Lacerarono e dispersero il tessuto di una specifica esperienza culturale, quella giuliana di lingua italiana.
L’Italia guardò a tutto ciò con indifferenza -salvo il caso della questione diplomatica di Trieste fino al 1954 – o cercando da subito di rimuovere. C’è da aggiungere che purtroppo già prima, nel corso della Resistenza, la Venezia Giulia era stata abbandonata, dopo le devastazioni prodotte dal fascismo anche nei confronti degli sloveni e dei croati della regione. Abbandonata non solo da Mussolini, che la consegnò di fatto alla Germania hitleriana, ma anche dai comandi della resistenza nell’Italia settentrionale, che accettarono di delegare la direzione della lotta armata antifascista al movimento di liberazione jugoslavo. Ma già allora i triestini e gli istriani seppero reagire. A Trieste ben quattro CLN organizzarono, sotto una spietata repressione nazista, la Resistenza, e così a Gorizia, in Istria, a Fiume, e sempre in nome dell’Italia democratica che stava risorgendo.
Poi, la fine: un’identità spezzata dai nuovi ingiusti confini. Trieste compressa, gli istriani costretti all’esodo.
Oggi dobbiamo ricordare le vittime di allora, le ingiustizie subite, ma dobbiamo anche ricordare la capacità di reagire che i giuliani ebbero, le risposte che seppero dare a Trieste e nei vari luoghi dove gli istriani trovarono rifugio: nei campi profughi, nei quartieri giuliano dalmati, nelle comunità d’oltre oceano. In condizioni difficilissime gli esuli e gli italiani rimasti oltre confine seppero conservare i tratti essenziali della civiltà di lingua italiana, segmento essenziale e ccostitutivo delle terre dell’Adriatico orientale: un’antica, radicata civiltà del mare e della terra, temperata e operosa. Non certamente una terra di estremisti. C’erano fra di loro anche nazionalisti, e fascisti quando essi si diffusero in Istria a rovinare la reputazione dell’Italia. Ma la maggior parte non lo era affatto. Penso alla lunga stagione del socialismo adriatico, penso alla tradizione mazziniana, laica o liberal-socialista, penso alla rapida costruzione di sezioni del Partito Popolare nei vari paesi dell’Istria quando don Sturzo organizzò i «Liberi e forti». E così potrei dire di tanti uomini di cultura che si erano formati negli ambienti colti e tolleranti dell’impero asburgico e che avevano la consapevolezza, e l’orgoglio, di vivere in una regione nazionalmente plurale.
Grazie alle organizzazioni degli esuli che hanno raccolto letteratura, documentazioni, testimonianze paese per paese, il tentativo di far sparire i lineamenti di questa civiltà o di ridurrla a irrilevanti residui di coloni provenienti da Venezia, nella sostanza è fallito. La memoria è stata conservata. E’ stato perciò doveroso e giusto che le istituzioni della Repubblica abbiano voluto intervenire per dare dignità nazionale a questa memoria. Non per essere strumentalmente utilizzata da ottusi nazionalisti e patetici nostalgici, ma per portare un contributo alla fisionomia complessa delle contrade dell’Adriatico, per il futuro di queste regioni. Di cui conosciamo bene ormai tutte le pagine del passato, tutte le repressioni e le violenze. Conosciamo tutti le responsabilità di ciascuno Stato e le politiche devastanti che hanno qui messo in opera nella stagione dei totalitarismi, il fascismo italiano e il comunismo jugoslavo. Perché le tragedie del Novecento giuliano non sono il frutto di inspiegabili e improvvisi scoppi di incivilità, ma il prodotto specifico dell’azione di poteri e istituzioni illiberali, fondati su una logica mononazionale esclusiva e aggressiva.
Altrettanto sappiamo che le nostre esperienze non costituiscono una storia atipica, eccezionale, ma sono capitolo di una vicenda più grande, quella segnata drammaticamente dal conflitto tra opposte aspirazioni nazionali di popoli conviventi sullo stesso territorio. Altro non è che la storia moderna e contemporanea d’Europa, di cui l’Adriatico orientale riproduce tanto fedelmente le dinamiche da rappresentare una sorta di suo paradigma. Di questa lunga storia serbiamo memorie diverse, anche quando il Novecento è ormai alle nostre spalle con il suo carico di dolore. Ma ci sorregge la convinzione che l’integrazione europea e la cultura della cittadinanza democratica – in quanto garanzie per ognuno – sapranno lenire le ferite e sanare le incomprensioni tra gli Stati sulla strada della piena riconciliazione.
Stelio Spadaro