di Ardea Velikonja
Una piccola Italia che perdura nel cuore della Bosnia. Si potrebbe intitolare così quanto abbiamo visto nel più recente "sopralluogo" a Štivor, il piccolo paese dei trentini nei pressi di Prnjavor, in quella che oggi è la Repubblica Serba.
Nonostante la guerra e il successivo isolamento internazionale dell'area, i trentini arrivati qui più di un secolo fa quasi per caso, sono rimasti e ci vivono ancora oggi. Sono gli unici cittadini in tutta la Repubblica Serba non sottoposti all'obbligo dei visti per viaggiare all'estero, dato che nel 2000, dopo la guerra in Bosnia, grazie al Governo italiano, sono riusciti ad ottenere la cittadinanza italiana con procedura d'urgenza.
Piccole casette ordinate lungo la strada, tutte con il proprio giardino e qualche vite coltivata, un luogo incontaminato. Quello che ci colpisce subito è che tutte hanno le finestre chiuse, nei giardini non c'è nessuno e il silenzio regna ovunque. Sembra quasi di essere in un luogo disabitato. Per strada non riusciamo a trovare una sola persona a cui chiedere informazioni.
Da lontano intravvediamo la scritta "Bar trentino" e, speranzosi, ci fermiamo subito. Il locale è aperto, ma neppure qui c'è alcuno, neppure la cameriera. Ai nostri vocianti: "Buongiorno, c'è qualcuno?" arriva una signora che parla serbo e, molto cordialmente, ci dice: "Sono io che gestisco il locale, sono serba e mio marito, trentino per nascita, sta al lavoro in Italia".
Le chiediamo se c'è qualcuno in questo paese con cui possiamo parlare. "C'è il presidente del Club dei trentini, Giuseppe Moratti, che è a casa, e potete parlare con lui. Ma prima di andarci, fermatevi alla chiesa, vedrete com'è bella. Nella casa vicina sta Regina, la donna che la custodisce ed ha le chiavi. Lei è a casa e certamente vi porterà a vederla", e molto gentilmente ci indica la via. Ci salutiamo e saltiamo in macchina.
Dopo pochi metri vediamo la chiesetta appena rinnovata. Su indicazione della signora del bar bussiamo alla porta della casa vicina. Ci apre una signora che appena sente che parliamo italiano ci fa: "Buongiorno, entrate, vi serve qualcosa". Parla un italiano che ci pare piuttosto storpiato perché, ci spiega dopo, "qui tutti parlano il dialetto trentino, difficile da capire per chi ascolta". Comunque, molto gentilmente, prende le chiavi e ci accompagna a vedere la chiesa. Si chiama Regina Montibeler, nata Dal Sasso, e mentre facciamo due passi ci racconta la sua storia:
"Io sono nata a Štivor, e i miei bisnonni erano arrivati dal Trentino. Qua ho fatto le scuole serbe ma in casa, con mamma e papà, si parlava il trentino. Anche mio marito ha radici trentine e quindi abbiamo insegnato anche ai nostri figli il nostro dialetto. Oggi ambedue sono sposati e lavorano in Trentino. Vengono a trovarci ad agosto quando sono in vacanza. Mio marito ha passato una vita a lavorare a Zagabria e a Sisak, all'epoca non c'erano confini e quindi ci si muoveva liberamente. Io sono stata sempre a casa, ho lavorato nel nostro orto. Non abbiamo vissuto male. Il paese non è stato toccato dalla guerra e quindi qui siamo stati sempre bene".
Andando verso la chiesa vediamo una moderna fontana, ma anche un lungo palo con un vecchio secchio che pende sopra un pozzo. "Questo un tempo era l'unico pozzo del paese. Un semplice foro in terra, da cui si attingeva l'acqua per tutti. Non è come i classici pozzi, qui ci voleva un lungo braccio per far scendere il secchio e quindi, pieno e pesante, bisognava riportarlo su. Per fortuna alcuni anni fa è stata fatta la nuova fontana e la gente può venire qua a prendere l'acqua, anche se dopo l'arrivo dell'acquedotto sono rari coloro che vengono a prendersi l'acqua qui di regola per abbeverare i pochi capi di bestiame che ci sono ancora in giro" (l'acquedotto è stato costruito nel 2004 grazie alla collaborazione della Municipalità e degli stessi abitanti che hanno speso in totale oltre un milione e mezzo di marchi convertibili, la valuta ufficiale della Bosnia, che equivalgono a 750.000 euro).
