Il canto del disincanto di Silvio Forza
Croniche disgrazie di frontiera
Stavolta daremo informazione su due casi che nel particolare riguardano la nostra casa editrice EDIT di Fiume, ma che in linea generale sono sintomatici della difficile specificità cui è stata condannata la Comunità Nazionale di Croazia e Slovenia, costretta a navigare in barchetta (senza vela e con i remi spezzati) in un mare mosso stretto tra Scilla e Cariddi.
E stavolta i due scogli omerici diventano simboli di una testarda incomprensione.
Scriveremo del peccato, senza nominare il peccatore.
In questi giorni, in breve sequenza temporale, l’EDIT prima ha preferito non collaborare con un soggetto nel quale si riconosce in parte il mondo dell’esodo, poi si è rifiutata di pubblicare un annuncio pubblicitario in cui un cliente croato insisteva nella volontà di piazzare, all’interno del nostro quotidiano “La Voce del Popolo”, un annuncio con l’indicazione delle località istroquarnerine solo in lingua croata.
Il primo “no” è stato doloroso e tormentato perché una delle chiare missioni dell’EDIT “è la “necessità irrimandabile di ricucire la lacerazione provocata dalla tragedia dell’esodo, che ha colpito nella collocazione identitaria, nella personalità, nella vita, sia gli esuli (nel 'non essere più'), che i 'rimasti' (nell’'essere di troppo')".
Eppure, accettare la collaborazione con una “storica associazione che vive e lavora nella difesa dell'italianità di Trieste e di tutta la Venezia Giulia” avrebbe significato tradire la nostra convinzione nei valori della convivenza e del rispetto della storia.
Da questo punto di vista, è difficile sostenere l’italianità di Čabrunići, Karojba, Sutivanac, Hrastovlje o Benkovac, che si trovano nell’ex Venezia Giulia, senza andare insensatamente a minare la convivenza con croati e sloveni.
D’altra parte, sarebbe oltremodo incoerente aderire alla piattaforma di un’associazione – per quanto italiana e per quanto noi ci si senta e si lotti per rimanere italiani – che in prima pagina del proprio sito internet pubblica le allucinanti ragioni di un “giovane triestino, contrario al bilinguismo e la maggiore tutela dello sloveno e degli sloveni nel Friuli Venezia Giulia”.
Un giovane per il quale accettando il bilinguismo si intraprenderebbe “una direzione antieuropea (sic!), volendo accentuare le differenze anziché smorzarle”, un giovane che si scorda che in Europa vivono 40 milioni di appartenenti alle minoranze nazionali e che la diversità, non l’omologazione, è il pilastro su cui si fonda la ricchezza dell’Europa unita.
Per questo giovane triestino i diritti agli sloveni, oltre che concepiti in “malafede”, sarebbero “antistorici”, andrebbero a creare una “casta di privilegiati”, comporterebbero “sprechi di soldi pubblici”. Ci immaginiamo la nostra reazione (da italiani di Croazia e Slovenia), se un giovane capodistriano (sloveno) o un giovane fiumano (croato) proponessero tali ragionamenti?
Io credo di poter dire che non solo l’EDIT, ma tutta la CNI, sono non soltanto favorevoli, ma anche entusiasti, quando si parla di ricomposizione di questo nostro unico tessuto umano così profondamente lacerato.
Credo di poter dire che in un dibattito con gli esuli si sia disposti a rimettere in gioco e a riconsiderare tutte le ragioni, una esclusa. Se gli esuli, più che legittimamente, non vogliono avere a che fare con chi dei nostri padri è stato infoibatore, delatore e connivente con gli eccessi violenti ed antiitaliani del regime comunista, così noi abbiamo il diritto di rifiutare categoricamente qualsiasi tentativo di relativizzare le porcherie del fascismo.
Quel fascismo che ha trasformato noi in minoranza nazionale e senza il quale centinaia di migliaia di istriani, fiumani e dalmati, esuli non sarebbero diventati.
Certo, prima del fascismo c’era stato anche un irredentismo slavo e tale sarebbe rimasto anche dopo la fine del fascismo, specie se a confini prebellici immutati: ma è innegabile che il fascismo, oltre ad essere male assoluto in termini universali, è stato l’infausto propiziatore della tragedia dei nostri territori.
