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Gallesano, chiese e leggende (Voce del Popolo 06 set)

di Mario Schiavato

Prospero Petronio nelle sue “Memorie dell’Istria sacra e profana” del 1681 scrive: “Entro terra ci sono altre bone e belle ville, tra quali la più habitata è quella di Gallisano, discosta da Pola cinque miglia ove alle volte sogliono, per l’aria buona, risiedere l’estate li Vescovi e li Proveditori di Pola. È posta in piano in sito allegro e arieggiato, circondata da molti e fertilissimi poderi. Può far 400 anime, parlano tutti italiano, e vestono al costume Dignanese. È una Pieve ricca, che tiene più capellani etc. etc.”.
Nell’introduzione a una ricerca fatta con gli alunni del gruppo etnografico della Scuola Elementare di Dignano, alla quale per qualche breve nota abbiamo attinto, il prof. Corrado Ghiraldi sottolinea: “Gallesano vanta una storia ed una tradizione molto antiche, tramandate da generazione in generazione all’interno delle tante famiglie che la abitano da secoli.
Grazie al suo dialetto, uno dei più antichi di queste regioni, di derivazione diretta dal latino e volgare medioevale, sono stati tramandati modi di dire, aneddoti, dati, storie, nomi, soprannomi, toponimi e quant’altro caratterizzi un luogo così singolare. Possiede ricchezze culturali, folcloristiche, artistiche, architettoniche e sacre uniche in Istria, intrecciate e tutt’uno con la vita della popolazione umile e contadina del posto, un patrimonio dal valore inestimabile che deve essere studiato, valorizzato e soprattutto, tutelato”.

Le chiese diroccate

Noi oggi vogliamo ricordare le chiese e le leggende legate a questi luoghi di culto. Ai tempi attuali, oltre alla parrocchiale dedicata a San Rocco, ce ne sono ancora altre quattro con il tetto e, in un certo modo curate, la cosiddetta “Madona dela Conceta” (Madonna della Concezione) un po’ fuori l’abitato, San Giuseppe, San Giusto, meglio la chiesa del vecchio cimitero circondata da molte antiche lapidi murate e sui muri della chiesa e su quelli del recinto che la circondano e Sant’Antonio abate con davanti una specie di cortiletto recintato e con esposti sui muri esterni dei suggestivi antichi bassorilievi, ma ce n’erano tante altre che ormai sono ridotte a pochi resti di macerie. Come quella di San Giovanni (San Zuane) che sorgeva nello stesso rione e della quale rimangono solo parte del muro settentrionale nonché i resti di una colonna.

Un cortile al posto della vecchia chiesa

Quindi bisogna ricordare quella di San Mauro del VII secolo nel rione Sigari, ridotta solo a pochi resti delle mura dell’abside e della navata. Ancora lungo la strada che porta a Fasana c’era la chiesa di San Pellegrino, oggi praticamente un mucchietto di pietre. Due poi erano quelle dedicate a San Pietro (San Piero), delle quali al posto della prima oggi c’è un cortile vicino alla scuola, mentre la seconda si trovava a sud di Gallesano nel vasto territorio chiamato Vidrian lungo la strada che porta a Montegrande e poi a Pola. Anche di questa costruzione non rimane niente, solo il ricordo dei vecchi del paese. Di epoca medioevale c’era poi San Silvestro sulla strada che porta alle Poveliere (cioè le polveriere), ma anche di questa non rimangono che parti delle mura. E non è ancora finito. Ci sono da ricordare ancora la chiesa di Santa Lucia (VI-VII secolo) i cui resti dovrebbero trovarsi a Val Sudiga, nonché quella di San Zeno (VIII-IX secolo) nella zona settentrionale del paese in direzione di Soalaga della quale non rimangono altro che delle pochissime tracce, utili soltanto a localizzarla.

Alla scoperta delle vecchie tradizioni

Tutti questi dati in parte li abbiamo tratti da delle ricerche fatte dai ragazzi della Scuola Elementare di Dignano. Noi però, più che alle chiese come tali, alla loro storia e struttura architettonica, ci siamo proposti di ricordare quelle chiese che, pur se saltuariamente ancora visitate dai fedeli, sono entrate nella tradizione popolare per le molte leggende che le distinguono, leggende che talvolta vengono ancora ricordate e raccontate – anche se sempre più raramente – ce lo hanno confermato delle anziane galesanese che abbiamo interrogato sugli usci di casa in quel nostro andare per le vecchie contrade, perché è stato proprio ad alcune di loro che ci siamo rivolti e per conoscere le leggende e per poter rintracciare gli
edifici in quel pur piccolo paese che, detto per inciso, è piuttosto trascurato, parecchie case sono in completo abbandono. E quindi ecco di seguito quanto abbiamo raccolto e annotato.

