Per decenni lo sport ha cercato di tenere unito ciò che le guerre e le ideologie avevano diviso e a tratti lacerato, ma lo sport ha sempre cercato di vincere – come poteva – la sua battaglia per far “giocare” e gareggiare tutti, indipendentemente dalla loro provenienza, lingua, religione (di razza c’è solo quella umana, come ci ha ricordato Albert Einstein). È come se in queste terre lo “spirito olimpico” avesse trovato un humus particolarmente fertile, che continua a dare i suoi frutti, continuando a mescolare memorie e cognomi che hanno provenienze multiple.
Per me tutte le Olimpiadi sono belle per definizione. E – spero – saranno belli anche i Giochi di Pechino 2008, nonostante il Tibet, le censure e le persecuzioni, perché gli atleti si conosceranno, gareggeranno, impareranno gli uni dagli altri e scopriranno di essere straordinariamente simili anche quando fanno risultati diversi.
Adesso, nonostante le tentazioni della propaganda politica, i nuovi “padroni” dello sport rischiano di essere la pubblicità e la televisione, che hanno riversato dentro lo spettacolo olimpico risorse economiche enormi, che hanno spazzato via quasi ogni traccia dell’aristocratico e forse ingenuo dilettantismo del barone de Coubertin. Per questo, forse, da quando lo sport è diventato troppo ricco e televisivo, Trieste e il Friuli Venezia Giulia sono lentamente scivolati fuori dal panorama degli sport “maggiori”, ma hanno continuato a formare atleti di grande valore e anche atleti “paralimpici”, che rappresentano – con tutta probabilità – il senso più autentico e originale dei Giochi. Trieste, con i suoi 11 atleti olimpici su 347, è la città più rappresentata d’Italia e da sola ne ha più di Puglia, Marche ed Umbria messe assieme (questa realtà così importante e consolidata vorrà pur dire qualche cosa rispetto l’immagine un po’ “piagnona” della città che spesso viene diffusa, mentre è piena di risorse, di lavoro e di successo che andrebbero valorizzati).
Certo, i Giochi Olimpici sono “anche” uno spettacolo, spesso il potente di turno ha cercato di farsi bello e forte con la fatica degli altri, lo sport ha sempre eccitato l’orgoglio nazionale, eppure chi si merita un’Olimpiade sa che partecipare e magari vincere rimane il sogno più bello della vita. Il ricordo della partecipazione olimpica – comunque vadano le gare – resterà il più prezioso ed importante della vita. Adesso, a Pechino 2008, stanno per arrivare – anche per i nostri atleti – nuove esperienze, nuove gare, nuovi risultati, ci saranno sorrisi e lacrime, ma nessuno –per quanto ricco o potente- potrà appropriarsi di quei ricordi.
Franco Del Campo
olimpico di Città del Messico 1968 (primo italiano nella storia del nuoto a disputare due finali olimpiche).