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Il Circolo Garibaldi come congiunzione fra massoneria ed irredentismo – 20ott16

 

Partendo dalla sua ricerca di Dottorato svolta presso l’Università di Trieste, Luca Giuseppe Manenti ha dato alle stampe per l’IRSML Friuli Venezia Giulia il volume “Massoneria e irredentismo. Geografia dell’associazionismo patriottico in Italia tra Otto e Novecento”, che è stato presentato presso la Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma mercoledì 19 ottobre. L’incontro è stato coordinato dalla prof.ssa Rita Tolomeo, la quale sta svolgendo nuove approfondite ricerche sulla figura di Roberto Ghiglianovich, da cui emergerà appunto lo stretto legame fra l’irredentismo dalmata di fine Ottocento e gli ambienti massonici italiani.
La prof.ssa Annamaria Isastia ha svolto un’ampia disamina del libro, ricordando che si deve a Matteo Renato Imbriani nel 1877 la nascita del termine “irredentismo”, dal beffardo commento che un corrispondente austriaco scrisse riguardo il saluto che questi rivolse alle delegazioni di patrioti provenienti dalle “terre irredente” accorsi a Napoli per il funerale del padre, Senatore dai forti sentimenti italiani. Il passo successivo fu la fondazione dell’Associazione in pro dell’Italia Irredenta, ma nella storia risorgimentale possono venire considerati irredentisti ante litteram i tanti volontari giuliani, dalmati e trentini nelle guerre d’indipendenza e nelle spedizioni garibaldine e già nel sommovimento triestino del marzo 1848 si colgono i prodromi di un movimentismo sotterraneo che avrebbe portato alla fondazione del Circolo Garibaldi, che in seguito Raimondo Battera avrebbe dovuto rifondare a Milano. Se l’associazionismo di stampo massonico aveva raccolto adepti nei ranghi universitari, con particolare riferimento a Padova, tradizionalmente frequentata da studenti italofoni del l’Adriatico orientale, la docente della Sapienza ha evidenziato che non tutti i carbonari furono massoni e che personaggi come Crispi e Villari transitarono per le logge massoniche, ma poi abbandonarono tale percorso, un tanto per smitizzare la vulgata che ha portato ad una “sovraesposizione massonica”. Bisogna altresì riconoscere la grande capacità dei massoni di influenzare la società civile attraverso associazioni di tiro a segno, nelle quali si addestravano i cittadini all’uso delle armi coerentemente al postulato garibaldino della Nazione armata, società ginniche, leghe studentesche, giornali e strutture associative. Tra queste ultime un ruolo di primo piano venne ricoperto dalla Dante Alighieri, ai cui vertici si trovarono massoni del calibro del sindaco di Roma Ernesto Nathan, amico di Mazzini che aveva abbandonato la pregiudiziale antimonarchica con l’obiettivo di completare l’unità d’Italia, e del deputato triestino Salvatore Barzilai. A tal proposito è stato evidenziato come la Trieste borghese e laica rappresentò un terreno fertile per le logge, laddove il Trentino cattolico si dimostrò restio; in un quadro più complesso furono inizialmente singoli massoni ad avvicinarsi alla problematica irredentista, solo in un secondo momento la Giunta del Grande Oriente d’Italia avrebbe avocato a sé il ruolo di indirizzare l’attività delle logge verso la questione irredentista. Esse avrebbero svolto non solo propaganda (vedasi il lavoro di Alessandro Dudan e Attilio Tamaro a Parigi per contrastare le simpatie jugoslaviste delle logge francesi), ma anche promosso azioni sul campo: ad esempio la Dante Alighieri di Ravenna avrebbe sfruttato gli addentellati in una locale compagnia di navigazione per tenere contatti con cellule irredentiste triestine e fiumane. Il lavoro di Manenti rappresenta insomma una paziente ricerca dal basso, svolta scandagliando gli archivi di tutte le sezioni del Circolo Garibaldi in Italia, nell’ambito di un apparato massonico tutt’altro che omogeneo, in quanto diversificato per opinioni politiche, diviso al suo interno fra elitari e propensi ad un maggiore interventismo nel mondo profano, sicché la storiografia finora sembra aver sopravvalutato il ruolo massonico nella storia unitaria.