E duole constatare che anche oggi buona parte degli esuli, colpiti da una perdurante e acuta sindrome di Stoccolma, questa lampante evidenza non la vuole vedere. E, francamente, risulta incomprensibile come si possa sperare in destini migliori appoggiando chi, come il ministro la Russa e il sindaco di Roma Alemanno, in data prossima alla ricorrenza del 70-esimo triste anniversario delle infauste e fasciste leggi razziali, nei loro discorsi istituzionali fanno rientrare dalla finestra (dei palazzi del Governo!!!) piccole dosi di riabilitazione del regime mussoliniano.
"Farei un torto alla mia coscienza” – ha detto il ministro La Russa, e lo ha detto l’8 settembre – “se non ricordassi che altri militari in divisa, come quelli della Nembo dell'esercito della Rsi, soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla storia d'Italia".
Da parte sua Alemanno ha provato a distinguere le leggi razziali, che anche per lui (meno male) “furono il male assoluto” dal fascismo che ha definito come “un fenomeno complesso, molti vi aderirono per buona fede”.
Anche peggio ha fatto Marco Pomarici, presidente del Consiglio comunale di Roma, per il quale “nel fascismo ci sono stati anche diversi elementi positivi, e dunque le affermazioni di Gianni Alemanno sono frutto di una riflessione oggettiva e condivisa da molti storici”.
Jure era bravo di matematica e campione di nuoto (elementi positivi!) e anche se ha infoibato 100 italiani merita “una riflessione oggettiva”. Mah…
Tra le mille repliche che ci sono state, tese a dimostrare la natura illiberale del regime anche prima delle leggi razziali, basti citare quella di Piero Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz, che è stato lapidario e illuminante: “Se non ci fosse stato il fascismo non ci sarebbero state le leggi razziali”. Il fatto sconcertante in tutta questa vicenda è l’ostinato rifiuto di una parte della nazione italiana di rendersi conto quanto il fascismo stia ancora danneggiando l’immagine dell’Italia a livello internazionale e quanto stia ancora inficiando il difficile tentativo di legittimare la storica presenza italiana in Istria, Quarnero e Dalmazia.
Fin quando gli esuli continueranno a vantarsi della propria militanza MSI, i croati avranno gioco facile ad identificare la presenza italiana come occupatrice. Fin quando si continuerà a credere che i reali problemi quali criminalità e decoro urbano che giungono dall’immigrazione si possano risolvere con politiche decise (il che potrebbe anche andar bene, se considerate come un temporaneo male necessario), che per forza di cose devono associarsi a indirizzi razzisti e autoritari tipici di regimi che nessuno dovrebbe volere più, nello scacchiere politico internazionale ci sarà sempre sospetto nei confronti dell’Italia.
E questa è una sconfitta che non dovrebbe piacere ai patrioti.
Se Scilla ci stupisce, Cariddi ci getta nella frustrazione più triste.
I responsabili di quella società croata che volevano pubblicare nel loro annuncio i nomi delle località delle loro filiali solo in croato, non lo hanno fatto per cattiveria. Quando, al nostro invito di correggere l’annuncio rispettando il bilinguismo, ci hanno replicato che stavamo perdendo tempo in “innocue sciocchezze”, abbiamo capito che da parte loro non c’era un premeditato disegno nazionalistico (che comunque rimane ben presente tra molti dei potentati), bensì di pura ignavia e ignoranza si trattava.
Che forse è ancora peggio.
Un’ignoranza che deriva da un sistema scolastico e mediatico (jugoslavo, poi croato e sloveno) che da sempre ha liquidato la presenza italiana come occupatrice e che mai ha valorizzato con convinzione la convivenza e il bilinguismo.
E non può non coglierci che allibiti la scarsa professionalità di operatori pubblicitari, il cui compito è quello di fidelizzare il pubblico alla propria azienda anche con la simpatia, che volevano raggiungere, tramite un quotidiano italiano, un possibile cliente tra i lettori italiani di Rovigno, invitandolo a recarsi nella filiale di Rovinj.