Sulla chiusura del Consolato italiano di Spalato scrive al viceministro degli Esteri Marta Dassù Luigi Reale, del Comitato per i servizi consolari (Bedford, Gran Bretagna) la lettera che segue:
Viceministro Dassù chiudere il consolato di Capo d’Istria significava stracciare i Protocolli aggiuntivi al Memorandum di Londra del 1954, altro che significato simbolico!
La verità sulle chiusure delle sedi consolari all’estero, in tre lettere, al Viceministro Dassù come risposta alle dichiarazioni, fatte in Parlamento, dell’8 agosto e del 18 settembre 2013. Sion, Neuchâtel, Wettingen, Tolosa, Alessandria, Scutari, Spalato, Mons, Timisoara, Newark, Adelaide, Brisbane, Amsterdam e Capo d’Istria. Sono queste le sedi consolari che stanno per essere chiuse. Solo Capo d’Istria è stata salvata, soltanto dopo l’audizione in Senato della Dassu’ per il suo “valore storico”.
Viceministro Marta Dassù, nella sua audizione al Senato, porta una serie di motivazioni a giustificazione delle chiusure delle sedi consolari inconsistenti ed in palese contraddizione, tra cui: “L’Italia è un Paese molto esposto ad un arco di crisi, che si trova vulnerabile a causa dell’instabilità da sud (Mediterraneo, Africa) dove è necessario rafforzare la presenza italiana” e poi chiude il consolato d’Alessandria, vede non è la nostra città piemontese ma è quella d’Egitto, appunto nell’area sud-Mediterraneo, Africa.
Dichiara che ci sono priorità collegate al mondo industriale da rafforzare e chiude Newark nel New Jersey, dove c’è Port Elizabeth, centro nevralgico dell’import-export italiano in America, poi Adelaide in Australia e Timisoara in Romania dove sono rilevanti le presenze industriali dei grandi marchi italiani, e Tolosa in Francia con importantissimi poli di ricerca e produzione legati con il nostro Paese – questa è economia reale, oggi.
Adesso decine di migliaia di cittadini italiani ad Adelaide o Brisbarne per prendere impronte per rinnovare i passaporti, per autenticare una firma, o per qualsiasi assistenza, debbono farsi 800 Km! Gli italiani di Timisoara 600 Km e quelli di Tolosa 400 Km! Le può sembrare una cosa giusta, praticabile? Vede non è come andare da Roma a Pomezia; si creeranno grosse difficoltà, bisogna trovare soluzioni serie.
Dice che ci sono “priorità culturali, collegate in massima parte alla presenza della nostra emigrazione diffusa, sia vecchia che nuova” e chiude sedi dove la nuova emigrazione si somma alla vecchia in maniera rilevante, Amsterdam; Tolosa in Francia; Mons in Belgio e Newark In USA; tre in Svizzera: Sion, Neuchâtel, Wettingen ed anche in Australia: Adelaide e Brisbane.
Afferma anche che: “i servizi sono in diminuzione in aree di storica presenza italiana, come in Europa, dove i nostri connazionali sono più integrati” e poi che fa taglia 10 sulle 13 sedi che non sono nell’area Schengen, di cui 4 in altri continenti.
Chiude sedi in aree storiche della presenza italiana: Spalato, Scutari e Capo d’Istria, quest’ultimo in un primo momento incluso nella lista e poi depennato, come lei ha giustificato: “per il valore storico-simbolico di questo Consolato”. La realtà invece è ben diversa, infatti l’istituzione del consolato di Capo d’Istria è previsto nei Protocolli aggiuntivi al Memorandum di Londra, firmato il 5 ottobre 1954, fra i Governi d’Italia, Regno Unito, Stati Uniti e Jugoslavia, concernente appunto il Territorio Libero di Trieste (Trattato tuttora valido ed esteso, dopo la dissoluzione della jugoslavia alla Croazia ed alla Slovenia.
Chiudere Capo d’Istria significava stracciare quei Protocolli altro che valore simbolico. È una gaffe che il Ministero poteva risparmiarsi, però ci da il senso di come queste chiusure siano state studiate.
