Un amore a prima vista, quello tra Riccardo Gigante – all’epoca in missione politica in Romania attorno agli anni ’20 del secolo scorso – e l’ebrea Edith Ternyei, più giovane di lui di circa vent’anni. Poco dopo il primo incontro i due si sposarono e dalla loro unione nacque il figlio Alvise. Fu proprio Edith, che dopo l’arresto del marito non riusciva a mettersi il cuore in pace, a iniziare la ricerca disperata del Senatore.
Dopo diverse lettere senza esito, destinate a conoscenti, amici e agli organismi militari dei nuovi governanti, mossa dalla certezza che Riccardo fosse ancora in vita, rinchiuso però in una delle carceri di Fiume, scrisse il 7 novembre 1945 al maresciallo Josip Broz Tito, implorando la grazia per il marito.
“Il giorno 3 maggio 1945, all’entrata a Fiume delle truppe liberatrici, mio marito, Senatore Riccardo Gigante, fu arrestato da alcuni militi popolari e da allora non ne ho saputo più nulla – scrive Edith Gigante nella lettera in lingua italiana –. Informatami all’Ozna, mi fu risposto che contro di lui non era stata elevata nessuna specifica accusa e che il suo arresto era da attribuirsi all’inevitabile confusione dei primi momenti. Sono ormai più di sei mesi che io non mi risparmio fatiche per avere notizie di lui e sapere se vive ancora. Fino ad oggi però non sono riuscita a sapere nulla di preciso sulla sua sorte, ma pare che egli sia vivo. Perciò oso rivolgermi a Lei, di cui è noto il profondo sentimento di giustizia, con l’ardente preghiera di voler, con un atto di grazia, restituire a un’infelice famiglia il capo di cui è priva da mezzo anno e che, esaurite le sue poche risorse, si trova all’orlo della miseria, tanto più che io sono malata, ho subito nove operazioni chirurgiche ai reni e sono incapace di un lavoro serio. Mio marito, contro il quale, ripeto, non esiste nessuna specifica accusa, è una persona onesta, integra, che non ha mai approfittato a proprio vantaggio delle cariche ricoperte e sempre, quando ne ha avuto la possibilità, ha fatto del bene a quanti si sono rivolti a lui, senza distinzione di nazionalità e di partiti politici. Maresciallo, la supplico a mani giunte, non vogliate negare la sua grazia a un uomo vecchio e malato (ha quasi 65 anni e ha subito una grave operazione chirurgica agli intestini), che non ha mai fatto del male a nessuno e ha ancora pochi anni di vita. Usatemi questa grazia e Le serberò eterna gratitudine”.
Un comunicato del Governo militare jugoslavo per la Venezia Giulia, lstria, Fiume e Litorale sloveno del 11 dicembre 1945, indirizzato a un conoscente di Edith Gigante, che si era mosso per avere notizie sul Senatore, spiega che Riccardo Gigante è “deceduto di morte naturale durante il trasporto da Fiume, alcuni giorni dopo il suo arresto”.
La realtà dei fatti era ben più tragica: il Senatore era stato ucciso barbaramente con dei ganci da macellaio il 4 maggio 1945 a Castua dai sicari dell’Ozna. Ma questo la moglie Edith non lo venne mai a sapere.
Dal 1999 il Parroco di Castua Don Franjo Jurčevič – d’intesa con la Società di Studi Fiumani di Roma – celebra una Messa Ricordo per le 12 vittime alla quale intervengono l’Ambasciatore italiano in Croazia, il Console Generale di Fiume, le Comunità degli Italiani di Fiume e Abbazia, il Libero Comune di Fiume in Esilio.
A cura di Rudi Decleva
(da un articolo a firma giemme)