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Così finisce il boia che terrorizzò i Balcani (Il Piccolo 23 lug)

di Mauro Manzin
TRIESTE Il boia venuto dal nulla nel nulla è finito. Quello umido di una prigione belgradese. Radovan Karadzic, 63 anni, ha chiuso così la sua carriera di neuropsichiatra del terrore. Catturato dalle squadre speciali dell’esercito serbo su un bus. Come un borseggiatore qualsiasi. Lui, il borseggiatore delle anime di Sarajevo e di Srebrenica. L’epilogo su un vecchio torpedone di linea tra Belgrado e Batajnica, località a Nord della capitale.
«Dottor Karadzic è meglio che ci segua senza opporre resistenza», gli hanno intimato gli uomini armati dell’esercito. Irriconoscibile, una sorta di Barbapapà in viaggio verso la periferia, magari per far visita ai figli.
Il «cavaliere della morte» dei Balcani si era travestito da hobbit. Attorno a lui non c’erano, come si è raccontato negli ultimi anni, i quattro fedelissimi uomini di quella che sarebbe stata la sua scorta personale pronta a morire pur di preservare la libertà del loro super-protetto. Nè si ha notizia della pistola che il dottore portava sempre con sè.
Radovan Karadzic sarà trasferito al Tribunale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia, che ha sede all'Aja. Vladimir Vukcevic, che coordina la squadra serba del Tribunale per la cattura dei criminali di guerra, ha assicurato che le autorità serbe hanno preso Karadzic «nel pomeriggio di lunedì» e «da sole, senza un aiuto dall'esterno», in riferimento alle indiscrezioni di un intervento di agenti statunitensi. L'ex presidente serbo bosniaco è stato catturato in un momento in cui era basso il rischio per la gente che casualmente era intorno a lui. «L'operazione è stata messa in atto dopo aver pedinato», ha spiegato il magistrato, «un gruppo di persone sospettate di aver costituito una rete di protezione della sua latitanza». Karadzic è stato poi interrogato: «La sua identità è stata accertata e gli è stato consegnato l'atto di accusa del Tribunale». A un primo esame, ha aggiunto Vukcevic, «sono state riscontrate le condizioni per un suo trasferimento all'Aja». Le sue prime parole dopo l'arresto sono state: «È tutta una farsa», poi si è avvalso della facoltà di non rispondere. Secondo il suo avvocato, Svetozar Vujacic, Karadzic avrebbe dovuto essere portato dal giudice immediatamente. Invece, ha detto, «chi ha ordinato la cattura lo ha tenuto per tre giorni in carcere». L'arresto, ha concluso, è assolutamente contro la legge.
Negli ultimi anni il cerchio attorno a Karadzic andava stringendosi. Anche perché nei palazzi del potere a Belgrado non sedevano più i suoi amici e protettori, leggi Milosevic & Co., e così dopo alcuni blitz falliti da parte delle forze internazionali giungeva, nel maggio 2005, l’arresto del figlio Aleksandar (Sasa) ma rilasciato dopo una decina di giorni. Il 28 giugno scorso la moglie di Karadzic, Liljana Zelen, lo invitava con forza ad arrendersi, dopo aver sentito su se stessa, secondo le sue parole, «un’enorme pressione» esterna. Eppure il dottor Karadzic era riuscito a costruirsi una vita normale, dopo molte fughe nei monasteri serbo-ortodossi (si è favoleggiato addirittura di una puntata sul Monte Athos in Grecia). Ci sono addirittura partecipazioni pubbliche a congressi medici e articoli improntati al culto della «vita sana» a firma di Dragan David Dabic – la falsa identità assunta da Radovan Karadzic in questi ultimi anni – fra gli eventi della sconcertante latitanza dell'ex leader serbo bosniaco ricercato invano per 13 anni. È quanto emerge in queste ore, sullo sfondo di semplici ricerche di archivio e di qualche approfondimento su internet. Proprio dalla rete spunta ad esempio l'immagine di un uomo dalla lunga barba bianca – molto simile al Radovan Karadzic d'oggi, mostrato in foto dalle autorità serbe – scaricata in un sito a corredo del resoconto di un simposio svoltosi nella cittadina serba di Sombor appena tre mesi or sono. Nella foto la figura barbuta corrisponde al nome di D. D. Dabic, «psicologo ed esperto di bioenergia» nonchè relatore al convegno «Vita sana, Vita felice». «Vita Sana», d'altronde, è anche la testata di una rivista serba di medicina alternativa per la quale il dottor Dabic – «neuropsichiatra di Belgrado» – risulta aver firmato regolarmente negli ultimi mesi articoli scientifici su temi medici, di corretta nutrizione e di ambiente. Come conferma il direttore del periodico, Goran Kojic, giurando di cadere dalle nuvole nell'apprendere «solo ora» che dietro quella firma si celavano in realtà le mani imbrattate di sangue di Karadzic.
Karadzic da leader politico, mano sporca di Milosevic, affiora sul palcoscenico dei Balcani nel 1989 come protagonista della fondazione del Partito democratico serbo che fu il fondatore della Republika Srpska il 13 maggio del 1992. Primo presidente? Karadzic ovviamente. E dà lì scoppia la mattanza. Lui ama vestirsi in mimetica, farsi leggendarie abbuffate e bevute di rakija con l’amico generale Mladic, il suo braccio armato mentre nelle calde sere di Pale, tra il suono di qualche «gusla», echeggiavano i colpi di cannone che massacravano Sarajevo. Tutto finì nel 1995 con gli accordi di Dayton. E per Karadzic iniziò la latitanza. Tredici anni tra protezioni eccellenti, vita paramilitare e poi, come abbiamo visto, con la creazione di una vera e propria nuova identità, approfittando dei vecchi amici che ancora erano riusciti a non essere sfrattati dal potere post-Milosevic. Aiutato anche da una scarsa volontà delle truppe internazionali a mettere a repentaglio la vita dei propri soldati per assicurarlo alla giustiza del Tribunale penale dell’Aja l’ex presidente ritornò a fare il medico e a coltivare l’altra sua passione di una vita: la poesia. Ma anche per l’uomo dalle mille identità è giunto il giorno della resa dei conti. In uno sporco e anonimo autobus di linea. Forse la più grande umiliazione per colui che si considerava un conducator. A fotografare tutto quello di cui si è reso responsabile sono le migliaia candide lapidi di Srebrenica o la collina di Sarajevo trasformata in un infinito cimitero. E quelle lapidi parlano sicuramente più di mille testimonianze in un regolare processo.

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