di FURIO BALDASSI
Arrivano alla spicciolata, con le loro vecchie auto o addirittura in Vespa. Godono di pasti gratuiti, televisioni satellitari, spesso anche di spettacoli di buon livello. Il tutto assolutamente gratis. C’è da stupirsi, dunque, se la fascia confinaria che va da Rabuiese a Fernetti, sede di una delle più alte concentrazioni d’Europa di case da gioco, è diventata quasi il club privè per migliaia di triestini, in prevalenza con i capelli grigi? Un pomeriggio di una giornata qualsiasi, passata saltabeccando nell’arco di una quarantina di chilometri tra casinò veri e slot club, in tal senso, consente prima di ogni altra considerazione la scoperta di quello che è uno straordinario fenomeno sociale. A partire dal «Casinò Carnevale», una manciata di metri dopo il confine di Rabuiese, è un crescendo di situazioni inaspettate, talvolta surreali, uno spaccato di vita del tutto imprevedibile.
Arredamento di un ricercato kitsch, attivo 24 ore su 24, come la gran parte degli altri, molto quotato presso i suoi clienti perchè li va, letteralmente, a prelevare a casa, da Trieste fino a Sistiana, con i suoi pullmini o la sua limousine bianca, il «Carnevale» dimostra fin dal parcheggio la sua clientela dominante. Si parla triestino e praticamente solo quello, su queste moquette e tra queste slot dai nomi accattivanti come «Game of Dragons» o «Running Wild», mute testimoni di piccole gioie o grandi drammi. Professionale e disponibile il direttore Bojan Umer non ha difficoltà a confermare, dati alla mano, le nostre sensazioni. «Maturiamo tra le 11 e le 13mila entrate al mese, per l’85 per cento di italiani, col 70 per cento di triestini. E proprio una vostra concittadina ha centrato recentemente il ”jackpot” più sostanzioso, 60mila euro, mentre qualcuno è arrivato, a varie riprese alle roulette elettroniche, a 100mila euro». Per l’identikit basta guardarsi attorno, ma Bojan precisa comunque che «l’età media varia dai 45-48 ai 60 e oltre». Molto oltre, va aggiunto. Non è solo quello che letterariamente si chiamerebbe «il demone del gioco» a muoverli. Viene difficile pensarlo, vedendo quelli che, orecchiamo, si chiamano Nevio e Luisa, più o meno 140 anni in due, starsene davanti allo schermo, tazza di tè in una mano, a giocarsi gli euro con lo sguardo da innamoratini di Peynet mentre tanti altri nonni attorno forse pensano se questo mese riusciranno a comprare al nipotino il gioco per la Playstation. Secondo l’efficiente Umer, a fronte di vincite mensili attorno ai 2 milioni e 200mila euro, la perdita del cliente medio non supera i 50 euro. Qui dietro, intanto, sta per sorgere un nuovo albergo.
Si sale verso il Carso, dalla parte italiana e si rientra in Slovenia da Basovizza, solo per scoprire che lì l’«assedio» è ancora più evidente, l’affluenza non meno vistosa. Tutto esaurito all’«Astraea Club» il primo che si incontra in direzione di Corgnale, con le consuete pantere grigie a farla da padroni, affiancati per l’occasione da un gruppo di non meno attempati «bikers». Il luogo è affollato e un po’ claustrofobico, nel parcheggio si potrebbe fare raccolta di «Ts», tanto che una targa veronese spicca come una mosca nel latte. Dalle 0 alle 24, come recita il cartello all’ingresso, la sensazione è che non ci sia un attimo di tregua, tanto che torna alla mente la testimonianza di chi assicura di aver incocciato alle 3 del mattino in uno di questi locali un panettiere ancora «in divisa» da lavoro, che giocava completamente infarinato e una distinta signora che, sotto al cappotto, faceva intravedere i calzoni del pigiama e vestiva un paio di pantofole…
Il casinò «Gold Club», posizionato proprio sull’incrocio che porta a Lipizza sembra ancora più «glamour» e affollato, così come le centinaia di affollatissime macchinette, con i loro dling-dlong da «Guerre stellari» fanno capire fin da oltre la porta d’ingresso. Sulle percentuali, nessun dubbio: è come se il rione di Coloncovez avesse deciso improvvisamente di concedersi una bella gita di massa. Un paio di chilometri tra i cavalli e il bel parco di Lipizza e si arriva al «Casinò». Il più affollato. Il più storico. L’unico «vero», con le sue roulette e i suoi tavoli di Black Jack. All’ingresso Luciano, arzillo settantenne, confessa candidamente di venirci ogni santo giorno, ma poi si lamenta «perchè si mangia gratis ma ti fanno pagare l’acqua minerale gassata». Compare anche una coppia di giovani triestini, e sembra quasi un’apparizione. Dei due, Maurizio, «giocatore e figlio di giocatori, con le tessere di tutti i casinò sloveni», è il più loquace. Snocciola le sue vincite («al massimo 2mila euro, ma i miei sono arrivati a 27mila»), difende la sua scelta («Non sono forse peggio i videopoker nei bar?»), filosofeggia sulle «regole» del gioco: «La speranza è solo quella di non perdere troppo. Perchè, diciamolo, ai tavoli o alle macchinette non si vince. Mai».