Sant’antonio abate e la sua leggenda

Quella di Sant’Antonio Abate (del XV secolo) si trova nell’abitato nel rione chiamato “Toro”. Costruita in stile gotico con davanti un piccolo sagrato recintato, ha murate sui fianchi come abbiamo già ricordato, diverse lapidi con motivi intrecciati del X-XI secolo. Durante la festa del santo abate venivano benedetti gli animali che appartenevano agli abitanti del paese.
Un’antica leggenda racconta che un contadino giunto con la sua mucca per il rito, avvenuta la benedizione con altri compari entrò nell’osteria per bere un buon bicchiere in compagnia senza troppo curarsi del suo animale che legò alla benemeglio a un albero. Quando uscì un po’ su di giri, non trovò più la sua Rosabella. Cerca e ricerca, alla fine la scoperse che se ne stava tranquilla all’interno della chiesetta. Arrabbiato la strattonò e le disse:
– Cosa fai qui dentro, sporcacciona? La mucca rispose con un lungo muggito:
– Prego Sant’Antonio che ti perdoni per tutte le bestemmie che dici ogni volta che, con la verga, ingiustamente mi dai delle legnate sulla schiena! Stupito per quella risposta, il contadino rimase a bocca aperta ma poi agguantò la bestia per le corna e la trascinò fuori. Pare però che da quel giorno non l’abbia più picchiata e non abbia bestemmiato più!

La preghiera della vecchia zitella

Un’altra leggenda è legata alla chiesa parrocchiale di San Rocco risalente al 1634, che si trova poco distante dalla piazza centrale e che ha al fianco un bel campanile, anche quello di antica data. In una delle navate c’è un altare in pietra, marmo e legno dedicato alla Madonna. E proprio a questo altare è legata una bizzarra leggenda. Si racconta infatti che davanti alla
Beata Vergine con tanto di Gesù Bambino in braccio, ogni giorno una già piuttosto vecchiotta contadina zitella, un po’ zoppa e anche sdentata venisse a pregare e pregare per ore chiedendo alla fine: – Dimmi, Madonna Santa, dimmelo beata Vergine, quando lo troverò io un bel marito?
Il sacrestano, che s’era stancato di queste sue interminabili visite, un giorno si nascose nei pressi dell’altare e quando la zitella pronunciò la famosa frase egli con una voce sottile sottile, rispose : – Mai più, mai più…
La vecchia, credendo che per quella voce sottile fosse stato il Gesù Bambino a risponderle, arrabbiata esclamò: – Taci tu, creaturina, lascia parlare tua madre che è più vecchia e conosce
meglio il mondo! Una lunga risata del sacrestano echeggiò nella chiesa. L’anziana zitella scappò impaurita persuasa che a ridere fosse stato nientemeno che il diavolaccio.

Il grembiule della madre infelice

E adesso ricordiamo la leggenda legata alla chiesa romanica chiamata dai gallesanesi della “Madonna dela Conceta” (Immacolata Concezione) del VI-VII secolo che pare sia stata costruita al posto di un antico torchio per le olive. Si racconta dunque che a Gallesano una volta viveva una madre che aveva perso la sua unica figlia. La poveretta non riusciva a trovare conforto e piangeva e piangeva asciugandosi le lacrime con il suo grembiule.
Una notte in sogno le apparve la figlia morta la quale la implorò di non piangere più e di recarsi invece alla chiesa “dela Madona Conceta” dove avrebbe trovato certamente conforto. Aggiunse anche, che doveva lasciare nella chiesa qualsiasi cosa le fosse capitato di perdere. La mattina dopo l’infelice madre andò perciò in quella chiesa e pregò e pregò davanti la
statua della Madonna. E pianse e pianse. Quando alla fine si alzò per andarsene, le cadde il grembiule con cui era solita asciugarsi tante e tante lacrime. Ricordandosi della raccomandazione della figlia morta non lo raccolse, lo lasciò abbandonato sul pavimento e fu da allora non si disperò più, che non pianse più.

Il parroco e il sacrestano

C’è ancora la chiesa di San Giuseppe subito all’entrata del paese. La leggenda legata a questo piccolo e trascurato edificio racconta quanto segue: a Gallesano parroco e sacrestano vivevano in pace e d’accordo. Poi un giorno il primo s’accorse che l’altro gli beveva il buon vino bianco della messa. E allora gli chiese:
– È da molto tempo che non ti confessi. Dovresti farlo stamattina. – Lo farò ben volentieri.
Entrarono nella chiesetta e subito il sacrestano si inginocchiò al confessionale. Ma quando finì di snocciolare i suoi peccatucci il parroco ridacchiando osservò:
– C’è un peccato che non hai confessato.
– Un peccato? Quale peccato?
– Non sai proprio chi beve il mio vino bianco, il vino bianco della messa?
– Signor parroco, da qui non riesco proprio a sentire le sue parole. Forse
sarebbe il caso di scambiarci i posti.
Sorridendo il prete accettò. Entrato nel confessionale il sacrestano chiese:
– Saprebbe dirmi, signor parroco, chi è quella persona che qualche volta si
porta a letto mia moglie?
– Hai proprio ragione! – esclamò pronto il prete –. Da qui non si sente
proprio niente, niente di niente. Va bene, ti assolvo in nome del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo!

Gli amanti della bella

Un’ultima chiesa importante è quella di San Giusto o del vecchio cimitero, che si trova nel rione di Lumel. Questa è a tre navate divise da colonne. Si racconta che una giovane vedova molto bella, una volta morto e seppellito il marito, se la spassò con parecchi altri giovani contadini. Quando costei, ormai vecchia morì, venne sepolta accanto al marito. Naturalmente dopo in cimitero finirono anche parecchi dei suoi amanti e, da quel che si racconta, i loro spiriti uscivano dalla tomba e vagavano nella notte alla ricerca della bella. Non poterono mai trovarla perché lo spirito del marito, arrabbiato, in una notte di luna per punirla la fece uscire dalla cassa e la andò a seppellire lontano, in campagna e su un terreno sconsacrato, sotto un
grande mucchio di pietre.

 

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