Pubblichiamo l’articolo del Delegato Anvgd per Barletta-Andria-Trani, nonché Cittadino del Libero Comune di Pola in Esilio, prof. Giuseppe Dicuonzo, apparso su “la Gazzetta del Mezzogiorno” del 18 novembre scorso.
Come noi tutti sappiamo, quest’anno ricorre il centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale che, dal 24 maggio del 1915, segnò la partecipazione dell’Italia al fianco dell’Intesa con Regno Unito, Francia ed Impero Russo: si aggiunsero, successivamente, nel 1917 gli USA contro l’uscita della Russia per la crisi prodotta, nel suo territorio, dalla Rivoluzione d’ottobre.
Ricordare per me questo anniversario è rivivere le memorie di mia madre, Sansa Maddalena, italiana di Dignano d’Istria, la donna dei due esodi (uno con ritorno, 1^ guerra mondiale, l’altro senza ritorno, 2^ guerra mondiale) che ha vissuto per quarant’anni a Barletta e che subì con i miei nonni ed i miei zii un esodo forzoso da parte delle autorità militari austriache. Tanto appartiene alla storia di una comunità cittadina ed è dovere rievocarla perché il loro ricordo rientra in una pagina di storia sconosciuta agli italiani e penso debba essere tramandato ai figli, ai nipoti ed a tutte le nuove generazioni. In quei tragici giorni, gli abitanti italiani dell’Istria meridionale accolsero l’improvvisa notizia della “dichiarazione di guerra” dell’Italia all’Austria come tutti gli altri Italiani ma, essi, in più, con stupore e dolore ricevettero la drastica ordinanza del Capitanato austriaco di Pola di lasciare subito la propria casa e prepararsi all’immediata partenza per destinazione ignota. L’impero austro-ungarico voleva assicurarsi libertà di manovra militare nell’Istria meridionale: così decise di far evacuare la popolazione civile.
Era il pomeriggio (15,30 circa) del 17 maggio quando mia madre con suo padre Adamo, sua madre Domenica ed i suoi quattro fratelli e cioè i miei zii Andrea, Vittore, Piero e Giovanni furono costretti dai gendarmi e dai soldati austriaci a salire su camion blindati dell’impero austroungarico tutti laceri, affamati e disperati, impossibilitati a dare un senso a quanto stava avvenendo per essere trasferiti a Pola dove furono caricati sui carri bestiame, che sostavano nelle rispettive stazioni ferroviarie del territorio per essere trasportati verso la Città di Fiume e, successivamente in Austria. Mia madre e mia nonna mi raccontavano spesso che quello fu un viaggio da bestie durato alcuni interminabili giorni: senza acqua, senza pane, senza neanche un po’ di paglia per far riposare le stanche ossa e dove vi erano bambini che gridavano, vecchi che morivano ecc.
Attraversata la Stiria il treno si diresse nella vicina Ungheria ed essi furono sistemati in un piccolo abitato dove trovarono odio e disprezzo perché considerati traditori. Trascorsero poche settimane e quindi il governo austroungarico di Vienna decise di trasferirli e raccoglierli con gli altri dignanesi nell’accampamento Lager di Wagna nei pressi di Leibnitz (Stiria) in desolanti e pietose condizioni igieniche. Ora, per il lettore voglio chiarire: perché un esodo forzoso così imponente di cittadini italiani, quando apparentemente non vi erano serie ragioni per farlo?
Ebbene, l’Austria voleva allontanare dalle terre italiane irredente i cittadini ed impossessarsi delle loro abitazioni per sistemarvi ufficiali e soldati, mentre i veri padroni erano costretti a vivere con le loro famiglie nelle baracche prive di tutto in quanto in quelle terre con un imperialismo soffocante l’Austria considerava l’Italia sinonimo di miseria, sporcizia, grettezza, inettitudine. Inoltre essa con il motto Aeiou (Austriae est imperare orbi universo) teneva a bada con la forca espressioni eroiche come Nazario Sauro, Guglielmo Oberdan, Fabio Filzi, Rismondo ecc. con l’appoggio della minoranza slava nella quale l’imperatore aveva piena fiducia apprezzando la loro fedeltà e sentendo il dovere di esaudire i loro desideri specie agevolando il rinfoltimento dell’etnia slava la cui popolazione dei territori interni veniva premiata se si insediava nelle zone costiere dell’Istria meridionale.
Ma, allora, com’era il lager di Wagna? Come si viveva? Il lager era un accampamento di 1,5 Kmq tra i fiumi Mur e Sulm racchiuso da un reticolato di filo spinato, ben guardato da sentinelle militari che comprendeva 150 baracche di legno con le fondamenta fissate in un terreno fangoso ed infestate dagli insetti, in particolare dalle anofele che trasmettevano la febbre malarica. In questa prigione non si usciva né si entrava senza uno speciale lasciapassare. Vi si accedeva da un ampio portone alla cui sommità spiccava la grande scritta: “Fluchlingslager” sul cui fianco c’era la garitta del cecchino armato sempre pronto a sparare contro chiunque fosse contravvenuto ai regolamenti del campo. Ogni baracca poteva contenere ben 200 persone che venivano sistemate in comparti grandi poco più di una stanza dove, prima di accedere e poter occupare il posto assegnato dal “capo baracca”, venivano sottoposte ad un bagno caldo per poi venire irrorate da una doccia fredda e per tanti vecchi un simile trattamento fu fatale.
I Sansa furono sistemati nel comparto di una baracca centrale che divenne la loro prigione dove mancò per oltre tre lunghi anni il pane, il vestiario necessario, la propria casa, la libertà, dove in poche parole dovettero sopportare il martirio del corpo e quello dell’anima! In questa dolorosa città di legno vissero ben 22.000 italiani dell’Istria e dove perirono ben 2920 dal 1915 al 1918. Lì oggi tutto è scomparso, distrutto dal tempo e dagli uomini e a ricordare questi martiri c’è una grande e bianca croce di sasso in un desolato prato di pianto fatta costruire, anni orsono, dalla Municipalità di Leibnitz.
Con la vittoria dell’Italia sull’Austria nel novembre del 1918 i Sansa potettero ritornare alla loro casa di Dignano ma si accorsero che durante la loro assenza tutto ciò che era costato anni di lavoro e di sacrifici era stato disintegrato dagli slavi rimasti per cui una frattura psicologica, sociale ed economica, che non potette essere del tutto rimarginata e che ancora oggi è bene che le nuove generazioni conoscano. Quanto descritto ha valore di testimonianza diretta di alcuni personaggi secondari senza lode e gloria ma grandi protagonisti di un dramma mondiale che dovrebbe suscitare curiosità ed interesse storico in queste celebrazioni del centenario della “Grande Guerra” che nessuno conosce e che nessuno, non conoscendo, può ricordare!!
Giuseppe Dicuonzo