uomo che si definisce ‘ateo’, il quale, pur non vedendo il senso del tutto, è capace di operare nel bene gratuitamente. Perché nell’altro vede se stesso”.

Patrizia Venucci Merdžo
“la Voce del Popolo” 3 settembre 2013

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.