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L’8 settembre 1943 a Trieste (Il Piccolo 07set13)

«Nel pomeriggio mi trovavo a Opicina, in casa Machlig, ad un’audizione di musica riprodotta, quando, saranno state le 17 o 18, aprendo a caso la radio, apprendevamo da Londra che era stato concluso l’armistizio. Abbandonavo in fretta Opicina sulla tramvia, nel cui carrozzone erano saliti molti ufficiali del reggimento d’artiglieria accasermato a Banne. Stretto vicino a loro (…) non potei trattenermi dal sussurrare a un maggiore a me vicino che (…) essendo stato concluso l’armistizio (…) avrebbe certamente reclamato la loro presenza presso la truppa».

Così scrive Fernando Gandusio, in una testimonianza conservata nell’archivio dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione di Trieste. Non credendo alle parole, gli artiglieri lo invitano a seguirli al vicino Circolo ufficiali dove trovano conferma della notizia. Era passato poco tempo dalle 19.42 dell’8 settembre, quando l’Eiar aveva messo in onda il messaggio registrato di Badoglio. Un’ora prima il generale Eisenhower da Radio Algeri aveva comunicato l’armistizio con l’Italia. I tedeschi già lo sapevano.

Nell’immaginario italiano questa data è ben presente, con il “tutti a casa”, con la morte della patria sulla quale a lungo gli storici hanno discusso. Sono noti alcuni episodi di reazione alle truppe tedesche: a Roma e in altre città italiane oppure, nella nostra regione, a Tarvisio e a Gorizia la resistenza dei fanti sostenuti dagli operai. Invece è passata l’immagine che l’occupazione tedesca a Trieste fu incruenta, fatto salvo l’affondamento della “Berenice” sotto gli occhi sgomenti della gente, dimenticando la resistenza opposta dal 5° Genio a Banne e dalla divisione “Sforzesca” a Divaccia.

A Trieste ci fu il tentativo di Gabriele Foschiatti di ottenere armi per gli operai già organizzati dall’ingegnere Forti alla Fabbrica macchine Sant’ Andrea. Purtroppo la condiscendenza e la sottovalutazione prevalsero nelle autorità militari.

A Trieste aveva sede il comando del XXIII corpo d’Armata, comandato dal generale Alberto Ferrero, con giurisdizione da Postumia al Piave. La circolare OP44 prevedeva l’adozione di misure in caso di aggressione, ma poteva entrare in vigore solo dietro un successivo ordine. Come noto, i tedeschi erano affluiti in Italia per fronteggiare lo sbarco alleato in Sicilia e con la dichiarazione dello stato di guerra sull’intero territorio italiano erano stati costituiti comandi di difesa territoriale con compiti di ordine pubblico: quello per la Venezia Giulia dipendeva dal generale Giovanni Esposito.

Nel diario del tenente colonnello Giuseppe De Martino è narrato un episodio che forse avrebbe rallentato l’operazione “Alarich”, il piano tedesco per prendere il controllo della penisola in caso di uscita dell’Italia dall’Asse. Il 22 agosto il generale viene a sapere che i tedeschi hanno installato nel palazzo delle Poste una centrale telefonica che collega Berlino a tutti i reparti in Italia: la radio è stata autorizzata dallo Stato maggiore italiano ed è in fase di potenziamento. De Martino suggerisce al generale Ferrero di intercettare le comunicazioni tedesche, ma senza esito. Allora il 4 settembre propone al generale Esposito di isolare la centrale telefonica delle Poste, ma non ottiene risposta e solo nelle prime ore del 9 settembre è autorizzato all’azione di sabotaggio, e solo perché il generale Esposito è sicuro che gli inglesi stanno per sbarcare a Livorno.

Così, munito di una scala a pioli, De Martino taglia il cavo telefonico con Berlino e stacca dal permutatore tutti i collegamenti tra i comandi tedeschi e la Germania. Ma è troppo tardi.

