di Mauro Manzin su "Il Piccolo" del 5 gennaio
Il sasso gettato nello «stagno diplomatico» dal presidente della Croazia Stipe Mesic il quale, in un’intervista al Piccolo, si è detto favorevole a un atto di riconciliazione tra Roma, Zagabria e Lubiana per le tragiche vicende della Seconda guerra mondiale, smuove le acque del dialogo. La Farnesina accoglie con favore la proposta di Mesic, ma il ministro degli Esteri, Franco Frattini se non pone delle vere e proprie «condizioni», certo elenca alcuni «presupposti» imprescindibili da cui si deve partire.
Il presidente croato Mesic rilancia il «progetto» di un gesto di riconciliazione tra Italia, Croazia e Slovenia dopo la Seconda guerra mondiale senza però, precisa, che fascismo e antifascismo vengano messi sullo stesso piano. È d’accordo?
«È evidente che il presidente Mesic propone un problema serio, che è un problema della storia. Io credo che le vittime, tutte le vittime, debbano essere ricordate e commiserate e che in qualche modo si debba far sì che la riconciliazione non sia un modo per riaprire delle ferite, ma per chiuderle. Io sono convinto che il fascimo e il nazismo sono stati un male assoluto, ma è evidente che quando si uccidono delle persone, e mi riferisco alla tragedia delle foibe, le vittime non hanno colore politico. Sempre vittime rimangono. Quindi non ritengo che questa debba essere un’occasione per dire chi è stato meno orribile nell’uccidere o chi lo è stato di più. Chi ha ucciso ha sempre ucciso. Fascisti e antifascisti hanno compiuto entrambi degli atti contro la vita umana. A me, francamente, interessa di più ribadire che la vita umana è sempre e comunque sacra».
Qual è allora la ragione di questa riconciliazione?
«È quella di fare ancora una volta un’analisi storica serena, non quella di riaprire delle piaghe. Io mi sono recato a visitare la Risiera di San Sabba assieme al ministro degli Esteri tedesco proprio per rendere omaggio ancora una volta alle vittime di quell’orribile momento della storia che fu il nazismo. Ho detto più volte che il fascismo fu il male assoluto, ma devo ribadire con altrettanta franchezza che troppo a lungo abbiamo dimenticato quello che i militari e le forze comuniste di Tito hanno combinato, rendendosi responsabili di stragi orribili. Una volta che abbiamo riconosciuto questo possiamo ragionare. La vita umana è sempre sacra».
Lei ha parlato di Tito. Trieste ha subito 40 giorni di occupazione da parte delle truppe del Maresciallo. Crede che la città riuscirà a metabolizzare questi fatti?
«Io lo spero, sarebbe un grande passo avanti per Trieste, per l’intero Paese e credo che sarebbe un gesto importante se noi fossimo convinti che una città così ricca di storia e di tradizioni possa dire ”noi siamo pronti veramente alla riconciliazione”. È uno sforzo che dovremo fare tutti, è chiaro. Se si continua a pensare che questo sia impossibile mi sembra inutile iniziare a dialogare su certi temi».
Che cosa bisogna fare allora?
«Questo è il momento di dire con grande chiarezza, come è stato fatto anche in passato da alcune figure importanti come i presidenti Napolitano e Ciampi quando sono stati già fatti alcuni tentativi per dire ”è il momento della riconciliazione”. Sono fiducioso che una città e un popolo così ricco di storia come quello triestino sia capace di metabolizzare, di dire ”abbiamo voltato pagina”».
Però lei sa che soprattutto il centrodestra ha molte volte strumentalizzato la posizione degli esuli che costituivano e costituiscono un ragguardevole serbatoio di voti…
«Il problema degli esuli è che sono persone che hanno sofferto sulla loro pelle. Io ho incontrato alcune di queste persone, persone anziane, che hanno ancora sulla pelle la testimonianza della loro sofferenza personale. Quindi ritengo che in questo caso si tratti di un dovere politico del centrodestra di cercare sempre e comunque di non chiudere una partita che non è una partita di scontro, ma è una partita per rendere giustizia a delle persone che hanno molto sofferto. Non è una colpa della Croazia o della Slovenia. Chi governa oggi questi Paesi sono forse i nipoti o i pronipoti di quelli che hanno fatto tanto male. Ma quando parliamo delle stragi titine, beh, allora credo che sia un dovere di tutti lavorare per ricucire queste ferite. Se noi ci dimenticassimo degli esuli faremmo un grave errore».
Però il presidente Mesic continua a definire gli esuli come ”optanti”, cioè come coloro che ”optarono” per l’Italia al posto dell’allora Jugoslavia…
«Questa è una posizione riduttiva. Noi ci trovammo in passato anche in una situazione complessa quando il presidente Mesic e il nostro Capo dello Stato apparvero in un contrasto di vedute che poi, fortunatamente, fu immediatamente ricomposto. Io allora ero commissario europeo e non esitai a dire che il nostro Capo dello Stato era nel giusto. Ho il massimo rispetto per un presidente straniero, ma ritengo che definire gli esuli come ”optanti” sia una posizione francamente riduttiva».
