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Un caso internazionale, Josip Perković, «l’assassino segreto di Tito» (16feb15)

 

Si avvia a conclusione in Germania il complesso processo a Josip Perković, già agente della polizia politica jugoslava ai tempi di Tito. Ancora negli anni Ottanta Josip Perković guidava infatti il Secondo Reparto del Servizio di Sicurezza dello Stato di Zagabria, che, secondo gli inquirenti tedeschi, pianificò e organizzò l’uccisione di ben 22 croati rifugiati in Germania tra gli anni Settanta e il decennio successivo. Il 26 giugno 2013 le autorità federali reiterarono il mandato di cattura internazionale in relazione all’assassinio del dissidente croato Stjepan Đureković, ucciso il 28 luglio 1983 a Wolfratshausen (Baviera), mentre il Procuratore generale federale presso il Tribunale di Monaco stanziava un importo di 12.000 euro per chi avesse fornito elementi utili a consentire l’arresto e l’estradizione di Perković nella Repubblica Federale. Il 6 dicembre 2010, nell’imminenza della visita di Stato in Germania del presidente croato Ivo Josipovic (gennaio 2011), il settimanale “Der Spiegel” pubblicava un lungo servizio di Andreas von Wassermann, dal titolo L’assassino segreto di Tito, dedicato con grande evidenza alla questione dell’estradizione di Perković, fortemente indiziato di diversi delitti politici su committenza jugoslava. In realtà, l’esecutore materiale dell’omicidio di Đureković, Krunoslav Prates, era stato condannato all’ergastolo dalle autorità tedesche ancora nel 2008. La stampa croata, riferita da quella tedesca, rivelava che nei colloqui preparatori della visita di Josipovic in Germania non si era mai parlato della questione Perković, il cui figlio Sasa ricopriva tra l’altro il ruolo di consigliere per la sicurezza nazionale croata. E varie fonti di Zagabria hanno ricordato che all’epoca la Costituzione croata non prevedeva l’estradizione dei suoi cittadini e che gli investigatori tedeschi avrebbero dovuto presentare la documentazione del suo presunto coinvolgimento nel crimine, che sarebbe stata valutata dalla magistratura croata.

In significativa sintesi, lo “Spiegel” ricordava come tra il 1970 e il 1989 22 esuli croati furono assassinati in territorio tedesco. Per i congiunti delle vittime e gli scampati, riferiva il settimanale, era fuori di dubbio che Tito avesse personalmente ordinato ai servizi segreti jugoslavi di colpire i dissidenti e che anche dopo la morte del maresciallo, nel 1980, il Partito Comunista jugoslavo avesse inviato dei killer in Germania.

Più tardi, nel clima della distensione degli anni Settanta un buon rapporto venne instaurato tra i governi di coalizione social-liberale tedeschi e la Jugoslavia e con lo stesso Tito, leader dei Paesi “non allineati”. Ma, proseguiva von Wassermann, nel luglio del 2008 una poco nota sentenza della Corte d’appello di Monaco di Baviera [presumibilmente la condanna di Krunoslav Prates] riportava l’opinione che Tito avesse approvato personalmente gli squadroni della morte, assegnandone la gestione all’intelligence. Quella sentenza, precisava il settimanale, fu il primo risultato di intense indagini in materia da parte del procuratore generale tedesco, le quali permisero di acquisire un certo numero di documenti e dichiarazioni di testimoni che comproverebbero come il servizio di intelligence croato gestisse sicari e spie nell’allora Germania Ovest degli anni Settanta/Ottanta. Josip Perković, secondo quella sentenza, dagli anni Settanta in poi avrebbe introdotto agenti e sicari croati in Germania. Dal 1979 al 1986 aveva infatti diretto la Divisione II del Servizio segreto di Zagabria, responsabile per la eliminazione degli oppositori del regime in esilio. Questi dissidenti, scriveva lo “Spiegel”, non dovevano in alcun modo inquinare la reputazione di Tito e del governo jugoslavo in Occidente. Questa era la missione di Perković, che la sentenza della Corte d’appello di Monaco di Baviera dal 2008 (118 pagine) meticolosamente ricostruiva.

Il dissidente assassinato, Dureković, era manager presso la società petrolifera di stato INA, fuggito in Germania nell’aprile 1982 e subito messosi in contatto con i leader della comunità croata esiliata a Monaco di Baviera, tra i quali ovviamente si celavano delle spie, che riferivano a Zagabria. Entrato nel mirino, il 14 dicembre 1982 – secondo la ricostruzione della sentenza – il “Consiglio per la difesa dell’ordine costituzionale” jugoslavo decise la “liquidazione” di Đureković, la cui preparazione fu assegnata a Perković, che si era guadagnato la fiducia di Đureković. La notte del 27 a 28 luglio – secondo la ricostruzione degli inquirenti riportata dal settimanale – dei sicari sorpresero Đureković nei locali di una tipografia, riuscendo poi a dileguarsi. Dopo 25 anni dall’esecuzione di Monaco di Baviera – continuava von Wassermann – le autorità sono state in grado emettere una sentenza che ha posto in luce lo sfondo politico di quell’assassinio. Perković, fra l’altro, fino al suo pensionamento è stato consulente per il Ministero della Difesa croato, il che spiegherebbe come Zagabria sinora non abbia mai voluto riaprire quel caso.

Nel 2007, secondo la ricostruzione dello “Spiegel”, un anziano signore si presentò all’Ufficio bavarese di Investigazione Criminale (LKA). Vinko S., allora di 64 anni, dichiarò che aveva molto da raccontare: aveva lavorato nella Repubblica federale nell’emissione di passaporti falsi per fuoriusciti croati e in ruoli ambigui all’interno dell’intelligence croato. Era stato coinvolto in “operazioni sensibili”, nel 1988 fu condannato a 15 anni di carcere in Scozia, accusato di coinvolgimento in un tentativo di assassinio, vittima un esule croato. Rilasciato nel 1998 rientrò in Croazia per riprendere i contatti proprio con Perković, con il quale però i rapporti si guastarono per questioni di interesse, e per questo motivo si sarebbe quindi deciso di tornare a Monaco di Baviera per testimoniare. Le sue informazioni, secondo la sentenza riferita dal giornalista dello “Spiegel”, erano “particolarmente preziose e autentiche”. Josip Perković – sottolineava il cronista – in quel periodo viveva bene a Zagabria come pensionato, in tranquilla posizione garantitagli dalle coperture assicurate agli ex uomini di Tito. Ma nel gennaio 2014, dopo molte pressioni da parte dell’Unione Europea e della Germania e a seguito di una sentenza del tribunale croato che respingeva il suo ricorso contro l’estradizione, Perković è stato finalmente consegnato alle autorità tedesche e condotto a Monaco di Baviera. Nell’ottobre dello scorso anno la prima udienza del processo e nelle ultime settimane del 2014, secondo i quotidiani tedeschi, avviato nella sua fase decisiva. Per la fine di marzo sono previsti ulteriori interrogatori di testimoni e ricercatori e la sentenza potrebbe non giungere a breve. Ma, in ogni caso, la vicenda ha già avuto il merito di gettare inedita e clamorosa luce sui metodi repressivi e persecutori del regime titoista.

 

 

Patrizia C. Hansen

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