Nel frattempo il 211.o reggimento tedesco, del colonnello Hermann Barnbeck giunge rapidamente a Sesana e da qui formula al generale Ferrero le sue richieste: vuole imbarcarsi a Trieste per la Dalmazia e chiede che la difesa territoriale schieri i suoi cinque battaglioni sul Carso per sostenere un attacco partigiano dato per imminente. Nella mattina del 9 settembre mentre a Villa Necker si discute su come concedere il passaggio, evitando il transito per le vie cittadine che avrebbe provocato allarme nella popolazione, le colonne germaniche sono già arrivate nella periferia di Trieste. Ferrero non vuole consegnare le armi agli operai, assicurando l’imminente arrivo di una divisione da Fiume.

C’era un piano difensivo per la Venezia Giulia? Nella deposizione di Gino Berton, ufficiale del comando Zona di Trieste, si legge che era previsto di concentrare nel vallone di Doberdò e nella valle del Risano le unità operative poste a nord di Opicina e della strada Trieste-Fiume e da lì proteggere il territorio e perciò era stata aperta la trattativa con il colonnello Barnbeck, solo per prendere tempo. Ma invece di passare all’offensiva, secondo la deposizione del capitano Dario Doria, il generale Ferrero rinunciò al combattimento per evitare il bombardamento di Trieste e vittime tra i civili.

Le conseguenze furono disastrose: la città rimase sguarnita e l’Istria alla mercé dell’insurrezione che seminò lutti tra la popolazione italiana. Infatti nelle prime ore del 9 settembre la situazione precipita: la caserma di Banne è occupata, altrettanto avviene a Opicina e Divaccia. Le linee telefoniche italiane sono tagliate dai tedeschi e altrettanto avviene in Istria per mano dei partigiani slavi. Dall’Obelisco due carri armati si avviano verso monte Radio per occupare le antenne, sparando di tanto in tanto sul naviglio italiano che cerca di uscire dal porto. La situazione è osservata dal colonnello Luigi Calabrese che comanda una batteria nel parco della Rimembranza, e così chiede l’autorizzazione di aprire il fuoco contro i carri armati tedeschi.

Sono le 8 del mattino. Con pochi e precisi colpi di obice distrugge il primo e immobilizza il secondo. Vorrebbe continuare a sparare, perché dalla sua posizione tiene sotto tiro la città da Barcola a Montebello, ma ha con sé poche munizioni. Chiede un rifornimento e dal comando della difesa territoriale arriva una doppia delusione: le munizioni sono a Sesana, ora irraggiungibile. Per aggiunta, nel pomeriggio il colonnello D’Aquino della difesa territoriale lo invita a ritirare la batteria perché è stato raggiunto un accordo con i tedeschi.

Grazie all’accordo nel corso della giornata il colonnello Barnbeck si può attestare a Trieste, il generale Ferrero dichiara la città indifendibile e nella mattina del 10 settembre invia il capitano Riccardo Gefter Wondrich a comunicare, ma solo a voce, la decisione al comando tedesco di Opicina e ai capisaldi periferici di aprire i varchi.

Nel frattempo il generale Ferrero si è già allontanato lasciando la città nelle mani del generale Esposito: ha deciso di trasferire il comando a Cervignano, non ancora raggiunta dai tedeschi. La tappa successiva del ripiegamento sarebbe stata San Donà del Piave. Poco dopo giunge a Villa Necker il colonnello Barnbeck, e chiede perché non sono stati trasferiti i battaglioni italiani sul Carso. Il suo vero obiettivo è di sguarnire Trieste dell’ultima difesa. Nel frattempo le diserzioni dalle caserme sono sotto gli occhi di tutti, mentre in città affluiscono i resti della “Sforzesca” che avrebbe dovuto difendere l’Istria.

A quel punto il colonnello tedesco impone al generale Esposito il trapasso dei poteri. Sono le 18 del 10 settembre. Alla scadenza dell’ultimatum si presenta un ufficiale tedesco con l’ordine di internamento di tutti gli ufficiali italiani e la consegna delle loro armi. Due ore più tardi, il generale Esposito e pochi altri lasciano Villa Necker passando in mezzo alle sentinelle tedesche. Non così per i comandanti della divisione “Sforzesca” e del reggimento d’artiglieria che invece vengono catturati. Poco prima di mezzanotte è tutto finito.

Roberto Spazzali
www.ilpiccolo.it 7 settembre 2013

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