Entriamo nella piccola chiesa, ben ordinata. Sul muro dietro all'altare c'è un grande disegno che raffigura la Valsugana allagata, i trentini che stanno andando via e l'arrivo in terra di Bosnia. Tutta la storia di Štivor e dei trentini in un disegno. La signora Regina ci spiega che qui la messa viene officiata in italiano alla domenica e anche a Natale e Pasqua. Interessante anche l'altare, sostenuto dal sasso portato dalle montagne trentine. Nella sgrestia della chiesa, che è stata rinnovata grazie all'Associazione Trentini nel Mondo e agli stessi abitanti, è custodita l'immagine di San Giovanni, protettore tra l'altro di Štivor, portata da uno dei primi abitanti arrivati dalla Valsugana più di un secolo fa.
Dopo averci fatto fare il giro della chiesa la signora Regina ci indica la casa del presidente del Circolo dei trentini, Giuseppe Moretti, che ci aspetta assieme alla moglie Dragana. Ha un appuntamento di lavoro e quindi dopo averci invitato ad entrare in casa ci racconta un po' la storia del loro paese.
"Štivor oggi conta in tutto 600 abitanti di cui 470 lavorano in Italia, prevalentemente nel Trentino, e vengono chi per le vacanze, chi al venerdì sera dopo il lavoro. Tutti hanno una propria casa qui e vedete che sono tutte belle, ordinate, con giardinetti ovunque. Il 98 per cento della popolazione del nostro paese è cittadina italiana. È stato il mio bisnonno Daniele Moretti a venire qua nel 1890 da Ospedaletto Valsugano e si è portato con sé alcune vigne del suo cortile. Le ha piantate qua cosicchè mio nonno e mio padre avevano circa due ettari di vigneto. Noi qua siamo conosciuti per il nostro vino, non ci sono grandi produttori, ma è vero vino trentino.
Logicamente i nostri nella maggior parte sono matrimoni misti, e mogli o mariti serbi si sono inclusi e hanno imparato il nostro dialetto benissimo. Difatti mia moglie parla l'italiano molto bene. Abbiamo sempre convissuto, ortodossi e cattolici, bene, in santa pace e non siamo stati toccati dalla guerra. Dovete sapere che una manciata di italiani viveva prima anche a Laktaši e Mahovljani, situati a una quarantina di chilometri da qua, ma nel corso dell'ultima guerra se ne sono andati in Trentino. Difatti se passate per Mahovljani vedrete la Chiesa di San Francesco d'Assisi dato che furono i francescani a venire qua con il resto della popolazione, e ancora oggi gli abitanti del posto la chiamano 'la chiesa italiana'. Un circolo trentino di trova anche a Konjic e Tuzla ma l'ultima guerra ci ha divisi parecchio. Da un paio d'anni sia loro che noi abbiamo ripreso l'attività e quindi sono cominciati i primi contatti.
L'attività del nostro circolo è strettamente legata all'Associazione Trentini nel Mondo che ci aiuta tanto. Si organizzano feste, balli in maschera, regali per i bambini a Natale. E a proposito di bambini devo dirvi che nella nostra scuola elementare si impara l'italiano, ci sono circa 300 bambini, che purtroppo ora non sono qui dato che sono in vacanza.
Grazie alla Facoltà di italianistica di Banja Luka abbiamo giovani ragazze che, finita l'università, potranno lavorare in questa scuola. Il 24 giugno, festa del preotettore San Giovanni, nel nostro paese si tiene una grande festa alla quale partecipa tantissima gente che viene dal trentino. Sono lontani parenti dei nostri avi venuti qui e quindi la festa è ancora più sentita. Ma d'estate ci sono anche tanti turisti italiani che vengono qua con gite organizzate proprio per vedere questo nostro 'strano fenomeno' ovvero nel cuore della Bosnia una comunità italiana.
