dall’inviato
MAURO MANZIN
LUBIANA Un complesso «triangolo diplomatico» caratterizza in queste ore i Balcani occidentali. Mentre la Slovenia ha posto il veto al processo di adesione della Croazia all’Unione europea, a causa del contenzioso confinario (leggi Golfo di Pirano) bilaterale e, anche attraverso suoi autorevoli rappresentanti quali il presidente della Commissione esteri del Parlamento, Ivo Vajgl, parla di momento in cui si può portare a casa o una vittoria oppure una sconfitta storica per «il popolo sloveno», il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini si reca a Zagabria per assicurare invece il massimo appoggio di Roma all’adesione della Croazia all’Ue. Proponendo altresì alla presidenza di turno dell’Unione europea, in mano alla Repubblica Ceca, la mediazione italiana proprio nel contenzioso confinario tra Slovenia e Croazia.
Insomma, un bel rebus, che qui a Lubiana si cerca di risolvere nel modo più indolore possibile. Sì, perché la Slovenia in questo frangente si trova alquanto isolata diplomaticamente nel gruppo dei 27. Posto che la profferta italiana di mediazione è già stata bocciata senza mezzi termini perché Roma viene considerata, anche dopo cinquant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, «parte in causa» e quindi non «neutrale», Lubiana alza la voce presso l’opinione pubblica nazionale, ma si sa che sta invece cercando di riannodare i fili di una mediazione diplomatica attraverso i buoni auspici della presidenza della Cechia dell’Ue.
La Croazia, dal canto suo, tiene un profilo basso, e si dice altresì pronta a sottostare a un arbitrato internazionale gestito, per esempio, dalla Corte di giustizia dell’Aja. Intanto però il suo Capo dello Stato, Stipe Mesic esterna sulle righe del nostro giornale la volontà di un atto di riconciliazione tra Italia, Croazia e Slovenia dopo i tragici fatti della Seconda guerra mondiale. E Lubiana resta di nuovo spiazzata. Il governo di Lubiana tace mentre il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini si dice, pur con alcuni «presupposti» non di secondaria importanza (leggi porre fascismo e comunismo e i loro crimini sullo stesso piano), d’accordo con il capo dello Stato croato. I meccanismi diplomatici sloveni sembrano incepparsi. Forse, come dicono qui alcuni analisti politici, non c’è una vera e propria leadership in grado di dettare le linee guida in politica estera. Sta di fatto che dopo qualche giorno a rompere gli indugi è il Capo dello Stato sloveno, Danilo Turk. Non c’è bisogno, dice in buona sintesi, di nessun gesto di riconciliazione tra Italia e Slovenia visto che entrambe fanno parte della casa comune europea. Ma poi bacchetta Roma accusandola di scarsa sensibilità nei confronti dei crimini fascisti ricordando i campi di prigionia di Gonars e di Arbe. E le foibe? Il silenzio della politica sembra voler fagocitare anche il silenzio della storia.
Intanto l’Europa sta a guardare, legislamente più impegnata a fronteggiare la pesante crisi economica mondiale che a dare ascolto a quelle che nelle principali Cancellerie dei 27, da Parigi a Berlino, vengono considerate estemporanee «baruffe chiozzotte». Quella crisi che anche qui in Slovenia non è certo passata senza lasciare segni. L’inflazione reale si attesta attorno al 7 per cento, mentre la disoccupazione sale. I sindacati sono sul piede di guerra e preannunciano una primavera bollente se i salari non aumenteranno e se non ci sarà un freno al carovita. Una bella sfida per il nuovo governo di centrosinistra guidato dal premier Borut Pahor.
La Slovenia, che fin qui aveva fatto proprio delle sue dimensioni ridotte una sorta di strumento per cogliere tutte le opportunità offerte dall’Unione europea (soprattutto dopo aver presieduto la stessa per sei mesi) ora rischia di fare la fine dei classici vasi di coccio di manzoniana memoria. Una delle principali ancore di salvezza, sostengono alcuni analisti economici, è quella di essere riusciti a entrare in Eurolandia altrimenti difronte a Lubiana si aprirebbero oggi scenari sudamericani con inflazione alle stelle e svalutazione iperbolica.
Lubiana rifiuta la mediazione dell’Italia nel contenzioso confinario con la Croazia, rifiuta un approccio simbolico alla riconciliazione dopo i tragici fatti della Seconda guerra mondiale tra i tre paesi eppure non abbandona la sua vocazione europeista. Chiede l’intervento della commissione e dell’alto rappresentante degli affari esteri, Javier Solana e ricorda a Roma che in tema di rinegoziazione degli accordi di Roma nel 1981 relativi ai beni abbandonati dagli esuli vige il principio «pacta sunt servanda». Intanto Zagabria firma un accordo sull’Alto Adriatico con l’Italia ponendosi, in questo settore, alla pari con la Slovenia (un simile patto è già stato sottoscritto da Roma e Lubiana nel 2007). È chiaro anche qui a Lubiana che, comunque, anche in ambito europeo non si può prescindere dai rapporti con l’Italia. Che a questo punto diventa un po’ una sorta di «magnete» diplomatico che può orientare la bussola di Slovenia e Croazia. Purché i fantasmi del passato non vengano, una volta ancora, a frapporsi sul percorso comune europeo. Oggi, vista anche la situazione economica, nessuno è disposto a fare sconti. Tanto meno Bruxelles.