di ŠTEFAN COK
Negli ultimi mesi si è sviluppata sul Piccolo una corposa riflessione, con numerosi articoli e contributi, in ultimo quello di Sergio Bartole nei giorni scorsi, sul recente documento pubblicato dal governo sloveno al termine del semestre di presidenza della UE e sulle affermazioni in esso contenute.
Tali rilievi sono stati ripresi anche dal quotidiano sloveno, il Primorski dnevnik, sul quale si è specularmente susseguita una serie di articoli e contributi. Un dibattito molto partecipato quindi, benchè sia stato condizionato dalla scarsa preoccupazione a renderne partecipe per intero anche il lettore che non padroneggia l'una o l'altra lingua. La prima considerazione che va fatta è sul merito della questione: se e quanto il documento in questione rappresenti un infortunio, un equivoco o una provocazione premeditata. La ricostruzione storica presentata nel dossier del governo sloveno, essendo poco più che uno schema, si presta sicuramente a fraintendimenti. Come ha poi puntualizzato il console sloveno a Trieste Šušmelj, il termine "Primorska" rimanda in sloveno al territorio del vecchio Litorale austriaco, sommariamente assimilabile alla nozione italiana di Venezia Giulia, che si estende dalle Giulie al Quarnaro e non si limita alla parte costiera del territorio.
Da questo diverso intendere del termine "Primorska" in sloveno e "litorale" in italiano, che forse potrebbe essere considerato un caso significativo di incomprensione linguistica e culturale, deriva gran parte del dibattito in corso, che tuttavia mi sembra eludere il punto di merito sollevato da Paolo Segatti e non tenere nella dovuta considerazione quelli sollevati dagli interventi di Claudio Magris e Marina Cattaruzza, meritevoli di ben altra riflessione. C'è da chiedersi infatti se la frase sulla quale si é equivocato meriti un così ampio risalto, non essendo certo né la prima né, temo, l'ultima volta in cui la Storia viene strattonata, volontariamente o meno, dalla politica. La storia delle nostre terre è piena di interpretazioni lacunose. A volte sono silenzi, leggerezze e superficialità la causa del persistere di un'ignoranza diffusa, che ancor più che a Trieste o nella Primorska (la Giulia) slovena si avverte spingendosi più ad occidente in Italia o più ad oriente in Slovenia. È la stessa ignoranza che più volte ho vissuto in prima persona quando, parlando con miei coetanei, ragazzi di 20-25 anni provenienti dalla Lombardia, dalla Sicilia o dal non lontanissimo Veneto da un lato, ma anche dall'altro lato con persone provenienti da Ljubljana o Maribor, notavo come vi fosse una totale inconsapevolezza del fatto che vi fossero sloveni residenti in Italia. O italiani residenti in Slovenia e Croazia.
Il punto è che le contrapposizioni, più o meno giustificate e più o meno esplicitate, che hanno contrassegnato il nostro passato hanno fatto sì che parti consistenti della nostra identità plurima e sfaccettata siano state taciute. L'attuale territorio di confine fra Italia e Slovenia è sempre stato mistilingue né mai vi è stato un confine linguistico-territoriale netto fra una popolazione e l'altra, specie a ridosso dei centri urbani. Ancor meno può esservi oggi, in un momento in cui il confine non c'è più, e anche questo è un dato di fatto, ma soprattutto in cui la facilità nei trasporti rende tutta l'area ben più permeabile di un tempo. La politica può prenderne atto, e quindi porsi come obiettivo l'ambizione di guidare questo processo. Oppure può fare orecchie da mercante e cedere all'inerzialità di un'ostinata incapacità di sapersi confrontare con i punti di vista diversi dal proprio. I tempi sono cambiati, fortunatamente. C'è da chiedersi se siano cambiati grazie alla politica o suo malgrado.
Ciononostante non sempre la politica riesce a superare i miti che da sola ha, a volte, contribuito a creare. Il caso del Documento della Commissione mista italo-slovena è significativo per la "parsimonia" con la quale ne viene promossa la conoscenza. La politica, quando si erge a giudice e censore della disciplina storica, raramente produce effetti positivi. Ciò che la buona politica dovrebbe fare, coadiuvata in questo dai mezzi di informazione è di allargare il più possibile lo spazio di discussione. A scongiurare la possibilità che gli eventi del passato possano alimentare memorie che difficilmente potranno riconoscersi a vicenda. Altra cosa ancora è infatti sollecitare le giovani generazioni a interrogarsi su ciò che è stato. Ciò che la politica dovrebbe fare, è sforzarsi di riconoscere la complessità delle vicende del passato.
Štefan Cok
Componente dell'Esecutivo Regionale del Partito democratico