Proprio dalla complessità di attribuire un significato all’essere massone, non potendo bastare l’appartenenza e la condivisione di idee, si è snodato l’intervento del prof. Antonio Trampus; d’altro canto lo stesso irredentismo risultava un concetto di difficile definizione già per la generazione irredentista del 1890-1900. Quando la massoneria, divisa fra Palazzo Giustiniani e Piazza del Gesù, intercettò l’irredentismo, quest’ultimo stava attraversando una fase di crisi, laddove nel Grande Oriente figuravano repubblicani e socialisti che non condividevano i propositi irredentisti, pur vantando amicizie garibaldine attive in tale battaglia. Non erano infatti ancora chiari né il ruolo geopolitico dello spazio adriatico per l’Italia né l’unità culturale, linguistica e storica che permeava il litorale orientale, ma di lì a poco la Dalmazia sarebbe entrata al centro del dibattito, destando l’interrogativo se l’intervento italiano nella Prima guerra mondiale costituisse il completamento dell’unità nazionale oppure una forma di espansionismo. A tal proposito Giovanni Timeus aveva svolto un viaggio massonico teso a mettere alla prova la solidità delle proprie idee confrontandosi presso i vari circoli Garibaldi del Regno d’Italia, trovando riscontri non sempre univoci: in Puglia la forte componente repubblicana, socialista e garibaldina era completamente disinteressata alla questione della dirimpettaia Dalmazia. Riferendosi alla propaganda nazionale realizzata dai massoni a Trieste e nella Venezia Giulia, cui è dedicata l’ultima parte dell’opera, Trampus ha voluto compiere una precisazione riguardo al termine “liberal-nazionali”: Attilio Hortis si era definito “liberale nazionale”, in quanto liberale di nazionalità italiana, ma ancora leale nei confronti delle istituzioni asburgiche, laddove i liberal-nazionali rappresentavano propriamente una categoria interna all’arena politica italiana. Nel lavoro di Manenti il docente della Ca’ Foscari ha apprezzato in particolare l’analisi del passaggio generazionale dall’associazionismo studentesco fortemente influenzato dalla massoneria all’affiliazione diretta ed ha ricordato come Manlio Cecovini riallacciò il legame irredentismo-massoneria a Trieste che era stato spezzato dal fascismo nel momento in cui cooptò Teodoro Mayer e Petacco.
Luca Manenti, il quale ormai vanta un robusto curriculum in tema di storia della massoneria, ha spiegato di aver riscontrato varie sfaccettature nel rapporto fra massoneria ed irredentismo: l’appoggio logistico delle logge agli espatriati, i generosi contributi erogati alle associazioni irredentiste e l’intreccio fra massoneria ed ebraismo, poiché la comunità ebraica aveva sposato la causa italiana dopo le emancipazioni ottenute grazie allo Statuto albertino. Riprendendo alcuni spunti provenienti dai precedenti interventi, l’autore ha sostenuto che nel variegato mondo massonico in breve l’italianità di Trieste diventò un collante fra affiliati borghesi e di più umile estrazione sociale ed ha ribadito che Francesco Crispi nel periodo in cui ha ricoperto incarichi di governo è stato un massone in sonno, laddove Rino Alessi e Giacomo Venezian avrebbero ripudiato i loro trascorsi massonici: singolare invece il fatto che molti gerarchi fascisti sarebbero rimasti massoni anche dopo le leggi liberticide del 1925, le quali avrebbero colpite pesantemente pure le logge. Con riferimento all’effettivo peso della massoneria, Manenti, che si è lungamente soffermato nel testo sul passaggio di consegne fra generazione risorgimentale e nuove leve, ha riconosciuto la capacità dei massoni di occupare i punti strategici con le poche risorse umane a disposizione, in maniera tale da apparire più potenti di quanto effettivamente fossero. Riguardo alla problematica irredentista, la Dalmazia occupò a lungo una posizione di secondo piano, laddove la pubblicazione “Eco delle Alpi Giulie” ebbe il merito di presentare adeguatamente l’italianità di Trieste e dell’Istria, sicché la slavofobia avrebbe preso facilmente piede. D’altro canto solamente a Napoli Manenti ha riscontrato nello spoglio archivistico una sezione dai forti contenuti patriottici, benché nel panorama massonico italiano serpeggiasse un certo antimeridionalismo dovuto allo scarso senso patriottico dei “fratelli” sardi e pugliesi.
Il Senatore Lucio Toth, presente nel qualificato e attento pubblico assieme alla Vicepresidente nazionale dell’ANVGD Donatella Schürzel, ha quindi chiesto da cattolico liberale ragione della demonizzazione della massoneria, cui fra l’altro afferivano numerosi protagonisti dei moti risorgimentali europei ottocenteschi: la prof.ssa Isastia ha spiegato che è stata la Chiesa ad enfatizzare l’importanza della massoneria, nella quale sono entrati solamente in un secondo momento i protagonisti del Risorgimento e pertanto non sono stati i massoni ad attivare il percorso risorgimentale. La massoneria d’altro canto si presentava in un’epoca priva di partiti politici istituzionalizzati come un prestigioso luogo di aggregazione e si sarebbe gloriata degli strali vaticani, venendo invece depotenziata dall’avvento dei partiti di massa, che avrebbero offerto nuove forme di incontro per quanti si riconoscevano in certi ideali.

 

Lorenzo Salimbeni

 

 

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