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Siamo vincoli o sparpagliati? (Panorama Edit 31 dic)

di Bruno Bontempo

A 70 anni suonati Sergio Vatta si rimette in gioco. Il mago del calcio giovanile, l’uomo che trasformava i ragazzi del Torino in oro, tende a realizzare un progetto che porta avanti da tempo: rifondare l’Unione Sportiva Fiumana, società sciolta nel 1947 dopo il definitivo passaggio di Fiume alla Jugoslavia. Vatta è nato a Zara ed é una delle duecentomila e passa persone che in quegli anni hanno vissuto in 95 campi profughi d’Italia prima di sparpagliarsi per il mondo. Nei campi ha vissuto per dodici anni, ma la Dalmazia, la sua terra, gli è sempre rimasta nel cuore e ci va appena gli impegni di lavoro glielo consentono. Ora vorrebbe riportare in vita quella gloriosa società calcistica, in cui maturarono campioni come Ezio Loik, Rudi Volk, Marcello Mihalich, i fratelli Mario e Giovanni Varglien.

Se dovesse rinascere, la Fiumana avrebbe sede a Torino. In Piemonte risiedono circa 40 mila tra profughi e loro discendenti. Inoltre Torino è la città dove campioni come Loik e i fratelli Varglien hanno mietuto vittorie a ripetizione, vestendo le casacche di Torino e Juventus: il legame con la città è molto forte, dunque, e si può dire che i massimi talenti del calcio fiumano hanno trovato proprio là il luogo in cui esprimersi ai massimi livelli. Tale ordine di considerazioni ha indotto il sindaco del Libero Comune di Fiume in Esilio, Guido Brazzoduro, ad autorizzare la rifondazione dell’Unione Sportiva Fiumana da parte del gruppo di profughi torinesi oggi impegnati in questo inedito tentativo.

La Fiumana ha chiesto di essere ammessa al Campionato di Prima Divisione (la vecchia Serie C/1) per la stagione 2009/10: i promotori dell’iniziativa sono convinti che alla squadra spetta di diritto ricominciare l’attività agonistica – come altre società poterono farlo già nel 1945 – da dove si era forzatamente interrotta nel 1943, poiché quando la società fu sciolta la squadra militava in quella categoria. E ciò in base a due leggi, una del 1952 e l’altra del 1983.

L’auspicio di Lucio Toth, presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, è che tutte le componenti del mondo dell’Esodo possano coagularsi intorno alla Fiumana, non facendone altro uso se non quello sportivo. La Fiumana intende interpretare il ruolo di società modello per trasparenza e metodi educativi che vorrebbe impiegare nell’insegnamento dello sport: si inizierebbe col calcio, ma si desidera proseguire con altre discipline, sino a diventare in futuro una polisportiva. Il “progetto Fiumana” è un progetto sportivo ma anche sociale: la rifondazione del sodalizio assume oggi un preciso significato, in quanto è intenzionato a diventare un polo di aggregazione per Esuli e per Rimasti.

Per celebrare la grande tradizione sportiva delle nostre terre, dunque, si vuole (ri)partire dallo sport più popolare in Italia: il calcio. E nel mondo del pallone, la Fiumana è stata senza dubbio la più prestigiosa società tra le molte attive nei territori dell’ex Venezia Giulia e Dalmazia: per questo motivo è stato deciso di farla rinascere dalle sue ceneri, a rappresentare tutto il popolo di Esuli e la gloriosa tradizione sportiva di Fiume, dell’Istria e della Dalmazia. L’iniziativa ha ottenuto un’adesione che tende a rafforzare l’unita degli Esuli, mettendo da parte, almeno nello sport, le polemiche e i veleni che non mancano e non sono mai mancati. Lo sport, da sempre, unisce e non divide, o almeno così dovrebbe essere nei suoi più nobili propositi, aggiungiamo noi.

Della vicenda si e occupata, nei mesi scorsi, buona parte della stampa italiana, che ha sguinzagliato inviati ed equipe televisive, tanto che il 12 gennaio [19 gennaio ndR] all’avvenimento dovrebbe venir dedicata una puntata di “Chi l’ha visto?”, una trasmissione televisiva in onda su RaiTre, dedicata alla ricerca di persone scomparse e ai misteri insoluti, in onda il lunedì in prima serata.