Il senatore triestino di Forza Italia, Roberto Antonione, già sottosegretario agli Esteri, ha bocciato la proposta di Mesic sostenendo che prima va risolto il problema dei beni abbandonati. Qual è la sua posizione in merito?
«È uno degli aspetti. Io non esaminerei problema per problema. È chiaro che se vogliamo parlare di una vera riconciliazione il tema dei beni degli esuli è dentro il pacchetto, è dentro la questione. Ma mi permetto di dire che il governo di Zagabria con il primo ministro Sanader è apparso, sin dal primo momento del suo insediamento, aperto ad affrontare questo problema. Noi non ci siamo mai sentiti dire da Sanader che il tema degli indennizzi è fuori dall’agenda. Quindi dobbiamo parlare di una riconciliazione umana e politica, ma se ci dimenticassimo degli esuli e del loro diritto all’indennizzo sarebbe un grave errore. Cercheremo le risorse economiche e finanziarie».
Ma quale a quale tipo di errore si riferisce?
«Non è predominante la questione economica, bensì quella morale. Non sono i 5mila o i 50mila euro da rimborsare a questo o a quello, ma è il fatto di sentirsi dire che il problema non c’è più perché loro sono degli optanti. Questo sarebbe cancellare una parte della storia. Errore assolutamente da evitare».
Il suo predecessore Massimo D’Alema nel gennaio del 2007 disse a Lubiana che l’indennizzo di 110 milioni di dollari pattuito con gli Accordi di Roma del 1981 con l’allora Jugoslavia andava rivisto. Di questi la Slovenia ha versato tutta la sua parte di 77 milioni di dollari in un conto fiduciaro alla sede lussemburghese della «Dresdner Bank», mentre manca all’appello la somma croata. Lei è d’accordo con D’Alema?
«Credo che quella somma versata dalla Slovenia è la dimostrazione che il principio e il problema non sono negati. Questo è positivo. Lo stesso chiediamo alla Croazia. È chiaro che il quantum, concordo qui con il mio predecessore, è una somma certamente insufficiente anche sotto il profilo simbolico. Quindi è una somma che può e deve essere rivalutata. Ma è molto più importante non negare il principio e continuare a negoziare sulla sostanza. L’errore sarebbe dire ”il problema non esiste”, oppure ”il problema è già tutto risolto con quei 77 milioni”. Io credo che il problema non è risolto e ritengo anche che in uno spirito di collaborazione dobbiamo negoziare, dobbiamo ragionare, non dire solamente ”rifiutiamo”».
Slovenia e Croazia sono ai ferri corti per il problema dei confini (leggi golfo di Pirano) tanto che Lubiana ha di fatto bloccato il processo di adesione di Zagabria all’Ue. Il ministro degli Esteri francese Kouchner quando è venuto a conoscenza del problema che riguarda 30 km di confine si è messo a ridere sostenendo che un simile contenzioso va risolto in due ore di mediazione. Lei come la pensa in proposito?
«Il mio amico Kouchner, di cui ho grande stima, è un po’ più lontano rispetto all’Italia da questo problema e da quei confini. Noi italiani possiamo capire un po’ meglio anche una questione di 30 km. Abbiamo una sensibilità diversa, basti pensare all’Istria, alla Dalmazia e quindi non sottovaluterei il dato numerico. Il problema è la volontà politica, anche per 2 chilometri si può essere in forte disaccordo e anche 2 chilometri possono rappresentare una giustizia negata per qualcuno e una prevaricazione per un altro. Il problema è serio perché dietro quei 30 km c’è un passato di divisioni che i nostri cittadini e i nostri connazionali hanno vissuto o comunque conoscono assai bene. Ecco perché l’Italia sostiene con forza gli attuali sforzi di mediazione della presidenza di turno dell’Ue detenuta dalla Repubblica ceca».
L’Italia potrebbe fare da mediatore?
«Sicuramente sì. Offrirò formalmente a Praga, dopo questi primi giorni di presidenza, la possibilità di un contributo italiano. Noi abbiamo eccellenti rapporti con la Slovenia così come con la Croazia. E devo dire con franchezza che alla sua prima uscita europea al nuovo premier sloveno Borut Pahor, Berlusconi ed io gli abbiamo chiesto: ”Che cosa intendi fare con la Croazia?” La sua risposta è stata: ”Attendo una telefonata di Sanader, se non la farà lui la farò io. Il nostro atteggiamento sarà positivo e costruttivo”. Quindi abbiamo già agito per incoraggiare Slovenia e Croazia al dialogo. E anche questo sarà un tema di cui discuterò la prossima settimana a Zagabria con Sanader affinché non esistano più ostacoli sulla strada dell’adesione della Croazia all’Unione europea».
(Franco Frattini, Ministro degli Esteri italiano)