Signor Ministro,
ho molto apprezzato unitamente ai molti Dalmati italiani nel Mondo residenti a Trieste, la Sua intervista a “Il Piccolo” del 5 u.s, contenente la risposta decisamente pragmatica e realista alla proposta di riconciliazione tra i popoli croato, italiano e sloveno avanzata dal Presidente Mesić.
Mi trovano, invece, decisamente contrarie le interpretazioni polemiche date da gran parte della classe politica triestina, l’unica peraltro intervenuta sulla vicenda da parte italiana, che restringono i tempi storici e limitano la riconciliazione allo scontro tra fascismo e comunismo.
Va preliminarmente ribadito che la “Questione adriatica” non nasce con la guerra italo-jugoslava del 1941 e nemmeno con la sistemazione confinaria che segue la Prima Guerra Mondiale ma inizia con la scomparsa della Serenissima che aveva mantenuto un rispettoso equilibrio tra le popolazioni slave e latine dell’Adriatico, che per secoli avevano convissuto pacificamente in Istria e in tutta la Dalmazia, da Veglia a Cattaro. Questa convivenza si incrina in maniera evidente all’interno del Regno di Dalmazia quando viene incorporato nell’Impero austro-ungarico con un evidente squilibrio a favore del nazionalismo filocroato di tipo continentale, che trova la sua ragione d’essere nell’elemento razziale, che viene imposto a tutti i dalmati, compresi i croati adriatici per rompere l’unita e la pacifica convivenza del popolo dalmata che aveva sposato invece il concetto mediterraneo di nazione inteso come fatto culturale.
Il Regno di Jugoslavia, nato sotto l’egemonia serba ma del quale hanno fatto parte croati e sloveni, accentuerà la snazionalizzazione della Dalmazia nel periodo tra 1920 e il 1940.
Per farla breve, nell’atto di conciliazione Mesić non potrà eludere l’esistenza di un vero e proprio genocidio degli italiani, testimoniato dal fatto storico che Napoleone nel 1806 prese atto che la lingua egemone in Dalmazia era l’italiano ed incluse perciò l’intera Dalmazia nel suo Regno d’Italia con capitale Milano, mentre oggi la lingua italiana è fortemente minoritaria. Sta alla diplomazia italiana e croata trovare la formula corretta che evidenzi l’esistenza storica della snazionalizzazione di questa terra, di cui non è responsabile il popolo croato che ne è stato però il beneficiario.
La sola esistenza dei Dalmati italiani, colpiti e snazionalizzati ben prima del ventennio fascista, esclude che la Questione adriatica possa essere ridotta allo scontro fascismo-comunismo, che Ella ha correttamente superato ricordando che anche i crimini iniziati nel 1941 e proseguiti dai comunisti jugoslavi fino al 1946, a guerra finita, non possono avere alcuna giustificazione ideologica, cosa che i polemisti triestini sembrano aver bellamente dimenticato.
Le chiedo, signor Ministro, che il nostro Governo prenda le distanze da queste inutili e forvianti polemiche che risentono ancora dell’impostazione propagandistica di Tito il quale, per far dimenticare la feroce guerra civile interna tra jugoslavi, cioè tra ustascia croati e domobrani sloveni (alleati dei fascisti e dopo l’8 settembre 1943 di nazisti) ed i partigiani comunisti di Tito, era costretto a inventare la falsa equazione fascisti=italiani, comunisti=jugoslavi per nascondere il fatto che i croati e gli sloveni filo-fascisti erano più numerosi e combattivi dei comunisti jugoslavi.
L’Italia, che ebbe un ruolo marginale negli scontri interni nel periodo 1941-43 acuitisi dopo l’8 settembre 1943 (quanto i soldati italiani della RSI e i reparti del Regio esercito passati con i partigiani di Tito svolsero un ruolo pressoché irrilevante) non può assumersi alcuna responsabilità della carneficina tra ustascia, domobrani e titini e dimenticare invece che, in poco più di un secolo, le popolazioni veneto-italiane sono state espulse da territori che abitavano dai tempi dell’alleanza illirico-romana dell’antico Regno latino di Dalmazia.
Con i più cordiali saluti
Il Presidente della Delegazione di Trieste
dell'Associazione Dalmati nel Mondo
On. Renzo de’ Vidovich
Trieste, 7 gennaio 2009
(Cartina della Dalmazia)