di PIERO RAUBER
Neanche un anno fa, in campagna elettorale, alla Stazione marittima Franco Frattini era di casa. Osannato dal popolo di Forza Italia e An. Ministro degli Esteri predestinato. E capolista del Pdl alla Camera proprio da queste parti. Ieri, invece, ha fatto la parte del convitato di pietra. Criticatissimo da un paio di relatori. E persino beccato da qualche seggiola del pubblico. L’occasione d’altronde era di quelle calde: il convegno «Ma quale riconciliazione senza verità per triestini e istriani?», promosso dall’Unione degli Istriani, che ha richiamato oltre 200 persone e ha registrato la presenza di un solo big politico: il sottosegretario all’Ambiente e leader regionale di An Roberto Menia.
Il capo della diplomazia, invitato ma assente per impegni concomitanti, è stato ri-sollecitato a distanza dal presidente dell’Unione Istriani, Massimiliano Lacota, a scoperchiare con la Croazia la questione del Trattato di Roma del 1983, quello sui 110 milioni di dollari (il 40% è passato in groppa a Zagabria) in carico all’allora Jugoslavia come contropartita dei beni confiscati nell’ex Zona B. La base, per Lacota, sono quei 1.411 immobili vuoti o in affitto – appartenuti agli esuli, poi nazionalizzati e oggi «immediatamente restituibili» – individuati da professionisti del posto, su incarico proprio dell’Unione Istriani, tra Buie (487), Cittanova (115), Grisignana (375), Umago (336) e Verteneglio (98). Un dossier freschissimo «già ricevuto dalla Farnesina», ma rimasto al momento privo di riscontro. Anzi: per Frattini, reduce dalla missione di Zagabria, la restituzione dei beni non è pre-condizione all’ingresso croato nell’Ue. «Signor ministro – ha tuonato Lacota – vogliamo avviare una trattativa su questa cosa?». Altro che riconciliazione insomma, con un fiore per tre presidenti, alla Foiba e in Risiera. «Per noi – ha sostenuto il presidente dell’Unione Istriani – la riparazione dei torti deve appena iniziare. E questo sarebbe il momento giusto, con un governo che si definisce amico. Non possiamo accettare che la questione venga consegnata alla storia con gesti simbolici. Il dibattito, guarda caso, rispunta in vista del Giorno del ricordo con i pifferai della riconciliazione».
Riconciliazione che – per Menia – diventerebbe «una parata inutile» e che comunque «appare impossibile da costruire in quanto, purtroppo, in Slovenia e Croazia abbiamo assistito al riaffiorare dell’antica cultura comunista, negazionista prima e giustificazionista poi. È orrenda e disgustosa – ha aggiunto Menia riferendosi alle ultime parole di Mesic – la gara con la Slovenia per dire chi ha liberato Trieste, sottintendendo chi è arrivato per primo a fare l’infoibatore. Istriani, fiumani e dalmati, più che di riconciliazione, hanno bisogno di scuse. La nazione italiana si è riconciliata con gli esuli in ritardo dopo 60 anni di storia falsificata, figlia del mito resistenziale, con la legge sul Giorno del ricordo. È stato un fatto morale cui andrebbe affiancato qualcosa di materiale, come i famosi indennizzi, che devono essere veri, a prezzi di mercato». E Lubiana e Zagabria? «Voler essere europei – così Menia – significa anche accettarne i principi. E quindi io mi aspetterei che i famosi tempi di buona volontà arrivino. Questo vorrebbe dire restituire le proprietà che è possibile restituire e non negare quello che è successo».
Nessun accenno da parte di Menia alle manovre diplomatiche di Frattini. A questo ha pensato invece il vecchio padre della Lista per Trieste, Gianfranco Gambassini, che ha incassato applausi. «Sono sdegnato – ha detto – da quest’inesistente, imbelle politica estera dell’Italia. Ci siamo lasciati prendere in giro sia da Turk che da Mesic. Il ministro Frattini si sta dimostrando ancora più debole dei predecessori. Siamo quasi tutti di centrodestra, in questa sala, ma il governo Berlusconi ci sta deludendo pesantemente, com’era già successo».