Le impronte digitali rilevate ai rom? Anche i profughi giuliano-dalmati alla fine della seconda guerra mondiale furono schedati con tanto di impronte. Lo ribadisce in una nota l’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia presieduta da Lucio Toth, che risponde così a un editoriale di «Famiglia cristiana» in cui Beppe Del Colle afferma che «governi e singoli ministri democristiani» non presero mai misure simili a quelle decise dall’attuale governo Berlusconi «perché, prima di essere politici, erano cristiani».
«Non spetta alla nostra associazione che rappresenta gli esuli giuliano-dalmati – scrive l’Anvgd – difendere o meno provvedimenti governativi che non ci riguardano. Ma solo per difesa della verità storica», l’Associazione ricorda la circolare 224/17437 del 15 maggio 1949 «del ministro dell’Interno Scelba (governo De Gasperi) che stabilì la schedatura e il rilevamento delle impronte digitali a tutti i profughi italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia. Le Questure di tutta Italia fecero irruzione nei campi profughi e nelle case private di migliaia di famiglie inermi. Tutti gli esuli furono messi in fila a obbedire agli ordini del governo, e così fecero. Finanche mons. Radossi, profugo istriano e allora vescovo a Spoleto – aggiunge l’Associazione – ricevette la visita dei carabinieri provvisti di carta e tampone».
Di questo specifico episodio e di tanti altri di quei giorni, conclude l’Anvgd nella sua nota, «il nostro archivio abbonda di informazioni e documenti».
«Gli esuli sono sempre stati contraddistinti da un profondo senso civico e da un rispetto quasi religioso per le regole – commenta il vicepresidente dell’Anvgd di Trieste Claudio Grizon – per cui con spirito sereno in quel momento storico di grande sofferenza si adeguarono alle misure che il governo volle prendere». Grizon (che è anche consigliere comunale del Pdl in Provincia) commenta poi così: «Quando non si ha nulla da nascondere, e soprattutto in situazioni che riguardino ragioni di sicurezza, non credo si debba avere timore di prestare le proprie impronte e rinunciare a un po’ della propria privacy per avere una sicurezza collettiva».