Ci dispiace Vice Ministro Dassù, lei è una persona intelligente, ma come onestamente può persuaderci così!
Infine aggiunge che la chiusura delle sedi consolari causerà disagi, che ben presto saranno seguiti da una normalizzazione che non danneggerà le collettività interessate.
Vede difficilmente ci si normalizza sull’assenza di servizi, tanto più che il servizio pubblico è un diritto del cittadino.
Circa i danni basti vedere cosa sta succedendo dove quelle sedi sono già state chiuse, come da dove le scrivo – Bedford (GB) –, qui a parte le difficoltà, se non mortificazioni date alle fasce più deboli, come gli anziani, gli altri cominciano a non rinnovare il passaporto italiano optando per quello inglese. Quest’ultimo richiesto ed inviato per posta in qualche settimana, no 4 mesi. Fenomeno che causa perdite economiche per l’erario (il costo di un singolo passaporto è di cica 80 euro) rendendo i risparmi iniziali ottenuti, dalla chiusura dello sportello consolare, nulli; di riflesso si sta destrutturizzando anche la comunità. Il fatto di porre ostacoli oggettivi su dei servizi essenziali per chi vive all’estero come un banale, ripeto banale, rinnovo di un passaporto porta a dei feedbak su cui poi è difficile tornare indietro.
Nel processo di ristrutturazione delle sedi si sarebbe prima dovuto pensare ad un ulteriore snellimento burocratico con una riforma, ad un reale funzionamento dei sistemi on-line e poi, su questo, eliminare il superfluo; semmai declassando le sedi ma senza colpire i servizi ai cittadini.
Chiusure che significano anche ingolfare i consolati accoglienti, mettendo in grande difficoltà il personale che vi lavora, cui va tutto il nostro rispetto, ed anche coloro che li dirigono. Signor Viceministro ci parli onestamente con queste persone e si faccia raccontare la realtà in cui loro operano; non possono esserci nuove prospettive se si fa implodere quello che già c’è.
Lei dichiara il vero circa il numero dei funzionari diplomatici italiani, che al momento sono un 1/3 di quelli francesi, ma non dice che prendono molto di più in termini retributivi.Per esempio lo stipendio di un ambasciatore italiano è esattamente il doppio di uno francese, quindi segua il modello francese e raddoppierà gli ambasciatori.
Rimoduli i diversi capitoli di spesa del MAE secondo parametri più ‘europei’, in particolare sulle indennità del personale all’estero (Ise) e seguendo un diverso rapporto distributivo tra personale di ruolo, mandato dall’Italia, e contrattisti assunti in loco. Solo così potrà porre in atto una reale riduzione di spesa, nello stesso spirito dello ‘spending review’, senza eliminare i servizi a 200mila italiani.
A fronte di tutte le chiusure di decine di sedi, dal 2007 (inizio del piano) ad oggi, quante nuove strutture sono state aperte realmente nei paesi emergenti? Dubai; Ho Chi Min City, quest’ultimo chiamato da lei consolato Generale, ma in realtà trattasi attualmente di una semplice figura di corrispondente consolare, senza paga, a titolo gratuito, aperto solo 7 ore la settimana per soli due giorni (non ce ne voglia il corrispondente, anche perché il lavoro volontario va rispettato il doppio) – un elefante che partorisce un topolino.
La verità è che i risparmi (minimi), ottenuti dalla chiusura delle molte sedi consolari, sono già stati assorbiti nell’ordinaria amministrazione, come lo saranno i nuovi – bisogna capire che l’Italia non può più vivere in queste dimensioni ed uscire fuori da questa spirale negativa. È necessario creare un circolo virtuoso in cui alla fine beneficeranno tutti, incluso lo stesso organico del MAE.
Gentile Viceministro Marta Dassù, ci si rende conto della dura critica, ma il Paese oggi, più che mai, ha bisogno di visione e chiudere le rappresentanze consolari va in netto contrasto con l’interesse degli italiani residenti all’estero e dell’Italia.
Luigi Reale
(Comitato per i servizi consolari Bedford – GB)
(fonte www.politicamentecorretto.com 7 ottobre 2013)