Non sono ancora entrate nel pieno, in Italia, le commemorazioni del centenario della Prima guerra mondiale che per il nostro Paese, come noto, iniziò un anno dopo, ma larga parte dei media nazionali hanno dedicato già alla ricorrenza molti interventi e cronache, prevalentemente ispirate al compianto e alla condanna di una carneficina continentale che sicuramente scaraventò l’Europa in una sorta di primigenia modernità globale che assumeva le spoglie (è il caso di dirlo) di un conflitto senza precedenti. Meno frequenti tuttavia, sinora, i commenti che ne abbiano proposto una lettura storica e fattuale che ne inquadri – anche da punti di vista differenti – le dinamiche concrete e i moventi politici e ideologici.
Tra i primi a rilevare questa lacuna, o meglio questo “virale” conformismo nell’affrontare un tema così complesso e presumibilmente assai poco conosciuto anche presso gli operatori dell’informazione, Ernesto Galli della Loggia su “Corriere della Sera” del 14 agosto scorso, che nel suo fondo La memoria cancellata ha stigmatizzato come quanto sinora si sia letto sia «tutta un’analisi critica della retorica, dei miti, delle lugubri cerimonie del lutto che allora e dipoi fiorirono, dei cimiteri di guerra, dei monumenti ai militi ignoti e non, sparsi dappertutto. Tutto un ripescaggio di diari strazianti. Solo questo insomma sembrerebbe che fu quel conflitto per gli europei di oggi. Solo ciò appare meritevole di essere ricordato. La Grande Guerra viene così spogliata di qualunque significato storico-politico suo proprio. Lo scontro terribile che l’animò per quattro anni viene di fatto interamente decontestualizzato, cancellato nelle sue specificità e nelle sue ragioni, ridotto a una sorta di impazzimento collettivo o di sinistro complotto di un manipolo di burattinai malvagi. Cancellate sono le diversità degli schieramenti, delle posizioni, delle ideologie in gioco».
In sostanza, sostiene il columnist del “Corriere”, il ricordo della Grande Guerra viene ridotto a semplice e comoda censura di una strage mondiale che parrebbe così essere scaturita da una istantanea pazzia collettiva, più virulenta della peggiore delle malattie infettive, da rievocare superficialmente soltanto per il tempo necessario per condannarla senza se e senza ma: ma chi esalterebbe mai la guerra? «In questo modo – prosegue Galli della Loggia – siamo indotti a vedere nella guerra che oggi ricordiamo null’altro che un puro e semplice insieme di negatività che cancellano tutto il resto». Il punto è proprio quel «tutto il resto», ovvero le complesse articolazioni di un fenomeno tanto esteso che coinvolse innumerevoli nazioni e i più diversi soggetti pubblici e che avrebbe radicalmente modificato quasi l’intero assetto continentale. Non sarà proprio la complessità di quella storia, costituita di tante storie, a non essere più alla portata del contemporaneo medio grado di istruzione? Prima ancora della condanna di qualsivoglia conflitto sanguinoso non sarebbe più ragionevole e onesto e costruttivo conoscerne le contrapposte ragioni e le molteplici conseguenze, che sono prima di tutto storiche? Un utile esercizio in tal senso potrebbe essere suggerito proprio dall’ingresso dell’Italia nel 1915, dalle correnti politiche e culturali di pensiero sul conflitto, dallo scenario tutto particolare dei territori italiani soggetti all’Austria-Ungheria: una materia dai molti risvolti che dovrebbe indurre all’umiltà della ricerca storica e vanificare le facili, anche banali condanne d’ufficio, antiche e contemporanee, che con leggerezza rendono ignoti tutti i caduti, ovunque siano caduti.
Patrizia C. Hansen
L’articolo di Ernesto Galli della Loggia