Quali ricordi hai della Fiumana, qual é  il suo significato per l’immaginario collettivo dei rimasti? Un collega della Rai di Trieste mi ha incalzato con queste e altre domande, nel tentativo di ricostruire nella Fiume di oggi, con un interlocutore decisamente  “troppo giovane”, un quadro storico attendibile di vicende che risalgono a 60, 70 e quasi 80 anni addietro. Per “banali ragioni anagrafiche”, non posso essere stato testimone delle vicende della Fiumana e dei suoi protagonisti – ho cercato di… giustificarmi -. Se ne ho sentito parlare? Certo. Alla Voce del Popolo ho avuto la fortuna di apprendere il mestiere da Renato Tich ed Ettore Mazzieri, capi storici della redazione sportiva, che delle gesta dei vari Volk, Loik, Varglien hanno scritto mille volte, sulle pagine de La Voce, di Panorama e quindi anche sul giornale della Comunita degli Italiani, La Tore. Per decenni i loro sono stati gli unici testi su quell’epoca apparsi a Fiume nel dopoguerra, anche negli anni in cui parlare delle vicende del passato, soprattutto di quelle legate al periodo del tristemente noto ventennio, sia pure se di sport si trattava, significava infrangere un tabù e sfidare il regime. E per ben che andasse, si veniva guardati con diffidenza, tanto più se a farlo erano degli italiani. Perché dopo la liberazione, sono state saltate, obliate, cancellate molte pagine del passato di Fiume, sia quelle di storia generale, sia delle sue tradizioni, della sua cultura, delle vicende sportive e dei suoi personaggi. Da quel momento, la Fiume di prima e quella degli anni ‘50, ‘60, ‘70, sono state due anime forzatamente separate e lontane, che a lungo si sono guardate in cagnesco, negandosi a vicenda, in virtù delle drammatiche traversie politiche e della limitatezza dello stato umano ottenebrato da stupidità, aridità, angustia, rozzezza, ignoranza, astio, rancore. Risultato? La Storia con la S maiuscola manipolata e spesso riscritta, di qua e di là dai confini dell’epoca, comunque ridimensionata e dimenticata, una Storia rimasta monca. Anche nello sport. Ancora oggi siamo impegnati nell’affannoso tentativo di ricostruire non soltanto un mosaico con la memoria, con i ricordi, ma una storia unica, condivisa, riconducibile alla sua radice comune, evitando intrusioni e ingerenze della politica e dei nazionalismi.

Affinché nella storia di queste terre, come ha scritto Silvio Forza rispondendo sulle pagine de La Voce del Popolo a Lucio Toth, “Alida Valli possa diventare un’attrice (anche) dei croati di Pola quanto Mate Parlov deve essere considerato un pugile campione anche degli esuli”. Ecco, noi italiani rimasti a Fiume vorremmo veder messi uno accanto all’altro Abdon Pamich e Luciano Sušanj, perche ognuno di loro ha scritto pagine storiche dell’atletica leggera, oppure Rudi Volk e Pero Radaković, Ezio Loik ed Enzo Zadel, Mihalich e Bruno Veselica, i fratelli Varglien e le tre generazioni di portieri di casa Ravnich – tutti da considerare con le dovute proporzioni nella scala dei valori. Ognuno di loro ha segnato un’epoca, lasciando tracce più o meno profonde.

Un discorso che si riallaccia in qualche maniera al tema dell’assurda, anacronistica frattura tra esuli e rimasti, perché “anche noi condividiamo la necessita di uscire dal ghetto”, e del fatto che l’Italia di oggi a volte rivendica il suo diritto all’italianità culturale di queste terre, e poi cade nel tranello dell’approssimazione, della trascuratezza, dell’ignoranza delle vicende del passato, con corrispondenze da Rijeka, Opatija, Poreč, Pula, disconoscendo i toponimi italiani, storici, di queste località.

L’uniformità di trattamento della storia da una e dall’altra parte, su uno e l’altro versante, e la necessità di riscrivere (insieme) quella parte della storia mancante, sono le considerazioni che emergono di prepotenza anche in momenti come questi, legati al desiderio (legittimo ma dall’esito imprevedibile) di rifondare la Fiumana calcio.

A proposito di “Chi l’ha visto”, sono curioso di vedere se la Fiumana calcio verrà trattata alla stregua di “persona scomparsa” o di “mistero insoluto”…

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