Ma se volete sapere la storia del nostro paese basta fare un giro al cimitero. Non c'è tomba che non abbia un cognome italiano. E proprio vicino al cimitero potrete vedere uno dei nostri vigneti con le viti autoctone del trentino. Ecco anch'io ne ho un paio, qua davanti a casa, è una tradizione di famiglia, le ho tenute per ricordo dato che io non mi sono occupato dei vigneti di mio padre. Io e mia moglie Dragana abbiamo due figli, il maschio è in Trentino con la famiglia e la femmina invece è sposata qui e lavora a Prnjavor. Abbiamo anche una nipotina di sei mesi che non appena comincerà a parlare le insegneremo il nostro dialetto. Così spero continueremo a tener viva la nostra comunità" ha concluso Giuseppe Moretti.
La storia dei trentini
Tra il 1881 e il 1882 ci fu un'alluvione del fiume Brenta. Parecchie famiglie della Valsugana rimasero senza abitazione e tante videro rovinate le loro attività economiche, cosicché pensarono di migrare, dapprima in Brasile (ma il proposito fallì per via di un raggiro di paese) e quindi in Bosnia.
La decisione di andare nell'area balcanica fu il frutto di una serie di contingenze storiche. Con il trattato di Berlino (1878) l'Austria-Ungheria assunse l'amministrazione della Bosnia, la quale rimase tuttavia formalmente territorio ottomano. Solo nel 1908 Vienna avrebbe annesso formalmente la Bosnia, ma nel frattempo attuò una politica di ripopolamento della zona a discapito delle locali autorità turche. Come noto, il Trentino era territorio dell'impero austro-ungarico e così nel progetto di ripopolamento della Bosnia l'imperatore Francesco Giuseppe fece rientrare le famiglie della Valsugana, di Primiero, Aldeno e Cimone. Una parte si stabilì in Bosnia (320 persone circa), nei distretti di Prnjavor e Banja Luka, e l'altra in Erzegovina, nei distretti di Konjica e Tuzla. La presenza italiana a Konjica non durò a lungo.
Nell'area di Štivor si stabilirono le famiglie provenienti dalla Valsugana. Infatti, verso la fine del 1882 la colonna di valsuganotti (da Caldonazzo, Levico, Roncegno, Mattarello, Ospedaletto,…) era partita alla volta della Bosnia e, dopo mesi di viaggio, arrivarono nel luogo che era stato loro destinato. Fondato Štivor, la comunità si integrò nel territorio circostante. Il paese nel corso del '900 seguì le sorti delle altre popolazioni della Bosnia. Le due guerre mondiali cambiarono notevolmente la situazione degli immigrati trentini in Bosnia.
Da popolazioni dell'Impero divennero stranieri in terra di conquista. Negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, in base ad un accordo tra i rispettivi governi, una parte degli immigrati trentini in Bosnia ottenne la cittadinanza italiana per un anno, a condizione che rientrasse in Italia. Alcune famiglie approfittarono di questo accordo, mentre i trentini di Štivor e di Tuzla rimasero sul posto, o a causa della mancanza di informazioni o per la propaganda locale che sconsigliò il rientro in Italia.
Per via dell'assenza di lavoro, scarsità di risorse ed un'economia prevalentemente agricola e di sussistenza, le ultime generazioni diventarono nuovamente emigrati spostandosi sistematicamente nelle città industriali della Jugoslavia oppure all'estero. Con la fine del regime di Tito, la conseguente crisi interna al Paese e la successiva guerra, la situazione peggiorò. Una parte della popolazione fuggì all'estero per cercare salvezza e lavoro: di questi molti vennero in Trentino. Col tempo in Trentino si sono stabilite circa 530 persone. Il 9 marzo del 1997 viene costituito il Circolo Trentini di Štivor, ossia un circolo per gli Štivorani rientrati in patria, con sede a Roncegno (TN).