I Centri Raccolta Profughi che hanno accolto gran parte dei 350.000 esuli del confine orientale italiano dopo la Seconda guerra mondiale erano sparpagliati in tutta Italia, isole comprese: le privazioni, le sofferenze e le speranze che si sviluppavano in queste strutture sovente fatiscenti rivivono soprattutto nelle testimonianze di chi più o meno a lungo visse nei CRP, ognuno dei quali meriterebbe una storia a sé. E al CRP di Termini Imerese il giornalista Fabio Lo Bono ha dedicato il libro “Popolo in fuga. Sicilia terra di accoglienza”, autopubblicato nel 2016 e presentato giovedì 3 novembre a Roma presso la libreria Farenheit nel centralissimo Campo dei Fiori.
Introdotto da Carmelo Pace, Lo Bono ha raccontato delle interviste che ha rivolto a persone che avevano vissuto quell’esperienza di profuganza, temendo inizialmente di aprire vecchi dolori, ma riscontrando cammin facendo la voglia e il desiderio di parlare e di far sapere il proprio vissuto. Forte di queste testimonianze, l’autore le ha messe su carta ed è andato in tante scuole della Sicilia a raccontare la storia del CRP termitano, riscontrando molto interesse da parte dei giovani, tanto che alla recente sessione degli Esami di Stato il 10% degli esaminandi ha scelto di parlare di Foibe ed Esodo, a fronte del precedente (dis)interesse pari a 0. Nelle pagine del libro non si trovano solamente le testimonianze dei profughi, ma anche una ricostruzione storica della complessa vicenda del confine orientale italiano (rifacendosi ai lavori di Raoul Pupo, Lo Bono non parla di pulizia etnica a danno degli italiani da parte dei “titini”, bensì di eliminazione selettiva delle persone secondo criteri ideologici comunisti) e approfondimenti dedicati al ruolo che le autonomie siciliane giocarono nei confronti del governo centrale per gestire questa emergenza umanitaria. In quel dopoguerra il popolo siciliano, tutt’altro che prospero ed inizialmente diffidente, avrebbe poi offerto ai profughi giuliano-dalmati la tradizionale ospitalità della Trinacria, retaggio della xenia di epoca greca.
Il giornalista Guglielmo Quagliarotti, autore dell’introduzione del volume, ha riscontrato nelle pagine vergate da Lo Bono un taglio da reportage giornalistico sostenuto da un’ampia documentazione, sicché ne risulta un’inchiesta come quelle che oggi non si fanno più, ma che avevano il merito di portare a galla la verità. E di verità nascoste su questi argomenti ce ne sarebbero fin troppe, nella misura in cui «molte vittime delle foibe furono uccise in quanto italiani – ha affermato Quagliarotti – salvo poi ricevere l’etichetta di “fascisti”, così come bisogna far luce sulle stragi dei Cosacchi a guerra finita e sugli eccidi del Triangolo rosso dell’Emilia riguardo cui si è coraggiosamente cimentato Pansa»
Ad impreziosire la serata ci ha pensato l’attore Leo Gullotta, che ricordiamo protagonista nella fiction RAI “Il cuore nel pozzo”, che per prima propose al grande pubblico, seppur in maniera a tratti imprecisa, la tragedia delle foibe: Gullotta ha letto alcuni brani de “Popolo in fuga”, in particolare la conclusione ed il toccante ricordo della fiumana Maria Grazia Bortul, fuggita a Trieste, arrivata in treno a Termini Imerese a bordo di un carro bestiame e qui accolta nella ex caserma “La Masa” , nella quale frequentò una scuola in cui colava l’acqua quando pioveva, vivendo con la famiglia in una stanza di tre metri quadrati senza finestra e delimitata da fil di ferro cui erano appese grigie tende, che ispirarono alla madre la struggente poesia “Grigiori”.
Marino Micich, direttore del Museo Archivio Storico di Fiume, presso il quale Lo Bono si è documentato, ha quindi affermato che «ci vorrebbe un lavoro così per ogni provincia d’Italia», al fine di ricostruire efficacemente il mosaico sociale ed umano degli oltre 100 CRP. D’altro canto in Italia si aveva cognizione della tragedia del confine orientale fino al 1954, dopodiché, tornata l’amministrazione di Roma a Trieste e ceduta la Zona B del fittizio Territorio Libero di Trieste alla Jugoslavia assieme al resto dell’Istria, è calata la coltre del silenzio. Ecco quindi l’ignoranza diffusa sul decreto di nazionalizzazione con cui Tito si impadronì dei beni abbandonati dagli esuli, imputandoli al pagamento del debito di guerra italiano, e sulle sofferenze degli esuli, che a Roma vissero negli scantinati delle stazioni Termini e Prenestina prima di potersi insediare nel 1946 al villaggio predisposto in epoca fascista per gli operai che edificavano il quartiere EUR ed ottenere appena nel ’47 il riconoscimento ufficiale di rifugiati e di profughi: a varie ondate, in 16.000 sono giunti nel Lazio, 3.000 in Sicilia. Non solo il CRP Cibali presso Catania e Termini Imerese in provincia di Palermo, ma anche Siracusa fu interessata (centro di smistamento di Ortigia) così come Augusta, presso le cui raffinerie Moratti dette lavoro alle maestranze fiumane esodate. Micich ha inoltre ricordato che molti siciliani trapiantati in Dalmazia vennero travolti dall’Esodo e che in tempi più recenti il legame della Sicilia con le tragedie del confine orientale risponde ai nomi di Pititto e Augusto Sinagra, uomini di legge protagonisti del processo sulle Foibe.
La prefazione del libro reca in calce la firma di Giuliana Almirante De’ Medici, la quale è intervenuta constatando amaramente che ci è voluta la Legge del Ricordo affinché si cominciasse a parlare diffusamente di Foibe ed Esodo: «Tuttavia è necessario – ha aggiunto – lasciare ai giovani queste memorie, anche se risultano scomode per molti. Non è possibile paragonare ai profughi odierni gli istriani, fiumani e dalmati, cacciati in malo modo dalle terre in cui vivevano in relativa prosperità da secoli. Questo libro narra la loro tragedia, ma evidenzia anche la generosa accoglienza del popolo siciliano».
Negli interventi del pubblico (presente la Vicepresidente nazionale dell’ANVGD e presidente del Comitato provinciale di Roma, Donatella Schürzel) che hanno arricchito la conferenza, è apparsa particolarmente significativa la testimonianza relativa alle dichiarazioni rilasciate da Giulio Andreotti al Congresso nazionale ANVGD 2003 a Roma: già Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nell’immediato dopoguerra, Andreotti fu testimone degli accordi fra De Gasperi e Togliatti affinché venisse data agli esuli una sistemazione decente cosicché non si parlasse più della loro vicenda; lo statista trentino, inoltre, si oppose al concentramento dei profughi in un’unica località, che poteva essere proprio il Trentino – Alto Adige, e preferì disseminarli in decine di CRP.
Lorenzo Salimbeni
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